Ordinanza n. 66/2000

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ORDINANZA N.66

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Francesco GUIZZI, Presidente

- Cesare MIRABELLI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE                         

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 432 del codice di procedura civile promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, con sei ordinanze emesse il 13 maggio (5 ordinanze) e il 27 maggio 1998, iscritte ai nn. 502, 503, 504, 505, 506 e 760 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28 e 42, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visti gli atti di costituzione di Giuliano Giovanni ed altri e di Minonne Salvatore, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  Udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 2000 il Giudice relatore Franco Bile;

  uditi l'avv. Gabriella Spata per Giuliano Giovanni ed altri e per Minonne Salvatore e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, adito in sede di giurisdizione esclusiva sul pubblico impiego, ha proposto con le sei ordinanze indicate l’identica questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 36 e 113 della Costituzione, dell’art. 432 codice di procedura civile (secondo cui - nel rito del lavoro - quando sia certo il diritto, ma non sia possibile determinare la somma dovuta, il giudice ordinario la liquida con valutazione equitativa) nel presupposto della inapplicabilità dello stesso al processo amministrativo;

che dall’esposizione in fatto delle ordinanze n. 502, 503, 504 e 505 si ricava che Italo Vincenzo Fusarò, Michele Olivieri, Annunziata Saracino e Giovanni Giuliano - premesso di aver ricevuto dal Comune di Avetrana successivi incarichi a tempo determinato, formalmente qualificati come contratti di prestazione d’opera, e di avere invece prestato attività lavorativa subordinata con inserimento nell’apparato organizzatorio dell’ente - avevano diffidato il Comune a riconoscere l’instaurazione di altrettanti rapporti di pubblico impiego e successivamente avevano proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, chiedendo l’annullamento del silenzio-rifiuto, nonchè l’accertamento dell’avvenuta instaurazione di rapporti di pubblico impiego a tempo indeterminato, con tutte le conseguenze sul piano giuridico ed economico;

che l’ordinanza n. 506/98, avente identica motivazione, é stata pronunziata dal medesimo Tribunale amministrativo nel giudizio successivamente promosso in via congiunta dai suddetti ricorrenti per impugnare la delibera con la quale il Comune aveva risposto negativamente ai loro atti di diffida;

che con l’ordinanza n. 760/98 il Tribunale amministrativo ha prospettato la stessa questione di legittimità costituzionale nel giudizio promosso da Salvatore Minonne contro l’U.S.L. LE/12, in relazione ad una prestazione di servizio, svolta in base ad una convenzione, per l’accertamento in via principale della illegittimità del silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza-diffida (con cui il Minonne aveva rivendicato la natura di pubblico impiego del rapporto) e per l’accertamento della costituzione di un rapporto di impiego a tempo indeterminato, nonchè in via gradata del diritto a percepire le differenze tra le retribuzioni erogate e quelle spettanti in relazione alla quantità e qualità del lavoro svolto;

che tutte le ordinanze sopra indicate osservano che le convenzioni stipulate dalle amministrazioni pubbliche con i ricorrenti, nelle quali si parlava di prestazioni d’opera, devono ritenersi simulate in quanto i ricorrenti hanno svolto mansioni del tutto diverse, le quali presentano gli indici rivelatori della subordinazione;

che, peraltro, secondo il giudice a quo le domande di riconoscimento dell’esistenza di rapporti di pubblico impiego non possono essere accolte, in quanto tali rapporti sarebbero nulli, perchè instaurati senza concorso;

che ai fini della decisione sulla domanda di rivendicazione della differenza fra il dovuto in forza dei contratti di prestazione d’opera e quanto i ricorrenti dei suddetti giudizi avrebbero avuto diritto di percepire in forza dei rapporti di impiego nulli dissimulati, non sarebbe applicabile l’art. 2126, comma primo codice civile, in quanto difetterebbe il presupposto necessario per l’applicazione di tale norma, cioé la previsione nella pianta organica dell’ente dell’esistenza (e quindi della vacanza e disponibilità) di un posto corrispondente alle attività prestate da ciascuno dei ricorrenti;

che il giudice a quo, una volta assunta l’inapplicabilità dell’art. 2126 primo comma codice civile, esamina le pretese dei ricorrenti alla stregua dell'art. 2041 codice civile, ritenendo sussistente sul punto la propria giurisdizione esclusiva;

che, secondo il giudice a quo, l’onere di dimostrare l’arricchimento della pubblica amministrazione graverebbe sui lavoratori ricorrenti, che si verrebbero a trovare in una posizione di difficoltà probatoria;

che la difficoltà di adempiere all’onere probatorio sarebbe superabile ove il giudice amministrativo potesse applicare l’art. 432 codice di procedura civile e quindi, si potesse far luogo alla liquidazione in via equitativa delle somme dovute ai ricorrenti per le effettive prestazioni svolte;

che, tuttavia, l’applicazione al giudizio amministrativo sul pubblico impiego di questa norma, essendo essa inerente al rito speciale del lavoro, non sarebbe prevista e tale omessa previsione apparirebbe in contrasto con gli artt. 3, 36 e 113 della Costituzione;

che il Presidente del Consiglio dei ministri ha sostenuto l’inammissibilità della questione di costituzionalità o comunque la sua infondatezza nel merito;

che i ricorrenti costituiti hanno sostenuto tra l’altro l’infondatezza della questione per essere l’art. 2126 codice civile applicabile anche nel caso di inesistenza di vacanza o disponibilità di posti in pianta organica;

Considerato che nelle ordinanze di rimessione - mentre si riferisce che i ricorrenti hanno chiesto, l’accertamento del rapporto di pubblico impiego e la condanna dell’amministrazione convenuta al pagamento delle conseguenti differenze retributive, quantomeno ai sensi dell’art. 2126 codice civile - non si enuncia, invece, che essi abbiano formulato, in via subordinata, alcuna domanda fondata sull’arricchimento senza causa delle pubbliche amministrazioni convenute, ex art.2041 codice civile;

che le ordinanze non contengono alcuna enunciazione dell’esistenza di una situazione che, in relazione alla causa petendi ed al petitum dei ricorsi, sia stata ritenuta dal Tribunale amministrativo regionale rimettente idonea a giustificare la qualificazione delle domande in base all’art. 2041 codice civile;

che, pertanto, (come già questa Corte ha affermato nell’ordinanza n. 252 del 10 giugno 1994) si deve reputare manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza la questione di legittimità costituzionale di una norma che il giudice a quo non deve applicare, perchè concerne una domanda che dal testo della stesse ordinanze di rimessione non risulta proposta, essendo indubbio che anche il processo amministrativo é caratterizzato dal principio della domanda;

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 432 cod. proc. civ., sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2000.

Francesco GUIZZI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in cancelleria il 2 marzo 2000.