Ordinanza n. 77/2000

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ORDINANZA N. 77

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come inserito dalla legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all'art. 656 del codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni), promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 1998 dal Tribunale di sorveglianza di Venezia sulle istanze proposte da L. D., iscritta al n. 214 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 23 febbraio 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

 Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Venezia, chiamato a decidere su di una istanza di detenzione domiciliare di un detenuto condannato, tra l'altro, per il reato di rapina aggravata, ha sollevato con ordinanza in data 4 dicembre 1998, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del comma 1-bis dell'art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), inserito dall'art. 4, comma 1, lettera a), della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all'art. 656 del codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni), nella parte in cui dispone che la forma di detenzione domiciliare ivi disciplinata non possa essere concessa ai detenuti condannati per i reati elencati nell'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, anziché prevedere che tali soggetti possano essere ammessi alla misura alternativa in esame alle medesime condizioni stabilite dall'art. 4-bis per l'accesso ai permessi premio e alle altre misure alternative alla detenzione disciplinate dal Titolo I, Capo VI, della stessa legge;

 che il rimettente, premesso di avere con una precedente ordinanza in data 8 settembre 1998 respinto una istanza del medesimo condannato volta ad ottenere l'affidamento in prova al servizio sociale e dichiarato inammissibile una contestuale istanza di semilibertà, rileva che - in assenza delle condizioni soggettive previste dall'art. 47-ter, comma 1, dell’ordinamento penitenziario e delle gravi condizioni di salute di cui al comma 1-ter della medesima norma - la detenzione domiciliare potrebbe eventualmente essere concessa solo ai sensi del comma 1-bis dell'art. 47-ter, e, cioè, se la pena detentiva inflitta non è superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, se non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale, se la misura è idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati, se non si tratta di condannati per i reati di cui all'art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario;

 che, pur essendo la pena che l'istante deve ancora scontare inferiore a due anni (per la precisione, pena inflitta pari a due anni e giorni venti di reclusione, eseguita a partire dal 19 maggio 1997 e con scadenza il 7 giugno 1999), nel caso di specie la condanna per il reato di rapina aggravata, compreso tra quelli elencati nell'art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, è ostativa alla concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare;

 che tale disciplina, ad avviso del rimettente, si porrebbe in contrasto:

- con l'art. 3 Cost., in quanto la preclusione prevista per i soggetti condannati per i delitti contemplati dall'art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario determinerebbe <<una irragionevole discriminazione di situazioni tra di loro assimilabili, in violazione del principio di ragionevolezza e uguaglianza>>: il condannato per un delitto ricompreso tra quelli elencati dall'art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario può infatti essere ammesso, ove sussistano le condizioni previste in tale norma, ai permessi-premio, alla semilibertà, alla detenzione domiciliare disciplinata dall'art. 47-ter, comma 1, dell’ordinamento penitenziario, e persino alla misura dell'affidamento in prova al servizio sociale, mentre gli è radicalmente precluso l'accesso alla detenzione domiciliare prevista dal comma 1-bis dell'art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario, <<senza che ciò trovi giustificazione nella concreta pericolosità sociale del condannato o comunque in una condotta allo stesso addebitabile>>;

- con l'art. 27 Cost., perché la norma censurata, nel precludere ai condannati per i reati di cui all'art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario l'accesso alla particolare forma di detenzione domiciliare prevista per le pene detentive inferiori a due anni di reclusione, non riserva alcun rilievo alla concreta pericolosità del soggetto desumibile dalla sua condotta o dalla sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, così violando il principio della finalità rieducativa della pena e il principio della progressività del trattamento, quale affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale;

 che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo in via principale l'inammissibilità della questione per difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la concessione della misura richiesta e, segnatamente, l'idoneità della misura ad evitare il pericolo della commissione di altri reati e, alla stregua della prospettiva fatta propria dallo stesso rimettente, la mancanza di elementi tali da fare ritenere sussistenti i collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva, e concludendo, comunque, per la infondatezza della questione.

 Considerato che il rimettente contesta la legittimità costituzionale del comma 1-bis dell'art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui preclude di concedere la nuova forma di detenzione domiciliare ivi prevista ai soggetti condannati per i reati di cui all'art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario;

che di conseguenza il giudice a quo chiede a questa Corte una pronuncia in base alla quale tale misura alternativa, in presenza dei presupposti stabiliti dal comma 1-bis dell'art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario, possa essere concessa alle medesime condizioni previste nel comma 1 dell'art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, in particolare, trattandosi nel caso di specie di un soggetto condannato per il reato di rapina aggravata, alla condizione che non vi siano elementi tali da far ritenere sussistenti i collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva (ultima parte del citato comma 1);

 che, con riferimento ai profili di ammissibilità della questione, risulta che il giudice rimettente, prima di emettere l'ordinanza con la quale era stata respinta l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale, aveva tra l’altro disposto accertamenti in ordine alla sussistenza della condizione di cui all'art. 4-bis, comma 1, ultima parte, dell’ordinamento penitenziario, e successivamente ha disposto ulteriori specifici accertamenti ai fini della decisione sull’istanza di ammissione alla detenzione domiciliare;

 che il rimettente avrebbe quantomeno dovuto compiere le necessarie valutazioni in ordine all'incidenza di tali accertamenti sulla rilevanza della dedotta questione di legittimità costituzionale;

 che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del comma 1-bis dell'art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Venezia, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 marzo 2000.