Ordinanza n. 88/2000

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ORDINANZA N. 88

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido  NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992, n. 356 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), promossi con ordinanze emesse il 28 gennaio e l'8 giugno 1999 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze sulle istanze proposte da L. R. e da B.M. F. ed altro, iscritte ai nn. 172 e 462 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 13 e 38, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Udito nella camera di consiglio dell'8 marzo 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con ordinanza 28 gennaio 1999 (r.o. n. 172 del 1999) il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 12-sexies del decreto- legge 8 giugno 1992, n. 306 (convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356), introdotto dall'art. 2 del decreto- legge 20 giugno 1994, n. 399 (convertito dalla legge 8 agosto 1994, n. 501), nella parte in cui esclude, in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti per il reato di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ove ricorra la circostanza attenuante di cui al comma 5 della medesima disposizione, la confisca dei valori che costituiscono il profitto dell'attività di spaccio di sostanze stupefacenti;

che il rimettente - premesso di essere chiamato a decidere, in qualità di giudice dell'esecuzione, su di una richiesta di restituzione di una somma di denaro sequestrata a persona alla quale era poi stata applicata la pena su richiesta per il delitto di cui all'art. 73, commi 1 e 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 - rileva che la somma in questione, pur essendo il frutto della cessione di sostanze stupefacenti, non è sottoponibile a confisca, ammessa dall'art. 445, comma 1, cod. proc. pen. solo nelle ipotesi di confisca obbligatoria ex art. 240, secondo comma, cod. pen., mentre nella specie, trattandosi del profitto del reato, si versa in un caso pacifico in cui la misura è facoltativa;

che, d'altro canto, il giudice a quo rileva che non può farsi ricorso all'applicazione della confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza, prevista dall'art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992, in quanto espressamente esclusa nel caso in cui ricorra l'attenuante di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990;

che il rimettente precisa di avere già sollevato analoga questione di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 445 cod. proc. pen. e 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992, dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza di questa Corte n. 378 del 1998 perché prospettata in maniera ancipite e perché interventi additivi del tipo di quello richiesto spettano esclusivamente alla discrezionalità del legislatore;

che, preso atto di tale decisione, il giudice a quo ripropone ora la questione nei confronti del solo art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992, ritenendo così di superare sia la natura ancipite della questione sollevata in precedenza, sia il carattere additivo della pronuncia richiesta alla Corte, in quanto "la conformità alla Costituzione potrà essere ripristinata semplicemente eliminando l'inciso "esclusa la fattispecie di cui al comma 5"" contenuto nell'art. 12-sexies citato;

che, richiamandosi integralmente alle argomentazioni svolte nella precedente ordinanza, il rimettente ritiene che la disciplina censurata contrasti con il principio della funzione rieducativa della pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., in quanto lo spacciatore sarebbe "incoraggiato a proseguire l'attività illecita" dalla restituzione del denaro proveniente dallo spaccio, nonché con l'art. 3 Cost., apparendo "irragionevole, e contraria al comune sentire e alla morale, la definitiva acquisizione dei profitti illeciti, tanto più laddove provenienti da un'attività così dannosa per la società come lo spaccio dell'eroina";

che con successiva ordinanza 8 giugno 1999 (r.o. n. 462 del 1999) il medesimo giudice ha sollevato nel corso di altro procedimento, sempre in qualità di giudice dell'esecuzione, identica questione, sulla base delle stesse argomentazioni esposte nell'ordinanza n. 172 del r.o. del 1999.

Considerato che le due ordinanze di rimessione sollevano la identica questione, per cui deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi di costituzionalità;

che mediante la questione di legittimità costituzionale il rimettente vorrebbe in sostanza ottenere da questa Corte una decisione che consenta di disporre la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza anche ove si tratti dei profitti dello spaccio di stupefacenti attenuato per la lieve entità del fatto;

che tale forma di confisca, prevista dall'art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992 anche in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti per alcuni reati di particolare gravità, tra i quali rientrano i delitti di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, è espressamente esclusa ove ricorra la circostanza attenuante configurata dal comma 5 di tale disposizione;

che questa Corte ha avuto ripetutamente occasione di occuparsi sia della disciplina generale della operatività della confisca a seguito della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, sia della particolare ipotesi di confisca disposta dall'art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992;

che con riguardo all'art. 445, comma 1, cod. proc. pen., che ammette la confisca solo nei casi in cui tale misura è obbligatoria a norma dell'art. 240, secondo comma, cod. pen. (tra i quali rientra, per quanto qui interessa, il prezzo, ma non anche il profitto, del reato), questa Corte ha dichiarato manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale che miravano ad estendere la sfera di applicazione di tale misura al profitto del reato, rilevando che la relativa richiesta ha natura solo apparentemente demolitoria, ma in realtà si sostanzia in un intervento additivo di competenza del legislatore, cui spetta esclusivamente, nell'ambito della sua discrezionalità, purché non arbitrariamente esercitata, operare scelte derogatorie rispetto a quelle previste in via generale dalla disciplina dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta (v. ordinanza n. 334 del 1994, in tema di profitto derivante dallo spaccio di sostanze stupefacenti, nonché ordinanze nn. 371 e 282 del 1995);

che, in relazione alla specifica ipotesi di confisca, oggetto del presente giudizio di costituzionalità, prevista dall'art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992, questa Corte ha ribadito (ordinanza n. 378 del 1998) che in materia penale interventi additivi del tipo richiesto spettano al solo legislatore, richiamandosi alle argomentazioni svolte nell'ordinanza n. 334 del 1994;

che non vi sono ragioni per discostarsi da questo consolidato orientamento giurisprudenziale, in quanto la richiesta del giudice rimettente di abolire il mero inciso "esclusa la fattispecie di cui al comma 5" dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, contenuto nell'art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992, non varrebbe a mutare il carattere additivo dell'intervento richiesto a questa Corte;

che, comunque, nel caso di specie il rimettente non ha preso in considerazione la possibilità di respingere la richiesta di restituzione sulla base della giurisprudenza di legittimità in materia, che ai fini dell'accoglimento ritiene necessaria la prova dello ius possidendi in capo al richiedente, cioè dell'esistenza di una posizione giuridica soggettiva tutelata dall'ordinamento, non configurabile nella situazione di fatto prospettata dal giudice a quo;

che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, introdotto dall'art. 2 del decreto-legge 20 giugno 1994, n. 399, convertito dalla legge 8 agosto 1994, n. 501, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 marzo 2000.