Sentenza n. 115/2000

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SENTENZA N. 115

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 12 luglio 1923, n. 1511 (Conversione in legge, con modificazioni, del regio decreto 11 gennaio 1923, n. 257, riguardante la costituzione del Parco nazionale d’Abruzzo), promosso con ordinanza emessa il 25 marzo 1998 dal Tribunale di Sulmona nel procedimento civile vertente tra il Comune di Alfedena e il Parco Nazionale d’Abruzzo, iscritta al n. 363 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visto l’atto di costituzione dell’Ente autonomo Parco nazionale d’Abruzzo;

udito nell’udienza pubblica del 21 marzo 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

udito l’avvocato Gregorio Iannotta per l’Ente autonomo Parco nazionale d’Abruzzo.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso del giudizio civile promosso dal Comune di Alfedena nei confronti del Parco nazionale d’Abruzzo per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata esecuzione di alcuni concordati tagli boschivi nell’ambito del Parco, il Giudice unico del Tribunale di Sulmona ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 12 luglio 1923, n. 1511 (Conversione in legge, con modificazioni, del regio decreto 11 gennaio 1923, n. 257, riguardante la costituzione del Parco nazionale d’Abruzzo), in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione.

Premette il giudice a quo che il convenuto Parco nazionale ha sollevato un’eccezione preliminare di improponibilità della domanda risarcitoria avanzata dall’attore, osservando che, per effetto del combinato disposto di cui alla norma impugnata ed agli artt. 9 e 10 del r.d. 27 settembre 1923, n. 2124, le controversie relative alla determinazione del compenso dovuto per la mancata esecuzione di tagli boschivi sono devolute ad un’apposita commissione arbitrale. Tale eccezione dà conto della rilevanza della presente questione.

Osserva quindi il rimettente che, in base al sistema contenuto nella legge n. 1511 del 1923 e nel relativo regolamento di esecuzione di cui al citato r.d. n. 2124 del 1923, all’interno del Parco nazionale d’Abruzzo è vietata l’esecuzione di tagli boschivi non autorizzati; ove il Comitato esecutivo del parco neghi l’autorizzazione al taglio, il medesimo fissa la misura del compenso da corrispondere al proprietario del bosco. Se quest’ultimo non accetta tale compenso, dovrà farne dichiarazione scritta, provvedendo alla designazione del proprio componente all’interno del collegio arbitrale, cui spetterà la risoluzione della controversia. E poiché nel caso specifico il Comune di Alfedena, pur impegnandosi a non eseguire i tagli boschivi, non ha accettato il compenso fissato, vi è controversia su tale punto, che dovrebbe essere decisa da un collegio arbitrale.

Ciò posto, il Giudice di Sulmona ravvisa nella norma impugnata un caso di arbitrato obbligatorio, in quanto alle parti non è dato di evitare tale modo di risoluzione della questione, già predeterminato dalla legge. E siffatto arbitrato, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, è in contrasto con gli invocati parametri costituzionali.

2.— Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituito l’Ente autonomo Parco nazionale d’Abruzzo, chiedendo che venga dichiarata l’infondatezza della prospettata questione.

Rileva la parte privata che l’art. 6 impugnato prevede non un’ipotesi di arbitrato obbligatorio, bensì di arbitraggio ex lege, conferendo a terzi, alla stregua di quanto dettato dall’art. 1349 cod. civ., il potere di determinare equitativamente la somma da corrispondere a titolo di indennizzo. Il compito cui è chiamata la commissione arbitrale, perciò, non ha alcun contenuto decisorio. Tale commissione, infatti, interviene soltanto se il compenso fissato dall’ente parco non viene accettato dalla controparte, determinando il contenuto di tale compenso in luogo del mancato accordo negoziale; da tanto consegue l’infondatezza della sollevata questione.

Considerato in diritto

1.— Il Giudice unico del Tribunale di Sulmona solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 24, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, dell’art. 6 della legge 12 luglio 1923, n. 1511, ritenendo che tale norma preveda una forma di arbitrato obbligatorio, che non consente alle parti di affidare al giudice ordinario la risoluzione delle controversie ivi regolate.

2.— Deve preliminarmente ritenersi infondata l’eccezione sollevata dalla parte privata costituita, secondo cui la norma impugnata configura un arbitraggio, riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 1349 del codice civile. Questa disposizione prevede l'ipotesi in cui entrambe le parti contraenti devolvono ad un terzo la determinazione di uno degli elementi del contratto, sicché tale determinazione assume i caratteri di un’attività negoziale che i soggetti hanno concordato di non svolgere direttamente. Nel caso in esame, invece, mancano sia il carattere tipico dell’arbitraggio, ossia quello del completamento dell’oggetto contrattuale, sia l’accordo delle parti sul punto. La norma in questione, che va letta insieme agli articoli 9 e 10 del r.d. 27 settembre 1923, n. 2124, stabilisce, infatti, che il compenso da erogare in conseguenza della mancata esecuzione dei programmati tagli boschivi è fissato unilateralmente dal Comitato dell’ente parco, ossia da un soggetto che non è parte di un contratto. Qualora il proprietario del bosco non accetti la misura dell’indennizzo, si prevede la devoluzione della questione al collegio arbitrale, che è perciò incaricato della risoluzione di una vera e propria controversia.

3.— Va confermato, pertanto, che la norma in oggetto regola un’ipotesi di arbitrato, la cui legittimità costituzionale è da valutare alla luce della giurisprudenza di questa Corte (v. le sentenze n. 325 del 1998, n. 381 del 1997, n. 152 del 1996, n. 54 del 1996, n. 232 del 1994, n. 206 del 1994, n. 49 del 1994, n. 488 del 1991 e n. 127 del 1977), secondo cui l’arbitrato trova il proprio legittimo fondamento nella concorde volontà delle parti, sicché l’obbligatorietà del medesimo si traduce in un’illegittima compressione del diritto di difesa ed in una violazione del principio generale della tutela giurisdizionale. Detta illegittimità si incentra non nella previsione legislativa di un arbitrato per la risoluzione di certe controversie, ma nel suo carattere obbligatorio imposto ex lege e risultante inequivocabilmente dalla norma.

4.– E’ proprio dai principi ricavabili dalla richiamata giurisprudenza, tuttavia, che si desume come la presente questione non sia fondata, potendo la specifica norma impugnata essere suscettibile di una lettura tale da renderla immune dalle lamentate censure.

La violazione dei parametri costituzionali invocati dal rimettente sussiste, come si è detto, soltanto se alle parti resti affatto preclusa la possibilità di adire il giudice ordinario; cosa che non avviene nel caso di specie. La norma in esame – peraltro risalente al 1923 ed inserita in un contesto normativo notevolmente diverso, anche come linguaggio legislativo, da quello attuale – si limita a riconoscere, in caso di disaccordo circa il compenso, la facoltà per le parti di adire un collegio di arbitri chiamati a decidere in qualità di amichevoli compositori. Da siffatta disposizione non è consentito trarre la conseguenza di un divieto di accesso alla giurisdizione ordinaria; accesso che deve viceversa sempre intendersi permesso in mancanza di una chiara deroga al principio secondo cui la giurisdizione statale sulle controversie costituisce la regola fissata nel nostro ordinamento.

Nel caso in esame la norma è formulata in maniera tale che la scelta della via arbitrale per la soluzione della lite è rimessa ad una libera opzione delle parti, cui è data facoltà di attivare la procedura nominando gli arbitri.

Deve ribadirsi, del resto, che, in presenza di un dubbio circa l’esatta portata di una norma, l’interpretazione secundum Constitutionem va sempre preferita; tale interpretazione consente nel caso di specie di ritenere l’impugnata norma immune dalle lamentate censure di illegittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 12 luglio 1923, n. 1511 (Conversione in legge, con modificazioni, del regio decreto 11 gennaio 1923, n. 257, riguardante la costituzione del Parco nazionale d’Abruzzo) sollevata, in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, dal Giudice unico del Tribunale di Sulmona con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 aprile 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 21 aprile 2000.