Ordinanza n. 136/2000

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ORDINANZA N. 136

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 187 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 2 aprile 1999 dal Pretore di Catania – sez. distaccata di Acireale nel procedimento di esecuzione a carico di Faro Santo iscritta al n. 417 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2000 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che il Pretore di Catania – Sezione distaccata di Acireale, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, nella parte in cui dispone che per reato più grave deve intendersi quello per il quale è stata in concreto inflitta la pena più grave, anche nel caso in cui tale pena è frutto dell’applicazione dell’istituto della continuazione fra più reati;

che a tal proposito il rimettente ha premesso in fatto di avere, quale giudice della esecuzione, applicato nei confronti di un condannato la continuazione tra i reati relativi a due sentenze di condanna, “ritenendo più grave (in considerazione del maggior importo dell’assegno) il reato giudicato con la sentenza 370/96 (emissione senza autorizzazione di assegno di lire 15.196.500) anziché l’analogo reato di cui al capo B) della sentenza 152/96 (emissione senza autorizzazione di assegno di lire 9.000.000)”;

che avverso tale decisione – ha puntualizzato ancora il rimettente – il pubblico ministero ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione di legge, in quanto a suo avviso il giudice della esecuzione avrebbe dovuto considerare come pena base quella di mesi cinque di reclusione inflitta con la sentenza 152/96, anche se tale pena si riferiva a più reati uniti dal vincolo della continuazione;

che la Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che “per reato più grave deve intendersi quello per il quale è stata in concreto inflitta la pena più grave e quindi, nel caso in esame, quello di cui alla sentenza 23.2.1996”, sicché, soggiunge il rimettente, secondo la Suprema Corte il giudice della esecuzione deve applicare l’aumento per la continuazione della pena più grave inflitta con una delle sentenze, prescindendo dai singoli reati che compongono l’intera imputazione;

che alla stregua di tale enunciato si determinerebbe, ad avviso del rimettente, una ingiustificata disparità di trattamento in ordine alla disciplina della continuazione a seconda che la stessa sia applicata nella fase del giudizio ovvero in executivis, giacché ove l’imputato sia stato giudicato in tempi successivi e quindi condannato con più sentenze, il giudice della esecuzione non potrà prendere in considerazione i singoli reati ai fini della individuazione del reato più grave, ma dovrà - secondo il principio di diritto affermato nel procedimento a quo - computare come pena base quella inflitta con una delle sentenze, anche se tale pena si riferisce a più reati;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato che, come emerge dal testo della ordinanza di rimessione, il giudice a quo è chiamato ad applicare in fase esecutiva la disciplina del reato continuato in relazione a sentenze di condanna pronunciate per il reato di emissione di assegni bancari senza autorizzazione;

che, successivamente alla pronuncia della ordinanza di rimessione, l’art. 28 del d. lgs. 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205) ha depenalizzato l’indicata fattispecie, sicché si impone, alla luce dello ius superveniens, la restituzione degli atti al giudice rimettente affinché verifichi se la questione sollevata sia tuttora rilevante.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Ordina la restituzione degli atti al Pretore di Catania – Sezione distaccata di Acireale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 maggio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in cancelleria il 10 maggio 2000.