Ordinanza n. 134/2000

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ORDINANZA N. 134

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Francesco GUIZZI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), come sostituito dall’art. 9-bis del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, introdotto dalla legge di conversione 2 giugno 1995, n. 216, promosso con ordinanza emessa il 10 febbraio 1999 dal Tribunale di Brindisi nel procedimento civile vertente tra Palma Rocco e il Comune di Ostuni iscritta al n. 232 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto che nel corso di una controversia civile promossa dal titolare di un’impresa edile nei confronti del Comune di Ostuni il Giudice unico del Tribunale di Brindisi ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 102 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), come sostituito dall’art. 9-bis del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, introdotto dalla legge di conversione 2 giugno 1995, n. 216;

che il giudice a quo ha osservato che il Comune di Ostuni, convenuto in un giudizio di risarcimento danni nell’ambito di un contratto di appalto stipulato in data 8 ottobre 1992, ha eccepito preliminarmente l’incompetenza del Tribunale di Brindisi, poiché l’art. 32 della legge n. 109 del 1994 imporrebbe il deferimento della controversia ad un collegio arbitrale;

che detta eccezione, basata sul testo della predetta norma introdotto dal citato art. 9-bis, è da ritenersi fondata perché, essendo stato l’atto di citazione notificato il 3 novembre 1995, a nulla rileva che l’art. 32 in questione sia stato sostituito dalla legge 18 novembre 1998, n. 415, la quale ha trasformato l’arbitrato da obbligatorio in facoltativo;

che in base alla norma impugnata, ove non si proceda all’accordo bonario, la definizione delle controversie è attribuita ad un arbitro; simile locuzione, nonostante il formale richiamo alle norme del titolo ottavo del libro quarto del codice di procedura civile, non può che intendersi nel senso che la controversia debba essere deferita all’arbitro, il che rende obbligatorio l’arbitrato in questione;

che la giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla sentenza n. 127 del 1977, ha costantemente ribadito l’illegittimità costituzionale dell’imposizione autoritativa del ricorso all’arbitrato, tanto che la successiva sentenza n. 152 del 1996, resa proprio nella materia dell’arbitrato nei lavori pubblici, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 della legge 10 dicembre 1981, n. 741, che sostituiva l’art. 47 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, “nella parte in cui non stabilisce che la competenza arbitrale può essere derogata anche con atto unilaterale di ciascuno dei contraenti”;

che da siffatto consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale deriva, pertanto, che la norma impugnata si pone in contrasto con gli artt. 24 e 102 della Carta fondamentale, i quali stabiliscono che la tutela dei diritti dev’essere attuata, di regola, tramite il ricorso alla giurisdizione ordinaria, e che soltanto eccezionalmente la medesima può essere devoluta agli arbitri;

che nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la prospettata questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

Considerato che, come ha rilevato il medesimo giudice a quo, la norma impugnata è stata successivamente modificata dall’art. 10 della legge 18 novembre 1998, n. 415, secondo cui tutte le controversie derivanti dall’esecuzione del contratto di appalto “possono” essere deferite ad arbitri, in tal modo individuando un’ipotesi di arbitrato certamente non obbligatorio;

che, nonostante l’art. 5 cod. proc. civ. abbia stabilito il principio dell’irrilevanza dei successivi mutamenti della legge in ordine alla determinazione della giurisdizione e della competenza, può ritenersi ormai acquisito che il processo deve continuare davanti al giudice adito non solo nel caso in cui questi, originariamente competente, cessi di esserlo a seguito di un successivo cambiamento dello stato di fatto o di diritto, ma anche nel caso in cui, aditosi un giudice incompetente, il medesimo diventi competente per una sopravvenuta modifica legislativa;

che tale interpretazione della regola della perpetuatio iurisdictionis, avallata più volte dalla giurisprudenza di legittimità al punto da costituire diritto vivente, trova il proprio ragionevole fondamento nell’opportunità di evitare pronunce di incompetenza che avrebbero come unico risultato quello di un inutile rallentamento dell’attività processuale;

che la Corte, come può rilevare il difetto di giurisdizione del giudice rimettente che appaia ictu oculi (sentenza n. 179 del 1999), analogamente può constatare l’eventuale pacifica infondatezza del presupposto dal quale muove il medesimo giudice nel ritenere la propria incompetenza, specie quando, come nel caso attuale, una successiva modifica legislativa attribuisca detta competenza senza possibilità di dubbio;

che, venendo meno il presupposto logico dell’ordinanza di rimessione, la prospettata questione è priva di rilevanza, poiché ai fini della determinazione della propria competenza il giudice a quo non è tenuto a fare applicazione della norma impugnata;

che pertanto, mancando il requisito della rilevanza, la presente questione dev’essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), come sostituito dall’art. 9-bis del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, introdotto dalla legge di conversione 2 giugno 1995, n. 216, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 102 della Costituzione, dal Giudice unico del Tribunale di Brindisi con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 maggio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 10 maggio 2000.