Ordinanza n. 192/2000

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ORDINANZA N. 192

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI   

- Cesare RUPERTO  

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA  

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI  

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI  

- Annibale MARINI  

- Franco BILE   

- Giovanni Maria FLICK  

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi primo e terzo, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento della professione di avvocato e procuratore), convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36 (Conversione in legge, con modificazioni, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, riguardante l’ordinamento della professione di avvocato e procuratore), promosso con ordinanza emessa il 23 marzo 1999 dal Pretore di Venezia nel procedimento penale a carico di Maffei Vito, iscritta al n. 363 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2000 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

  Ritenuto che nel corso del procedimento penale per il reato di cui all’art. 498 del codice penale, richiamato dall’art. 1 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento della professione di avvocato e procuratore), convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36 (Conversione in legge, con modificazioni, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, riguardante l’ordinamento della professione di avvocato e procuratore), il Pretore di Venezia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 33, quinto comma, e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, primo e terzo comma, del citato regio decreto-legge;

  che l’imputato, cancelliere dirigente di un ufficio giudiziario, era accusato di utilizzare, nella formazione degli atti sottoscritti per ragioni del proprio ufficio, un timbro recante il titolo di procuratore legale (titolo ora soppresso e corrispondente a quello di avvocato), pur non essendo mai stato iscritto nel relativo albo professionale;

  che l’imputato aveva ottenuto l’idoneità all’esercizio della professione legale in data 5 febbraio 1990, superando l’esame di abilitazione;

  che l’art. 498 del codice penale, richiamato dall’art. 1 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, convertito nella legge n. 36 del 1934, punisce chiunque assuma il titolo di procuratore legale (ora di avvocato) se non è iscritto nell’albo corrispondente;

  che nel giudizio a quo la difesa ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 del citato regio decreto-legge, per lesione degli artt. 33, quinto comma, e 3 della Costituzione;

  che sussisterebbero i presupposti per l’accoglimento della questione, perché il giudice a quo ha osservato, quanto alla rilevanza, che il capo di imputazione richiama il suddetto art. 1; e, con riguardo alla non manifesta infondatezza, che l’art. 33, quinto comma, della Costituzione, prescrive il superamento di un esame di Stato senza far menzione dell’iscrizione all’albo professionale, quale condizione per l’esercizio professionale;

  che, a maggior ragione, sarebbe in contrasto con l’articolo 33 della Costituzione la previsione di una sanzione penale per colui che utilizzi il titolo, avendo superato l’esame di abilitazione professionale senza essere iscritto all’albo;

  che ciò emergerebbe, altresì, dal fatto che l’iscrizione, intervenuta dopo il superamento dell’esame, costituisce un atto dovuto, meramente ricognitivo, e l’esame il presupposto sostanziale e costitutivo dell’abilitazione;

  che analogo obbligo non è previsto per i dottori commercialisti, i quali possono avvalersi del titolo professionale dopo aver superato l’esame di abilitazione, pur se non iscritti all’albo;

  che tale disparità di trattamento fra procuratori legali e dottori commercialisti sarebbe ingiustificata e violerebbe il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione;

  che, inoltre, agli avvocati (in passato anche ai procuratori legali) cancellati dall’albo è consentito l’uso del titolo;

  che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, chiedendo una pronuncia d’inammissibilità o di infondatezza;

  che, secondo l’Avvocatura, la disposizione di cui all’art. 1, primo e terzo comma, del citato regio decreto-legge n. 1578 del 1933 non violerebbe l’art. 33 della Costituzione, per il quale l’abilitazione all’esercizio della professione non è necessariamente una conseguenza automatica del superamento dell’esame di Stato; né lederebbe l’art. 3, attesa la differenza tra le situazioni invocate, in quanto gli avvocati svolgono un servizio pubblico, ciò che non può dirsi per i dottori commercialisti.

  Considerato che, dopo la proposizione della questione, è entrato in vigore il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), il quale, all’art. 43, ha modificato l’art. 498 del codice penale, stabilendo per le violazioni, ivi previste, l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria;

  che, pertanto, gli atti vanno restituiti al giudice a quo perché riesamini la rilevanza della questione alla luce del ius superveniens.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  ordina la restituzione degli atti al Pretore di Venezia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2000

Cesare MIRABELLI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 giugno 2000