Ordinanza n. 266/2000
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ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto legislativo 15 settembre 1997, n. 342 (Disposizioni in materia di contabilità, di equilibrio e di dissesto finanziario degli enti locali), promosso con ordinanza emessa il 18 settembre 1998 dal Pretore di Foggia, iscritta al n. 388 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2000 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 18 settembre 1998, pervenuta a questa Corte il 21 giugno 1999, il Pretore di Foggia, nel corso di un giudizio civile di opposizione a decreto ingiuntivo emesso su richiesta di un professionista nei confronti di un Comune per il pagamento di una parcella relativa ad attività di progettazione ultimata nel 1992, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, del decreto legislativo 15 settembre 1997, n. 342 (Disposizioni in materia di contabilità, di equilibrio e di dissesto finanziario degli enti locali), “nella parte in cui non prevede l’efficacia retroattiva, a far tempo dall’entrata in vigore della normativa di cui al d.l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modifiche, in l. 24 aprile 1989, n. 144, della disposizione contenuta nell’art. 5, introdotta in sostituzione della lettera e, comma 1, dell’art. 37 d. lgs. 25 febbraio 1995, n. 77”;

che il remittente premette non potersi dubitare del conferimento dell’incarico professionale e della sussistenza di un contratto apparentemente valido anche sul piano formale; ma che tuttavia, mancando nella deliberazione autorizzativa del Comune l’impegno contabile registrato sul competente capitolo di bilancio e l’attestazione della copertura finanziaria, di cui all’art. 55, comma 5, della legge 8 giugno 1990, n. 142, detta deliberazione deve ritenersi nulla e comunque inefficace per la pubblica amministrazione, in forza dell’art. 23 del decreto legge n. 66 del 1989, ai cui sensi l’effettuazione delle spese è consentita ai Comuni esclusivamente se sussistano la deliberazione autorizzativa nelle forme previste dalla legge nonché l’impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio (comma 3), e “nel caso in cui vi sia stata l'acquisizione di beni o servizi in violazione dell'obbligo indicato nel comma 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura” (comma 4);

che pertanto, secondo il remittente, il creditore dovrebbe agire personalmente nei confronti degli amministratori, senza potersi avvalere dell’azione sussidiaria di arricchimento senza causa, prevista dall’art. 2041 cod. civ., nei confronti del Comune, che pur ha tratto utilità e arricchimento dalla sua prestazione professionale;

che la richiamata normativa – sostanzialmente confermata, pur dopo l’abrogazione del citato art. 23 del d.l. n. 66 del 1989 (art. 123, comma 1, lettera n, del d. lgs. n. 77 del 1995), dall’art. 35 del d. lgs. n. 77 del 1995 – sarebbe stata, ad avviso del remittente, palesemente ingiusta, in quanto avrebbe penalizzato da un lato “gli ignari fornitori e prestatori d’opera, i quali hanno fatto o fanno affidamento sull’apparenza giuridica del rapporto con l’ente pubblico”, dall’altro lato gli amministratori e i funzionari che, “senza alcun tornaconto personale, consentono la fornitura nell’interesse esclusivo del medesimo ente” cui, in definitiva, deve ritenersi imputabile il loro operato in virtù del principio dell’immedesimazione organica (art. 28 della Costituzione); a tale ingiustizia avrebbe posto riparo l’art. 5 del d. lgs. 15 settembre 1997, n. 342, il quale, sostituendo la lettera e del comma 1 dell’art. 37 del d. lgs n. 77 del 1995 (che, nel testo originario, prevedeva la possibilità per gli enti locali di riconoscere la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da fatti e provvedimenti ai quali non avessero concorso interventi o decisioni di amministratori o dipendenti dell'ente), ha introdotto la possibilità del riconoscimento dei debiti fuori bilancio nel caso di “acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 35, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”: fattispecie nella quale, secondo il giudice a quo, rientrerebbe il caso ad esso sottoposto, ricorrendo l’ipotesi di indebito ed ingiustificato arricchimento dell’ente;

che tuttavia, argomenta il remittente, tale normativa sopravvenuta non potrebbe trovare applicazione nel caso specifico, in quanto essa ha portata innovativa non retroattiva, e dunque la fattispecie dovrebbe continuare ad essere regolata secondo la normativa in vigore all’epoca della delibera di conferimento dell’incarico, a termini della quale il debito non potrebbe essere riconosciuto dall’ente, trattandosi di atto intervenuto con il concorso di amministratori dell’ente;

che ad avviso del giudice a quo, peraltro, l’irretroattività della norma sopravvenuta di cui all’art. 5 del d. lgs. n. 342 del 1997 si risolverebbe in una ingiustificata e irrazionale menomazione delle posizioni soggettive di coloro che hanno effettuato prestazioni “attinte dall’iniqua normativa precedente” e degli amministratori che ne hanno consentito l’esecuzione, operando nell’esclusivo interesse dell’ente;

che pertanto si profilerebbe il dubbio di illegittimità costituzionale della normativa sopravvenuta, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, stante l’ingiustificata disparità di trattamento in danno delle posizioni soggettive non attinte retroattivamente da detta normativa, che avrebbe fatto venir meno solo per l’avvenire la palese iniquità delle disposizioni previgenti; nonché per contrasto con l’art. 24 della Costituzione, in quanto essa limiterebbe la tutela delle medesime posizioni soggettive, apprestandola solo per il futuro;

che il remittente motiva la rilevanza della questione sollevata osservando che da essa dipenderebbe l’accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo, poiché il Comune, sulla base della normativa sospettata di illegittimità costituzionale, in quanto non applicabile retroattivamente, non avrebbe alcun obbligo di riconoscere la legittimità del debito, mentre l’opposizione stessa verrebbe rigettata, se fosse pronunciata l’illegittimità costituzionale della norma denunciata, rendendo applicabile anche retroattivamente la disciplina introdotta dal citato art. 5 del d. lgs. n. 342 del 1997;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;

che, secondo l’Avvocatura erariale, sussisterebbero dubbi sulla rilevanza della questione, in quanto il conferimento dell’incarico professionale di cui è causa non potrebbe essere desunto, come sembrerebbe fare il remittente, dalle delibere dell’ente, poiché esso richiede, a pena di nullità, un atto redatto in forma scritta e sottoscritto dal rappresentante esterno dell’ente e dal professionista; né, nella specie, risulterebbe proposta espressamente un’azione di indebito arricchimento;

che, nel merito, la questione sarebbe comunque infondata, in quanto la configurabilità di profili di incostituzionalità della normativa contenuta originariamente nell’art. 23 del d.l. n. 66 del 1989 è stata già esclusa da questa Corte (sentenze n. 446 del 1995 e n. 295 del 1997); e non potrebbe ritenersi illegittima una successiva disposizione di legge che definisca una nuova regolamentazione della materia, senza stabilirne la portata retroattiva;

che l’Avvocatura erariale sottolinea altresì come la disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 342 del 1997 non altererebbe in modo sostanziale la disciplina previgente, in quanto la possibilità per il privato di ottenere dall’ente il pagamento delle proprie spettanze resta subordinata ad un atto formale dell’ente medesimo, che ha effetto costitutivo dell’obbligazione e ne determina le modalità di pagamento, mentre fino a quando tale deliberazione non sia adottata l’unico soggetto obbligato nei riguardi del privato fornitore è l’amministratore.

Considerato che non può essere accolta l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa del Presidente del Consiglio, fondata sulla asserita nullità del conferimento dell’incarico professionale per mancanza della forma scritta, in quanto il remittente, a cui spetta l’accertamento dei fatti di causa, espressamente afferma di non dubitare della sussistenza di un valido contratto;

che la questione si palesa però manifestamente infondata, in quanto è erroneo il presupposto, sul quale essa si basa, dell’affermata inapplicabilità della disciplina recata dall’art. 5 del d. lgs. n. 342 del 1997 a fattispecie di acquisizione di beni o servizi intervenute prima dell’entrata in vigore della predetta disposizione;

che, al contrario, la nuova lettera e dell’art. 37, comma 1, del d. lgs n. 77 del 1995, come sostituita dall’art. 5 del d. lgs. n. 342, ammette il riconoscimento ex post di debiti fuori bilancio per acquisizione di beni e servizi avvenuta in violazione degli obblighi di natura contabile previsti dall’art. 35 del medesimo d. lgs. n. 77 del 1995, il quale non fa che confermare sostanzialmente, aggravandoli, gli obblighi già previsti dall’art. 23 del d.l. n. 66 del 1989, confermando altresì, nel caso di violazione degli stessi, la disciplina secondo cui il rapporto obbligatorio intercorre solo con l’amministratore o il funzionario che ha consentito la fornitura (art. 35 cit., comma 4, corrispondente all’art. 23, comma 4, del d.l. n. 66 del 1989): sicché ammette il riconoscimento di debiti il cui fatto costitutivo può collocarsi in qualsiasi tempo successivo alla introduzione legislativa di detti obblighi.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d. lgs. 15 settembre 1997, n. 342 (Disposizioni in materia di contabilità, di equilibrio e di dissesto finanziario degli enti locali), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Foggia con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria l'11 luglio 2000.