Ordinanza n. 129/2000

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ORDINANZA N. 129

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria  FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 228 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), e dell’art. 1 del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile 1979, n. 95, promosso con ordinanza emessa il 18 novembre 1998 dalla Corte di appello di Napoli nel procedimento penale a carico di De Luca Flavio ed altri, iscritta al n. 402 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2000 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che la Corte di appello di Napoli, con ordinanza del 18 novembre 1998, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 228 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), e dell’art. 1 del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile 1979 n. 95;

che, ad avviso del giudice rimettente, la norma incriminatrice di cui all’art. 228 della legge fallimentare sarebbe fonte di una ingiustificata disparità di trattamento tra il curatore fallimentare ed i soggetti ad esso equiparati e tutti gli altri pubblici ufficiali, in quanto solamente i primi continuerebbero a rispondere di qualsivoglia presa di interesse in un atto del loro ufficio, mentre i secondi risponderebbero di abuso, ai sensi dell’art. 323 del codice penale, come modificato dall’art. 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234, "solo in caso di una ingerenza profittatrice che si concretizzi in una violazione di legge o di regolamento ovvero nell’inosservanza di un obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti e sia intenzionalmente volta a procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero ad arrecare ad altri un danno ingiusto";

che l’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in giudizio per conto del Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso per la declaratoria di manifesta infondatezza della questione, in quanto già dichiarata non fondata con sentenza n. 69 del 1999.

Considerato che la Corte di appello di Napoli dubita della legittimità costituzionale delle norme denunciate, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, in quanto esse - secondo l’interpretazione datane dalla stessa Corte rimettente - comporterebbero l’assoggettamento a sanzione penale del commissario governativo nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (in quanto equiparato, ai fini penali, al curatore fallimentare) per qualsiasi presa di interesse in un atto del suo ufficio, diversamente da quanto previsto per tutti gli altri pubblici ufficiali dall’art. 323 cod. pen., che sanziona le condotte di abuso solo se commesse mediante la violazione di una norma di legge o di regolamento ovvero l’inosservanza di un obbligo di astensione e sempre che ne sia derivato un ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri ovvero un danno altrui;

che la disposizione di cui all’art. 1 del decreto legge n. 26 del 1979, abrogata dal decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’art. 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274), nella parte censurata dal rimettente è stata sostanzialmente riprodotta nell’art. 96 del citato decreto legislativo;

che identica questione, sollevata anche dallo stesso giudice, è stata dichiarata non fondata, con sentenza n. 69 del 1999, in base alla considerazione che l’art. 228 della legge fallimentare deve essere interpretato nel senso che la presa di interesse del curatore fallimentare (e degli altri soggetti ad esso equiparati) è sanzionata penalmente solamente in quanto sia contrastante con gli interessi tutelati dalla procedura, restando estranee all’area della rilevanza penale tutte quelle ipotesi in cui si realizzi una mera coincidenza tra i vantaggi privati e gli interessi dell’ufficio o in cui comunque l’interesse privato del pubblico ufficiale non risulti, in concreto, rivolto a perseguire un vantaggio personale che si ponga in contrasto con le finalità delle procedure concorsuali o dell’amministrazione straordinaria;

che nell’ordinanza di rimessione non vengono prospettati profili nuovi o diversi che possano indurre questa Corte ad un riesame della questione, che pertanto va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 228 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), e 1 del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile 1979 n. 95, sollevata dalla Corte di appello di Napoli con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 aprile 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 maggio 2000.