Ordinanza n. 121/2000

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ORDINANZA N. 121

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 513, comma 2, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 1 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promosso con ordinanza emessa il 2 ottobre 1998 dal Tribunale di Vicenza nel procedimento penale a carico di M. A. ed altro, iscritta al n. 238 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Vicenza ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 513, comma 2, del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), nella parte in cui subordina all'accordo delle parti l'utilizzabilità ai fini della decisione delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dall'imputato in procedimento connesso che si avvalga in dibattimento della facoltà di non rispondere;

che la questione è stata sollevata nel corso di un dibattimento nel quale alcuni imputati in procedimento connesso, citati a comparire per la prima volta dopo l’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, si erano avvalsi della facoltà di non rispondere, e le parti non avevano prestato il consenso alla utilizzazione delle dichiarazioni rese prima del dibattimento;

che il rimettente denuncia il contrasto dell’art. 513, comma 2, cod. proc. pen. con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, perché la norma impugnata, subordinando alla volontà delle parti l’ingresso delle dichiarazioni rese in precedenza da imputati in procedimenti connessi fra il materiale probatorio sottoposto alla valutazione del giudice, potrebbe di fatto rendere inevitabile una difformità di valutazioni per situazioni identiche fino a comportare pronunce difformi e contraddittorie rispetto all'accertamento dei fatti, e ciò solo a causa del diverso uso delle regole di acquisizione probatoria;

che inoltre, secondo il rimettente, l’art. 513, comma 2, cod. proc. pen., vietando, in mancanza dell’accordo delle parti, l'acquisizione delle dichiarazioni legittimamente assunte prima del dibattimento, introduce un principio dispositivo in materia probatoria, così sacrificando l'esercizio della funzione giurisdizionale, il cui fine è quello della ricerca della verità, con conseguente lesione anche del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, in contrasto con gli artt. 101, secondo comma, e 112 Cost.;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando che la questione è analoga a quella già decisa con la sentenza n. 361 del 1998.

Considerato che l’ordinanza di rimessione, muovendo dal quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, sottopone a censura il regime di inutilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza dell’accordo delle parti, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dall’imputato in procedimento connesso che si avvalga in dibattimento della facoltà di non rispondere;

che dopo l'ordinanza di rimessione questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha dichiarato la illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 513, comma 2, ultimo periodo, del codice di procedura penale <<nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla lettura si applica l’art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di procedura penale>>;

che, successivamente, la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione) ha tra l’altro statuito, mediante integrazioni introdotte nell’art. 111 Cost., che il “processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova” e che la “colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore”;

che il decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2 (Disposizioni urgenti per l’attuazione dell’art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia di giusto processo), convertito nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, ha dettato norme transitorie per l’applicazione del principio del contraddittorio ai procedimenti in corso;

che pertanto occorre restituire gli atti al giudice rimettente perché proceda ad un nuovo esame della questione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Vicenza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 aprile 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 aprile 2000.