Ordinanza n. 229/2000

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ORDINANZA N. 229

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 289 del codice di procedura penale, promossi con due ordinanze emesse il 25 febbraio 1999 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria nei procedimenti penali a carico di C. D. ed altri e di C.G., iscritte ai nn. 381 e 385 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 27 e 28, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

 Ritenuto che con due ordinanze di eguale tenore il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 289 del codice di procedura penale, nella parte in cui impone al giudice per le indagini preliminari di procedere all'interrogatorio dell'indagato prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero di sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio;

 che il rimettente premette di essere stato investito della richiesta del pubblico ministero di applicazione della misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio nei confronti di alcuni pubblici ufficiali sottoposti ad indagini per il reato di cui all'art. 323 cod. pen., e che, a norma dell'art. 289, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall'art. 2 della legge 16 luglio 1997, n. 234, il giudice prima di decidere sulla richiesta deve procedere all'interrogatorio dell'indagato;

che ad avviso del giudice a quo tale disciplina si pone in contrasto con i sopra menzionati parametri costituzionali e, in particolare:

- con l'art. 3 Cost., in quanto, essendo il previo interrogatorio previsto solo in relazione alla misura della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, e non per le altre misure interdittive (sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori e divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali) e, più in generale, per le misure coercitive, si determina una irragionevole disparità di trattamento tra situazioni analoghe, ed inoltre perché, consentendosi all'indagato di conoscere in anticipo le determinazioni del pubblico ministero, viene introdotta una irragionevole parità tra accusa e difesa nella fase che attiene all'esercizio dell'azione cautelare, con conseguente lesione degli interessi della prevenzione speciale e della salvaguardia della collettività, affidati nel sistema all'iniziativa cautelare del pubblico ministero;

- con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto l'anticipazione del contraddittorio prima dell'emissione della misura solo nei confronti di determinati soggetti viola il principio di eguaglianza e il diritto di difesa nei confronti di tutti gli altri indagati passibili di una misura cautelare personale e, paradossalmente, proprio in danno dei destinatari di misure che incidono sulla libertà personale;

 che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che con due distinti atti di intervento ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata, rilevando in particolare, con riferimento all'ordinanza r.o. n. 381 del 1999, che la diversità dello status del privato cittadino e del pubblico ufficiale e l'interesse pubblico sul quale è potenzialmente destinata ad incidere l'interdizione del pubblico ufficiale giustificano la disciplina differenziata;

che nell'atto di intervento relativo all'ordinanza r.o. n. 385 del 1999 l'Avvocatura ha inoltre sottolineato che la denunciata disparità di trattamento potrebbe assumere rilevanza solo in una situazione processuale nella quale non risultino applicabili le maggiori garanzie previste dall'art. 289, comma 2, cod. proc. pen. in tema di sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio.

 Considerato che le due ordinanze di rimessione sollevano identica questione, per cui deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi di costituzionalità;

che il rimettente, constatato che il "privilegio" dell'interrogatorio prima dell'emissione della misura cautelare, previsto dall'art. 289, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 234 del 1997, è riconosciuto solo in relazione ad una specifica misura interdittiva - la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio - e solo in favore di una determinata categoria di soggetti - i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio -, rileva che tale disciplina differenziata determina una ingiustificata disparità di trattamento ed una conseguente violazione del diritto di difesa in danno dei soggetti nei cui confronti l'emissione di misure cautelari non è preceduta dall’interrogatorio, ma in sostanza lamenta che la nuova disciplina abbia introdotto un irragionevole momento di contraddittorio preventivo tra il giudice e la persona sottoposta alle indagini, <<non armonizzabile>> con l'intero sistema delle misure cautelari;

che la disciplina sottoposta a censura, in quanto amplia la sfera delle garanzie dei soggetti in favore dei quali è destinata ad operare, con particolare riferimento al diritto di difesa, non si pone in contrasto con gli invocati parametri costituzionali;

che – come si ricava anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in relazione alla misura interdittiva in esame, l'obbligo del previo interrogatorio opera per qualsiasi reato per cui si proceda nei confronti del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio - la ratio della disposizione censurata sembra essere rinvenibile nell'esigenza di verificare anticipatamente che la misura della sospensione dall'ufficio o dal servizio non rechi, senza effettiva necessità, pregiudizio alla continuità della pubblica funzione o del servizio pubblico;

che la disciplina volta ad attuare tale esigenza rientra nel novero delle scelte discrezionali del legislatore, non sindacabili in sede di scrutinio di legittimità costituzionale, ove esercitate in modo non irragionevole;

che, nei termini in cui è posta, la questione di legittimità costituzionale va pertanto dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 289 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, con le ordinanze in epigrafe.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 giugno 2000.