Ordinanza n. 191/2000

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ORDINANZA N. 191

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI   

- Cesare RUPERTO  

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA  

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI  

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI  

- Annibale MARINI  

- Franco BILE    

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 477, comma 2, del codice di procedura penale e degli artt. 2 e 8 della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge), promosso con ordinanza emessa il 9 novembre 1998 dal Pretore di Varese nel procedimento penale a carico di Passini Ivano, iscritta al n. 102 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 10, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 2000 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

 Ritenuto che nel corso di un procedimento penale i difensori proponevano istanze di rinvio, intendendo astenersi dalle udienze in ottemperanza a una delibera dell’Unione delle camere penali italiane;

 che dette istanze erano rigettate, non essendo stata deliberata la protesta con l’osservanza delle regole in materia di preavviso;

 che il Pretore di Varese - invitato da altro difensore a “prendere atto” dell’astensione dall’udienza ai sensi dell’art. 40 della Costituzione - sollevava, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 40 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 477, comma 2, del codice di procedura penale, e degli artt. 2 e 8 della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge);

 che, ad avviso del rimettente, questa seconda iniziativa si porrebbe su un piano diverso rispetto a quello considerato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 171 del 1996 per l’impossibilità di applicare d’ufficio l’art. 486, comma 5, del codice di procedura penale, integrando la richiesta di “presa d’atto” dell’astensione, nella sua materialità, una eccezionale ipotesi di sospensione del processo, direttamente fondata sull’esercizio d’un diritto tutelato dalla Costituzione, onde l’applicabilità del citato art. 477;

 che, tuttavia, questa disposizione lederebbe l’art. 40 della Costituzione, affidando soltanto agli avvocati il potere di valutazione discrezionale, volto a contemperare il principio della concentrazione del dibattimento con l’esigenza di permettere sospensioni di breve durata per motivi non codificati;

 che si può parlare, secondo il Pretore, di diritto di sciopero anche alla luce della sentenza n. 222 del 1975 di questa Corte, la quale, con riguardo alla legittimità dell’art. 506 del codice penale, definì “sciopero” l’astensione dal lavoro compiuta da una pluralità di lavoratori che agiscono d’accordo per il perseguimento di un comune interesse, indipendentemente da rapporti di subordinazione o parasubordinazione;

 che allo stesso modo sarebbe ascrivibile allo sciopero l’astensione dal lavoro di liberi professionisti, nella specie avvocati, che ritengano di dover interrompere le loro prestazioni (in tutto o in parte) per motivi politici;

 che simili comportamenti - per i quali deve comunque operare il bilanciamento dei valori in gioco - non risultano regolati, e producono quindi effetti lesivi del principio di buon andamento dell’amministrazione e dei diritti delle vittime dei reati, allungandosi i tempi di celebrazione dei processi;

 che è soltanto il ripristino della legalità ad assicurare il diritto all’uguaglianza di cui all’art. 3, secondo comma, della Costituzione;

 che diventa necessario - stando alla prospettazione del giudice a quo - sottoporre a esame di costituzionalità tutti quegli articoli della legge n. 146 del 1990, ove si prevede il minimo assoluto di garanzia dei servizi elencati nell’art. 1, comma 2, di essa;

 che, in particolare, gli artt. 2 e 8 si riferiscono esclusivamente alle “amministrazioni” e alle “imprese” erogatrici dei servizi essenziali e non a tutti gli altri “soggetti” ai quali è riconosciuto il diritto di sciopero e che, pertanto, sfuggono alle previsioni della legge, potendolo esercitare con modalità non regolate e, in conseguenza, contrastanti con la Costituzione;

 che la Corte europea dei diritti dell’uomo, con le sentenze del 20 maggio 1998 (Schopfer c. Svizzera) e 22 ottobre 1997 (Papageorgiou c. Grecia), qualifica gli avvocati come gli intermediari fra i cittadini sottoposti a giudizio e i tribunali, giustificando l’esistenza di una normativa di condotta imposta nei loro confronti: onde la censura per quei comportamenti controproducenti, quali gli scioperi di lunga durata;

 che, in conclusione, lo “sciopero” degli avvocati può assumere una duplice configurazione: impedimento di natura processuale, la cui efficacia sospensiva è rimessa alla valutazione del giudice, o mero fatto giuridico, che è manifestazione di un diritto costituzionalmente tutelato e non è dunque riconducibile a valutazione processuale; fatto giuridico che, però, si palesa “potenzialmente lesivo di altre norme costituzionali, in difetto di tutela - mediante un’applicazione diretta agli avvocati delle norme della legge n. 146 del 1990 - dei diritti da esse garantiti”;

 che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dell’Avvocatura dello Stato, che - rifacendosi alla sentenza n. 171 - ha concluso per l’inammissibilità o per l’infondatezza della questione.

 Considerato che la prospettazione del giudice a quo investe l’art. 477, comma 2, del codice di procedura penale, che è disposizione palesemente estranea rispetto all’adesione alla protesta proclamata dalle organizzazioni forensi e alla conseguente astensione dall’udienza;

 che la richiesta di “presa d’atto” rivolta al giudice non costituisce istanza processualmente apprezzabile e tanto meno sussumibile sotto la disposizione censurata;

 che l’astensione dalle udienze comporta - ove sussistano i presupposti - l’applicazione dell’art. 486, comma 5, del codice di procedura penale, nei limiti di quanto questa Corte ha già affermato con la sentenza n. 171 del 1996 e con le ordinanze nn. 175, 106 e 105 del 1998, nonché 318 e 273 del 1996;

 che, pertanto, la questione è manifestamente inammissibile.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 477, comma 2, del codice di procedura penale, nonché degli artt. 2 e 8 della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge), sollevata, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 40 e 97 della Costituzione, dal Pretore di Varese con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2000

Cesare MIRABELLI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 giugno 2000