Ordinanza n. 108/2000

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ORDINANZA N. 108

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 459 e 464 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 29 luglio 1999 dal Tribunale (recte: Pretore) di Napoli – sezione distaccata di Frattamaggiore, il 12 maggio e il 5 giugno 1999 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Latina e il 14 ottobre 1999 dal Tribunale (recte: Pretore) di Napoli – sezione distaccata di Afragola, rispettivamente iscritte ai nn. 636, 642, 643 e 721 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 1999, e n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2000.

 Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2000 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

 Ritenuto che con ordinanza del 29 luglio 1999 (R.O. 636/99), emessa in un giudizio susseguente a opposizione a decreto penale, il Pretore di Napoli – sezione distaccata di Frattamaggiore ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 459 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la nullità della richiesta di decreto penale di condanna, se non preceduta dall’invito a comparire per rendere interrogatorio a norma dell’art. 375 cod. proc. pen., “ovvero” dell’art. 464 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la nullità del decreto che dispone il giudizio (a seguito di opposizione dell’imputato al decreto penale di condanna) se non preceduto dall’invito a comparire per rendere interrogatorio, davanti al pubblico ministero o davanti allo stesso giudice per le indagini preliminari;

che il rimettente muove dalla riforma apportata dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, relativa alle norme processuali che disciplinano la richiesta di rinvio a giudizio (art. 416 cod. proc. pen.) o la citazione diretta a giudizio nel rito pretorile (art. 555 cod. proc. pen.), assumendo che per effetto di tali modifiche è stato introdotto «l’interrogatorio di garanzia ex art. 375 cod. proc. pen. quale presupposto obbligatorio ai fini della procedibilità dell’azione penale», con la corrispondente previsione di nullità degli atti sopra detti, in caso di omissione dell’invito all’indagato a comparire per rendere l’interrogatorio;

 che peraltro, poiché il medesimo presupposto non è stato previsto in relazione al procedimento per decreto penale, si configurerebbe, secondo il rimettente, una disparità di trattamento tra imputati, in danno di chi sia sottoposto al procedimento per decreto, disparità tanto più ingiustificata sia perché l’imputato viene a essere privato di uno strumento di garanzia solo in conseguenza di una scelta processuale effettuata dal pubblico ministero, sia alla luce delle caratteristiche del particolare rito, che rappresenterebbe una «eccezione nell’ordinamento» e che non consentirebbe all’imputato di difendersi;

che con due ordinanze di identico contenuto, del 12 maggio 1999 (R.O. 642/99) e del 5 giugno 1999 (R.O. 643/99), emesse a seguito di opposizione degli imputati a decreti penali di condanna, il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Latina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 459 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la richiesta di emissione di decreto penale di condanna sia preceduta dall’invito all’indagato a presentarsi per rendere interrogatorio, a norma dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen.;

 che il rimettente rileva come nel vigente sistema il profilo dell’attuazione del principio accusatorio, che informa l’intero codice, in particolare quanto alla tutela dell’indagato nella fase delle indagini preliminari, trovi svolgimento in tutti i riti, «ordinario» e speciali, con la sola eccezione del procedimento per decreto, che, diversamente dagli altri – variamente imperniati su un rapporto processuale a tre: pubblico ministero, indagato, giudice -, si configura come processo i cui protagonisti sono solo due, la parte pubblica e il giudice, l’imputato risultando alla fine colpito da una condanna senza contraddittorio;

 che questo sbilanciamento, osserva ancora, è ulteriormente ravvisabile ora – dopo la legge 16 luglio 1997, n. 234 – in riferimento sia al rito direttissimo che a quello ordinario, giacché la legge citata, imponendo al pubblico ministero di invitare l’indagato a rendere interrogatorio prima dell’esercizio dell’azione penale, ha valorizzato ulteriormente le esigenze di parità tra le parti e di contraddittorio, escludendo però il rito per decreto;

che in questo quadro la mancata previsione dello stesso strumento di garanzia stabilito per gli altri procedimenti, prima della formulazione da parte del pubblico ministero della richiesta di emissione di decreto penale, appare al rimettente priva di giustificazione;

 che non varrebbero infatti a spiegare tale omissione legislativa né il connotato inquisitorio del rito, né l’alta “premialità” che lo caratterizza, poiché il diritto di difesa, se svolto nella fase delle indagini preliminari, potrebbe condurre a una richiesta di archiviazione o a una sentenza di proscioglimento immediato ex art. 129 cod. proc. pen.; né potrebbe valere l’argomento della “modestia” delle materie penali generalmente definite con tale rito, poiché al contrario esso può coinvolgere materie di particolare rilevanza sociale (inquinamento, edilizia e urbanistica, alimenti e così via), materie - si aggiunge - che potrebbero anche rendere necessario l’esperimento di un incidente probatorio (art. 392 cod. proc. pen.), che invece viene ingiustificatamente escluso;

 che infine non potrebbe addursi quale valido argomento quello del differimento delle garanzie difensive piene e complete nella fase dell’opposizione, giacché esso si risolverebbe in una larvata forma di diniego di giustizia e, a tale proposito, il giudice a quo si sofferma criticamente sulla motivazione dell’ordinanza (n. 432 del 1998) con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza di analoga questione: il rilievo che in detta decisione è dato alla caratterizzazione essenziale del rito per decreto, in termini di speditezza ed economia processuale, non è condiviso dal rimettente, che ritiene il ragionamento della Corte tautologico e comunque contrario ai principi costituzionali invocati, poiché - indipendentemente dalla speditezza - la garanzia difensiva non può mai subire compressioni, e perché proprio l’invito a comparire e il contraddittorio che ne segue potrebbero produrre effetti di economia processuale, evitando l’opposizione e il dibattimento;

 che con ordinanza del 14 ottobre 1999 (R.O. 721/99) anche il Pretore di Napoli – sezione distaccata di Afragola, in sede di giudizio susseguente a opposizione a decreto penale, ha sollevato analoga questione sull’art. 459 cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

che il rimettente, rilevate le modifiche recate dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, agli artt. 416 e 555 cod. proc. pen., che hanno sancito l’obbligo del previo invito a comparire per rendere interrogatorio quale requisito di validità della citazione a giudizio, censura la disparità di trattamento che si sarebbe venuta in tal modo a creare nei confronti di chi sia sottoposto al procedimento per decreto penale, nel quale non è previsto analogo obbligo: ciò priverebbe l’indagato, nel rito speciale, della possibilità di dedurre circostanze contrarie all’accusa, in vista di un esito diverso del procedimento penale, e tale impossibilità sarebbe tanto più di dubbia costituzionalità, in quanto la scelta del rito in discorso è nella discrezionalità della parte pubblica;

che in tutti i giudizi così promossi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, rilevando l’analogia tra le questioni sollevate e altre precedentemente decise dalla Corte (con le ordinanze nn. 432 del 1998 e 326 del 1999) nel senso della manifesta infondatezza, ha concluso nel medesimo senso.

 Considerato che le quattro ordinanze di rimessione sollevano, in termini identici o analoghi tra loro, questioni di costituzionalità sostanzialmente corrispondenti e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e definiti con unica pronuncia;

 che, pur differenziandosi sul piano delle disposizioni di volta in volta denunziate e delle argomentazioni svolte, le ordinanze di rimessione individuano, tutte, la possibile lesione del principio di uguaglianza e della garanzia della difesa nella mancata inclusione del procedimento per decreto tra quelli per i quali è stabilito, quale requisito di validità del giudizio, l’obbligo di effettuare l’invito all’indagato a presentarsi per rendere l’interrogatorio, a norma dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen., così come è stato previsto per il procedimento ordinario a seguito delle modifiche recate dalla legge n. 234 del 1997;

 che peraltro, successivamente alle ordinanze di rimessione, è intervenuta la legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), che, nell’ambito di una generale revisione del procedimento penale dinanzi al tribunale, anche in composizione monocratica, ha, in particolare, modificato sia le norme denunciate sia quelle assunte dai rimettenti quali termini di raffronto ai fini della prospettazione del dubbio di costituzionalità;

 che, per effetto della nuova disciplina, il previo invito all’indagato a presentarsi per rendere interrogatorio nell’ambito delle indagini preliminari non costituisce più un obbligo incondizionato per il pubblico ministero, bensì è previsto solo in seguito a una specifica richiesta in tal senso da parte dell’indagato, cui deve essere comunicato l’«avviso della conclusione delle indagini preliminari» (art. 415-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 17, comma 2, della legge n. 479 del 1999);

 che, in connessione con la anzidetta diversa configurazione dell’eventuale contraddittorio tra pubblico ministero e indagato, è stata correlativamente posta una nuova e diversa disciplina circa la nullità degli atti di citazione a giudizio, nei casi di omissione dell’avviso e dell’eventuale invito a presentarsi (v. gli artt. 416, comma 1, e 552, comma 2 – quest’ultimo “sostitutivo” dell’art. 555 previgente – cod. proc. pen., quali modificati dagli artt. 17, comma 3, e 44 della legge n. 479 del 1999);

 che, stante il complessivo mutamento del quadro normativo assunto dai rimettenti a premessa delle censure di incostituzionalità, occorre restituire gli atti agli stessi giudici, a essi spettando di valutare se, a seguito delle modifiche intervenute nella disciplina processuale in esame, le questioni sollevate siano, nei giudizi principali, tuttora rilevanti nei termini in cui sono state proposte.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

 ordina la restituzione degli atti al Pretore di Napoli – sezione distaccata di Frattamaggiore, al Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Latina e al Pretore di Napoli – sezione distaccata di Afragola.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 aprile 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 18 aprile 2000.