Sentenza n. 183/2000

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SENTENZA N. 183

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 59, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza emessa il 30 gennaio 1999 dal Pretore di Messina nel procedimento penale a carico di P. R., iscritta al n. 357 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

1. Il Pretore di Messina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 59, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), «interpretato nel senso che per la concessione del beneficio della sostituzione della pena detentiva è necessario che siano trascorsi dieci anni fra il fatto e la sentenza con cui viene inflitta la pena da sostituire».

Il giudice a quo premette che aveva pronunciato sentenza di applicazione della pena per il delitto di ricettazione e che la pena detentiva inflitta era stata sostituita, sull'accordo delle parti, in pena pecuniaria ai sensi degli artt. 53 e seguenti della legge n. 689 del 1981. Il procuratore generale aveva presentato ricorso adducendo che l'imputato aveva riportato numerose condanne per furto e che il capoverso dell'art. 59 della predetta legge espressamente vieta la sostituzione della pena detentiva nei confronti di chi sia stato condannato per più di due volte per reati della stessa indole. La Corte di cassazione aveva, quindi, annullato la sentenza, rilevando che il ricorso del pubblico ministero «risulta fondato al confronto con il certificato penale, sicché illegittima è la disposta sostituzione della pena» ed aveva restituito gli atti al Pretore. L'imputato veniva pertanto citato per il nuovo giudizio e preliminarmente eccepiva l’illegittimità costituzionale dell’art. 59, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, interpretato nel senso fatto proprio dalla Cassazione nel caso di specie.

 Ad avviso del rimettente il nuovo giudizio risulta effettivamente «condizionato dalla applicazione che della norma censurata è stata fatta dalla Corte di cassazione», giacché «soltanto ove la questione si rivelasse fondata, l'imputato potrebbe riproporre un patteggiamento nei medesimi termini di quello già annullato».

Nel merito, il Pretore rileva che la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 59 della legge n. 689 del 1981 consente due letture: secondo una prima interpretazione, «più aderente al tenore testuale» della norma, l'esclusione dal beneficio opererebbe in presenza delle seguenti condizioni: «a) che la distanza fra la data della sentenza di condanna ed il tempus commissi delicti non sia superiore ai dieci anni; b) che il condannato abbia riportato, in qualsiasi momento anche remoto, almeno tre condanne per reati della stessa indole». Secondo l’altra «possibile interpretazione», invece, il beneficio sarebbe precluso nei confronti di «colui che - nei dieci anni precedenti alla sentenza con la quale si infligge la pena detentiva da convertire - abbia riportato più di due condanne per reati della stessa indole».

 A parere del giudice a quo la prima delle due interpretazioni sarebbe, nonostante la succinta motivazione, quella seguita dalla Corte di cassazione nel caso di specie; essa, tuttavia, risulterebbe non conforme a Costituzione per più profili.

Innanzitutto sarebbe violato il principio di eguaglianza, in quanto la «meritevolezza del beneficio» verrebbe fatta dipendere da vicende estranee all'imputato e da questo non controllabili, come la durata del processo: in sostanza, deduce il rimettente, le «lungaggini processuali […] gioverebbero al prevenuto, facendolo divenire nel frattempo “meritevole” di un beneficio che una sentenza tempestiva gli avrebbe dovuto negare».

Risulterebbe, inoltre, violato l'art. 27, terzo comma, Cost., in quanto una «sanzione comminata in forza di una norma che tratta in modo diseguale condotte sostanzialmente analoghe» non potrebbe svolgere una effettiva funzione rieducativa. Funzione che, a parere del giudice a quo, risulterebbe compromessa anche perché, alla stregua dell’interpretazione seguita dalla Corte di cassazione, la disposizione impugnata introdurrebbe «un criterio di meritevolezza soggettiva del beneficio (distanza di almeno dieci anni fra la commissione del fatto e la sentenza di condanna) del tutto inidoneo ad apprezzare l'effettivo grado di pericolosità sociale del condannato e le sue potenzialità di recupero e riabilitazione».

 Il rimettente conclude che i profili di illegittimità costituzionale potrebbero essere superati ove non venisse seguita la tesi interpretativa avallata dalla Cassazione: l'imputato che «nei dieci anni precedenti alla commissione del fatto per cui viene giudicato non ha riportato altre condanne per reati analoghi dimostra una non accentuata propensione a delinquere» e sarebbe pertanto «meritevole di una esecuzione della pena senza carcerazione».

2. Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. A parere dell'Avvocatura l'interpretazione ritenuta illegittima non può considerarsi "diritto vivente", avendo la Corte di cassazione ritenuto in diverse pronunce che la condizione soggettiva ostativa consiste nell'aver riportato più di due sentenze di condanna per reati della stessa indole nel decennio antecedente la data di commissione del fatto oggetto del giudizio. La questione sarebbe, dunque, inammissibile, in quanto con essa si prospetta un mero dubbio interpretativo, richiedendosi alla Corte la scelta fra due interpretazioni, una delle quali costituzionalmente legittima.

Considerato in diritto

1.— L’ordinanza di rimessione pone la questione di costituzionalità dell’art. 59, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), interpretato nel senso che per la concessione del beneficio della sostituzione della pena detentiva è necessario che siano trascorsi dieci anni tra il fatto e la sentenza con cui viene inflitta la pena da sostituire.

Ai fini della rilevanza il giudice rimettente precisa che l’interpretazione alla quale risulta avere aderito la Corte di cassazione comporta che l'imputato non rientrerebbe nelle condizioni per ottenere il beneficio della sostituzione, in quanto la sentenza di condanna è stata pronunciata a meno di dieci anni dalla data di commissione del fatto e l'imputato stesso ha in precedenza riportato più di due condanne per reati della stessa indole, sia pure in epoca remota (la condanna più recente è divenuta irrevocabile nel 1976); ove, invece, venga seguita la seconda interpretazione, l'imputato potrebbe usufruire della sostituzione della pena, posto che nei dieci anni precedenti alla commissione del delitto ora oggetto di giudizio non ha riportato alcuna condanna.

Ad avviso del giudice a quo, l’interpretazione seguita dalla Cassazione si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, in quanto la valutazione in ordine alla «meritevolezza del beneficio» verrebbe fatta dipendere da vicende estranee all'imputato e da lui non controllabili - quali appunto le lungaggini del processo - in assenza di qualsiasi ratio che conferisca plausibilità alla condizione posta dalla norma censurata, nonché con il principio della finalità rieducativa della pena, posto che verrebbe introdotto un «criterio di meritevolezza soggettiva», quale il lasso temporale tra la commissione del fatto e la sentenza di condanna alla pena detentiva da sostituire, «del tutto inidoneo ad apprezzare l'effettivo grado di pericolosità sociale del condannato e le sue potenzialità di recupero e riabilitazione». I profili di illegittimità - conclude il giudice a quo - potrebbero invece essere superati ove i rapporti tra l'alinea e la lettera a) del secondo comma dell'art. 59 venissero ricostruiti nel senso che il termine decennale va riferito ai dieci anni precedenti alla commissione del fatto per cui all'imputato è stata irrogata la pena detentiva da sostituire e che entro tale lasso di tempo l'imputato non deve avere riportato altre condanne per reati della stessa indole.

2.- La censura prospettata dal rimettente concerne la disciplina delle condizioni soggettive ostative alla sostituzione della pena detentiva, delineata dall'art. 59 della legge n. 689 del 1981.

Il primo comma della norma in esame pone innanzitutto il divieto di sostituire la pena detentiva nei confronti di coloro che, essendo già stati condannati, con una o più sentenze, a pena detentiva complessivamente superiore a due anni di reclusione, hanno commesso il reato nei cinque anni dalla condanna precedente. Nei trascorsi giudiziari dell’imputato e nel lasso di tempo tra la precedente condanna e il reato per cui viene irrogata una pena detentiva sostituibile va dunque ravvisata la ratio su cui si fondano le situazioni soggettive che implicano una valutazione negativa ai fini della concessione del beneficio.

Trascorsi giudiziari e fattore temporale, non necessariamente coesistenti, ricorrono anche nelle altre condizioni ostative di cui al secondo comma dell'art. 59.

Sotto il primo aspetto, la pena detentiva non può infatti essere sostituita: nei confronti di coloro che siano stati condannati più di due volte per reati della stessa indole (lettera a); nei confronti del soggetto, già condannato a pena sostitutiva inflitta con precedente condanna, che abbia violato le prescrizioni inerenti alla semidetenzione o alla libertà controllata e che pertanto abbia subito la conversione della residua pena in pena detentiva (lettera b, prima parte); nei confronti di coloro ai quali sia stata revocata la concessione del regime di semilibertà (lettera b, seconda parte); nei confronti di coloro che hanno commesso il reato mentre si trovavano sottoposti alla misura di sicurezza della libertà vigilata o alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale (lettera c).

In secondo luogo, come risulta dall'alinea del secondo comma dell'art. 59, che costituisce il presupposto comune di operatività delle condizioni ora indicate, le condizioni stesse hanno effetto ostativo alla sostituzione della pena detentiva solo quando questa sia stata «comminata [rectius: irrogata] per un fatto commesso nell'ultimo decennio». Tale clausola, interpretata letteralmente, non risulta collegata ad una condizione soggettiva dell'imputato o, comunque, a comportamenti a lui addebitabili, ma al dato oggettivo dell’intervallo temporale tra il momento in cui è stato commesso il reato e quello in cui è stata irrogata la pena detentiva sostituibile, con la conseguenza che le condizioni ostative di cui alle lettere a), b) e c) operano solo se tale lasso di tempo è inferiore a dieci anni.

Il rimettente chiede appunto una dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma in esame, nella parte in cui collega le condizioni ostative di cui al secondo comma alla durata dell'intervallo temporale tra la commissione del fatto e l'irrogazione della pena detentiva; ma prospetta anche una soluzione additiva-manipolativa, nel senso che il termine decennale di cui alla fattispecie risultante dall'alinea e dalla lettera a) del secondo comma dell'art. 59 andrebbe riferito all'intervallo tra la commissione del fatto per cui all'imputato è stata irrogata la pena detentiva sostituibile e le precedenti condanne per reati della stessa indole.

3.- L’anomalia dell'inciso contenuto nell'alinea del secondo comma dell'art. 59 della legge n. 689 del 1981 è stata registrata sia in dottrina che in giurisprudenza. Gli autori che si sono impegnati nel tentativo di attribuire alla norma censurata un significato conforme alla disciplina generale delle condizioni ostative sono stati costretti a prendere atto che si tratta di un “problema esegetico pressoché insolubile”.

Al riguardo, anche i lavori parlamentari sull'art. 59 non forniscono indicazioni risolutive: da alcuni interventi pare di desumere che la formulazione dell'alinea del secondo comma, frutto di uno specifico emendamento del relatore, venne intesa, malgrado le precisazioni dello stesso relatore, nel senso che il termine decennale andasse riferito all'intervallo temporale tra le precedenti condanne per reati analoghi e il reato per cui era stata irrogata la pena detentiva sostituibile (v. resoconto stenografico della seduta del 7 maggio 1981 della Commissione giustizia del Senato).

Dal canto suo la giurisprudenza di legittimità non si è mai misurata con una ricognizione esaustiva del significato da attribuire al presupposto contenuto nell’alinea del secondo comma dell'art. 59 e con la ricostruzione dei rapporti con la condizione ostativa di cui alla lettera a), ma ha seguito sia l'interpretazione suggerita dal tenore letterale dell'inciso oggetto della censura di legittimità costituzionale, sia, in alcune più recenti decisioni, quella che collega il termine decennale all'intervallo temporale tra le precedenti condanne e il fatto per cui è stata irrogata la pena detentiva, nel senso che le condanne ostative per reati della stessa indole sono quelle intervenute nel decennio anteriore, senza peraltro soffermarsi sulle ragioni delle rispettive scelte.

4.– Se si accogliesse la questione di legittimità mediante la caducazione dell'inciso contenuto nell’alinea del secondo comma dell'art. 59, si determinerebbero effetti in malam partem rispetto all'attuale disciplina.

Infatti, l'eliminazione del presupposto secondo cui la pena detentiva sostituibile deve essere irrogata per un fatto commesso nell'ultimo decennio amplierebbe la sfera di applicazione delle condizioni ostative contemplate nelle lettere a), b) e c): la sostituzione della pena detentiva risulterebbe in ogni caso preclusa, anche nelle ipotesi, sia pure del tutto eccezionali, in cui l'intervallo temporale tra la commissione del fatto e l'irrogazione della pena detentiva sia superiore a dieci anni e non sia ancora maturata la prescrizione del reato. Interventi volti a modificare in peggio la posizione del destinatario della legge penale sostanziale sono però preclusi a questa Corte, rientrando nella sfera esclusiva della discrezionalità del legislatore: sotto questo profilo, la questione va pertanto dichiarata inammissibile.

5.– Seguendo, poi, la soluzione additiva-manipolativa prospettata dal rimettente in ordine ai rapporti tra l'alinea e la lettera a) del secondo comma dell'art. 59, si deve rilevare che da essa potrebbero derivare nuove incertezze interpretative sia in relazione alla condizione ostativa prevista dalla seconda parte della lettera c), che, a differenza di tutte le altre condizioni, non risulta collegata ad alcuna condanna precedente, sia nei confronti delle altre condizioni ostative previste nelle lettere b) e c): ove alla clausola di cui all'alinea del secondo comma dell'art. 59 venisse attribuito un significato diverso da quello letterale, ne deriverebbe comunque la necessità di un intervento del legislatore per ricostruire il sistema delle condizioni ostative, eventualmente sulla base di diversi parametri di meritevolezza, con riferimento sia all'entità delle precedenti condanne, sia al lasso di tempo intercorrente tra esse e l'irrogazione della pena detentiva sostituibile.

Anche sotto questo profilo la questione va pertanto dichiarata inammissibile, in quanto rientrano esclusivamente nella sfera della discrezionalità del legislatore le opportune scelte volte a superare le contraddizioni derivanti dalla formulazione della norma sottoposta a censura di costituzionalità.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 59, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Pretore di Messina, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 9 giugno 2000.