Ordinanza n. 454/99

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ORDINANZA N. 454

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI 

- Prof. Cesare MIRABELLI   

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO    "

- Avv. Massimo VARI    

- Dott. Cesare RUPERTO   

- Dott. Riccardo CHIEPPA   

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof. Valerio ONIDA   

- Prof. Carlo MEZZANOTTE  

- Avv. Fernanda CONTRI   

- Prof. Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

- Prof. Annibale MARINI   

- Dott. Franco BILE    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18 giugno 1998 dalla Corte d'appello di Venezia nel procedimento penale a carico di B. A. ed altro, iscritta al n. 821 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1998.

Visto l'atto di costituzione di Harry Richter in proprio e in qualità di legale rappresentante della "ICI Italia" S.p.A.;

udito nell'udienza pubblica del 23 novembre 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;

udito l'avv.to Perla Sciretti per Harry Richter.

 Ritenuto che la Corte di appello di Venezia ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la possibilità di applicazione della pena su richiesta delle parti anche nel giudizio di appello, quando in esso si proceda alla rinnovazione del dibattimento a norma dell'art. 604, comma 6, cod. proc. pen.;

 che il rimettente premette che nel giudizio di primo grado il Pretore, dopo aver dichiarato la contumacia di un imputato, in accoglimento dell'eccezione preliminare della difesa di altro imputato, a cui aveva aderito la difesa del contumace, aveva pronunciato in limine litis, prima dell'apertura del dibattimento, sentenza di non doversi procedere ai sensi degli artt. 129 e 529 cod. proc. pen. per mancanza di valida querela;

 che avverso la sentenza aveva proposto appello il pubblico ministero e che la Corte di appello, nella prima udienza del giudizio di impugnazione, ritenuta la validità dell'atto di querela, si era riservata di disporre la rinnovazione del dibattimento a norma dell'art. 604, comma 6, cod. proc. pen., previo esame delle eccezioni preliminari delle parti;

 che alla successiva udienza la difesa dell'imputato rimasto contumace aveva depositato procura speciale con richiesta di applicazione della pena, sulla quale il procuratore generale aveva espresso il proprio consenso, mentre la parte civile si era opposta, osservando che l'imputato era decaduto dalla facoltà di chiedere il patteggiamento, in quanto l'art. 446, comma 1, cod. proc. pen. ne prevede l'esercizio sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado;

 che il giudice rimettente rileva che la formulazione letterale dell'art. 446, comma 1, cod. proc. pen. non consente interpretazioni estensive e, comunque, preclude la possibilità di chiedere l'applicazione della pena nel giudizio di appello, anche quando l'istruzione dibattimentale venga svolta per la prima volta in tale fase ai sensi dell'art. 604, comma 6, cod. proc. pen.;

 che pertanto la richiesta di applicazione della pena formulata per la prima volta nel giudizio di appello doveva ritenersi tardiva;

 che la preclusione di cui all'art. 446, comma 1, cod. proc. pen. impedirebbe all'imputato di usufruire dei vantaggi connessi all'istituto dell'applicazione della pena solo perché nella fase degli atti introduttivi al dibattimento il giudice di primo grado ha emesso una erronea sentenza di proscioglimento;

 che in tale situazione - in cui, ad avviso del rimettente, il mancato esercizio della facoltà di chiedere l'applicazione della pena non è addebitabile in alcun modo «ad errata scelta processuale dell'imputato o a sua colposa inerzia», avendo questi esercitato il diritto di proporre questioni preliminari circa la procedibilità dell'azione penale prima della richiesta di cui all'art. 444, comma 1, cod. proc. pen. - verrebbe a determinarsi una ingiustificata compressione del diritto di difesa, derivante da «un evento non evitabile ed esterno alla volontà del prevenuto» (al riguardo, il rimettente richiama la sentenza di questa Corte n. 101 del 1993), nonché una irragionevole disparità di trattamento nei confronti di quegli imputati ai quali sia precluso in appello, a seguito della rinnovazione del dibattimento ai sensi dell'art. 604, comma 6, cod. proc. pen., di usufruire dei benefici del patteggiamento;

 che si è costituito nel presente giudizio Harry Ricther, in proprio e in qualità di legale rappresentante della "ICI Italia" S.p.A., parte civile nel procedimento penale davanti alla Corte di appello di Venezia, rappresentato e difeso dagli avvocati Corso Bovio e Perla Sciretti, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

 che, in particolare, la parte costituita rileva che all'esordio del dibattimento di primo grado - e, dunque, entro il termine per proporre richiesta di applicazione della pena - il difensore e procuratore speciale dell'imputato contumace aveva «ritenuto di concentrare la difesa sull'obiettivo processuale» della sentenza di improcedibilità per difetto di valida querela, senza coltivare la possibilità di presentare anche richiesta di patteggiamento; richiesta che non avrebbe comunque precluso alla difesa di sollecitare anche la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per difetto di valida querela, ai sensi degli artt. 129 e 444, comma 2, cod. proc. pen.;

 che, pertanto, la sentenza additiva richiesta dal giudice rimettente in realtà mirerebbe a porre rimedio ad una omissione della difesa dell'imputato, mediante l'introduzione di un istituto che verrebbe ad ampliare la disciplina del cosiddetto patteggiamento in appello previsto dall'art. 599 cod. proc. pen.

 Considerato che la Corte di appello di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 446, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la possibilità di formulare richiesta di applicazione della pena anche nel giudizio di appello quando in esso si proceda alla rinnovazione del dibattimento a norma dell'art. 604, comma 6, cod. proc. pen., in quanto la disciplina censurata comporterebbe una ingiustificata compressione del diritto di difesa, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost.;

 che il giudice rimettente, nel prospettare la questione di legittimità costituzionale, muove dal presupposto che l'omessa presentazione della richiesta di applicazione della pena entro il termine previsto dalla norma censurata sia conseguenza di «un evento non evitabile ed esterno alla volontà del prevenuto», rappresentato dalla sentenza di non doversi procedere per difetto di querela emessa dal Pretore nella fase degli atti introduttivi al dibattimento di primo grado, poi ritenuta errata dal giudice di appello;

 che tale presupposto non trova riscontro nella vicenda processuale su cui si è innestata la presente questione di legittimità costituzionale;

 che infatti, come emerge dalla stessa ordinanza di rimessione, la sentenza di non doversi procedere, pronunciata ex artt. 129 e 529 cod. proc. pen. in limine litis, e cioè prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento, era stata sollecitata al Pretore, subito dopo la costituzione del rapporto processuale, dalla difesa di entrambi gli imputati;

 che l'anticipazione dell'epilogo dibattimentale e il conseguente superamento del termine ultimo entro cui doveva essere presentata la richiesta di applicazione della pena sono dipesi dal fatto che in primo grado il difensore dell'imputato rimasto contumace aveva aderito all'eccezione preliminare relativa alla regolarità dell'atto di querela proposta dal difensore del coimputato, senza esercitare la facoltà di presentare contestualmente, e in subordine, tempestiva richiesta di patteggiamento;

 che pertanto l'omessa presentazione della richiesta di applicazione della pena entro il termine di cui all'art. 446, comma 1, cod. proc. pen. è dipesa dalla scelta difensiva, liberamente esercitata, di sollecitare in via esclusiva la richiesta di proscioglimento anticipato per un supposto vizio dell'atto di querela;

 che non è quindi conferente il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 101 del 1993, che si riferisce ad un caso in cui l'inosservanza del termine per presentare la richiesta di applicazione della pena era stata effettivamente «determinata da un evento non evitabile dall'interessato», e cioè dal suo legittimo e assoluto impedimento, del quale era pervenuta in ritardo notizia, a presenziare all'udienza dibattimentale;

 che ove l'imputato, se presente al dibattimento di primo grado, o il suo difensore, se munito di procura speciale, avesse esercitato, subordinatamente alla richiesta di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., la facoltà di presentare tempestivamente richiesta di applicazione della pena, il giudice di appello avrebbe potuto, in applicazione dell'art. 604, comma 6, cod. proc. pen., pronunciare sentenza di patteggiamento in riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado;

 che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata manifestamente infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di appello di Venezia, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costitu-zionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1999.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1999.