Ordinanza n. 270/2000

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 270

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE  

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 459, 461, 464 e 555 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 26 luglio 1999 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Latina nel procedimento penale a carico di Amato Miranda, iscritta al n. 73 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2000 e il 24 novembre 1999 dal Tribunale di Vibo Valentia – sezione distaccata di Tropea nel procedimento penale a carico di Giorgio Troielli, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2000.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2000 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Latina ha sollevato, con ordinanza del 26 luglio 1999 (pervenuta alla Corte costituzionale il 1° febbraio 2000), questione di legittimità costituzionale dell’art. 459 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la richiesta di emissione del decreto penale di condanna sia preceduta dall’invito all’indagato a presentarsi per rendere interrogatorio a norma dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

 che, svolgendo una disamina del sistema processuale vigente, il giudice a quo osserva in generale che nel procedimento per decreto penale la posizione dell’imputato, destinatario di una condanna senza previo contraddittorio, risulta meno tutelata rispetto agli altri riti nei quali il sistema stesso si articola;

 che, in questo quadro, la legge 16 luglio 1997, n. 234, ha accentuato le garanzie della parità delle parti e del contraddittorio, attraverso la prescrizione del previo invito all’indagato a presentarsi per rendere l’interrogatorio, prima della citazione a giudizio (artt. 416, comma 1, e 555, comma 2, cod. proc. pen.), con la sola esclusione del procedimento per decreto penale;

 che di tale esclusione il giudice rimettente prospetta l’incostituzionalità, per violazione del principio di uguaglianza e per lesione delle garanzie difensive, risultando ingiustificatamente trattato in modo deteriore l’imputato sottoposto al rito per decreto rispetto a chi sia sottoposto a procedimento penale secondo un altro modello processuale e stante la preclusione, per il primo, della possibilità di addurre elementi a proprio favore già nella fase delle indagini, in modo da evitare il giudizio;

 che a giustificare l’omissione censurata non varrebbero né le caratteristiche di economia processuale e speditezza del rito speciale, né la “premialità” di esso, né infine la possibilità di recuperare appieno le garanzie attraverso l’opposizione al decreto, trattandosi, secondo il rimettente, di argomenti non decisivi e confutabili;

 che è intervenuto nel giudizio così promosso il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, rilevando l’analogia tra la questione sollevata e altra precedentemente definita nel senso della manifesta infondatezza (ordinanza n. 432 del 1998), ha concluso nel medesimo senso;

 che il Tribunale di Vibo Valentia – sezione distaccata di Tropea, in sede di giudizio di opposizione a decreto penale di condanna, ha sollevato, con ordinanza del 24 novembre 1999, questione di legittimità costituzionale degli artt. 461, 464 e 555 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che il decreto di citazione a giudizio emesso a seguito di opposizione a decreto penale di condanna sia preceduto, a pena di nullità, dall’invito all’indagato a presentarsi per rendere interrogatorio a norma dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

 che il Tribunale muove dalla ratio della disciplina processuale introdotta con la legge n. 234 del 1997, ravvisata nella possibilità per l’indagato di fornire elementi utili alla propria difesa fino alla chiusura delle indagini preliminari, censurando la scelta legislativa di escludere l’obbligo del previo invito a rendere interrogatorio nel rito per decreto, in quanto riduttiva delle possibilità di difesa dell’imputato in tale rito e ingiustificatamente svantaggiosa rispetto a chi sia sottoposto a procedimento penale in forma diversa;

 che, in particolare, il rimettente osserva che la perdita di garanzie non può ritenersi neppure surrogabile attraverso lo strumento dell’opposizione al decreto penale, che ha funzione puramente processuale e che non consentirebbe comunque all’imputato di addurre elementi a proprio favore che siano insorti dopo l’opposizione stessa e prima del giudizio che ne deriva.

 Considerato che le due ordinanze di rimessione sollevano analoghe questioni di costituzionalità e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e definiti con unica pronuncia;

 che, pur differenziandosi sul piano delle disposizioni denunziate e delle argomentazioni svolte, le ordinanze di rimessione individuano la possibile lesione del principio di uguaglianza e della garanzia della difesa nella mancata inclusione del procedimento per decreto tra quelli per i quali è stabilito, quale requisito di validità del giudizio (in riferimento alla richiesta di emissione del decreto, secondo r.o. n. 73/2000; ovvero al decreto di citazione a giudizio conseguente all’opposizione, secondo r.o. n. 88/2000), l’obbligo di effettuare l’invito all’indagato a presentarsi per rendere l’interrogatorio, a norma dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen., così come è stato previsto per il procedimento ordinario a seguito delle modifiche recate dalla legge n. 234 del 1997 agli artt. 416 e 555 cod. proc. pen.;

che peraltro, successivamente alle ordinanze di rimessione, è intervenuta la legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), che, nell’ambito di una più generale revisione del procedimento penale dinanzi al tribunale, anche in composizione monocratica, ha, in particolare, modificato sia alcune delle norme denunciate sia quelle assunte dai rimettenti quali termini di raffronto ai fini della prospettazione del dubbio di costituzionalità;

 che, per effetto della nuova disciplina, il previo invito all’indagato a presentarsi per rendere interrogatorio nell’ambito delle indagini preliminari non costituisce più un obbligo incondizionato per il pubblico ministero, bensì è previsto, come atto eventuale, solo in seguito a una specifica richiesta in tal senso da parte dell’indagato, cui deve essere comunicato l’«avviso della conclusione delle indagini preliminari» (art. 415-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 17, comma 2, della legge n. 479 del 1999);

 che, in connessione con la anzidetta diversa configurazione dell’eventuale contraddittorio tra pubblico ministero e indagato, è stata correlativamente posta una nuova e diversa disciplina circa la nullità degli atti di citazione a giudizio, nei casi di omissione dell’avviso e dell’eventuale invito a presentarsi (v. gli artt. 416, comma 1, e 552, comma 2 – quest’ultimo “sostitutivo” dell’art. 555 previgente – cod. proc. pen., quali modificati dagli artt. 17, comma 3, e 44 della legge n. 479 del 1999);

 che, stante il complessivo mutamento del quadro normativo assunto dai rimettenti a oggetto o comunque a premessa delle censure di incostituzionalità, occorre restituire gli atti agli stessi giudici, a essi spettando di valutare se, a seguito delle modifiche intervenute nella disciplina processuale in esame, le questioni sollevate siano, nei giudizi principali, tuttora rilevanti nei termini in cui sono state proposte.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

 ordina la restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Latina e al Tribunale di Vibo Valentia – sezione distaccata di Tropea.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria l'11 luglio 2000.