Ordinanza n. 451/99

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ORDINANZA N. 451

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 340, comma 4, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 5 gennaio 1999 dal Tribunale di Trani, iscritta al n. 100 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 ottobre 1999 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che, con ordinanza in data 5 gennaio 1999, il Tribunale di Trani ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 340, comma 4, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la non trasmissibilità agli eredi del remittente la querela dell’obbligazione per il pagamento delle spese del procedimento;

che il giudice a quo, avendo pronunciato sentenza, divenuta irrevocabile, di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per essere il reato ascrittogli estinto per intervenuta remissione di querela, riferisce di essere ora chiamato, quale giudice dell’esecuzione ai sensi dell’articolo 695 cod. proc. pen., a provvedere in ordine alle spese del procedimento, che l’articolo 340, comma 4, cod. proc. pen., per tale ipotesi e salvo diversa pattuizione nella specie non intervenuta, pone a carico del querelante;

che, poiché nel certificato anagrafico del competente Comune si attesta che il querelante è deceduto, il Tribunale di Trani ritiene di trovarsi nelle condizioni di dover porre le spese processuali a carico degli eredi;

che la disposizione contenuta nell’articolo 340, comma 4, costituisce, ad avviso del medesimo giudice, il naturale pendant di quella di cui all’articolo 535 cod. proc. pen., che in caso di condanna pone le spese processuali a carico dell’imputato, dando luogo, secondo la comune interpretazione, ad una obbligazione civile di natura pecuniaria, come tale trasmissibile agli eredi in caso di decesso dell’obbligato;

che il quadro normativo – argomenta il giudice a quo – è mutato in conseguenza della sentenza n. 98 del 1998, con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 188, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede la non trasmissibilità agli eredi dell’obbligo del condannato di rimborsare le spese del processo penale, sicché tali spese non formano più oggetto di obbligazione civile nascente dal reato ma costituiscono una sanzione economica accessoria alla pena, strettamente inerente alla persona del condannato;

che ne scaturirebbe un dubbio di legittimità costituzionale dell’articolo 340, comma 4, cod. proc. pen., il quale, ponendo le spese del procedimento a carico del remittente la querela e non prevedendo la non trasmissibilità agli eredi di tale obbligazione, violerebbe l’articolo 3 della Costituzione, oltre che per l’ingiustificata disparità di trattamento di situazioni tra loro omologabili, anche per la “disarmonia” che nell’ordinamento processuale deriverebbe dalla contemporanea presenza dell’articolo 188, comma secondo, cod. pen., quale risulta a seguito della citata sentenza di questa Corte, in quanto l’obbligo di rimborso delle spese processuali muterebbe natura a seconda del soggetto debitore sul quale finisce col gravare, configurandosi per il condannato come sanzione economica accessoria e per il remittente la querela come obbligazione civile;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che il giudice a quo dubita, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 340, comma 4, del codice di procedura penale, peraltro modificato, successivamente all’ordinanza di remissione, dall’articolo 13 della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario), nella parte in cui non prevede la non trasmissibilità dell’obbligazione per il pagamento delle spese del procedimento agli eredi del remittente la querela;

che l’attrazione dell’obbligo di rifondere le spese di giustizia, in caso di remissione di querela, al genus delle obbligazioni trasmissibili agli eredi secondo i principî civilistici, generalmente condivisa dalla dottrina e dai giudici comuni, risulta implicitamente dalla recente sentenza di questa Corte n. 211 del 1995 ed è acquisita alla giurisprudenza costituzionale fin dalla sentenza n. 151 del 1975, che, proprio sul presupposto della trasmissibilità iure successionis di tale obbligazione, senza possibilità alcuna per gli eredi del querelante di sottrarvisi, dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’articolo 156 del codice penale, nella parte in cui non attribuiva l’esercizio del diritto di remissione della querela agli eredi della persona offesa dal reato;

che l’inquadramento civilistico dell’istituto, sul quale si fonda la ratio decidendi della sentenza di accoglimento n. 151 del 1975, non è smentito, contrariamente a quanto si afferma nell’ordinanza di rinvio, dalla sentenza di questa Corte n. 98 del 1998;

che in quest’ultima sentenza, infatti, si è rilevato che il debito di rimborso delle spese processuali gravante sul condannato, a seguito della introduzione della remissione del debito (articolo 56 della legge 26 luglio 1985, n. 354, “Ordinamento penitenziario”) e del rilievo che in essa assumono l’esistenza di indici di ravvedimento del condannato e l’esigenza di agevolarne il reinserimento sociale, è divenuto assimilabile alle sanzioni economiche accessorie alla pena, ed è quindi partecipe della finalità di emenda e del carattere di personalità propri della pena in forza dell’articolo 27 della Costituzione;

che, stante la diversità delle situazioni poste a raffronto, nessuna illegittima disparità di trattamento è configurabile tra il condannato e il remittente la querela, in riferimento all’obbligo di sostenere le spese del processo, né alcuna disarmonia, censurabile alla luce del parametro evocato, è ravvisabile in un sistema che, riconosciuto il carattere strettamente personale delle sanzioni economiche accessorie alla pena, lo nega ad obblighi che a tali sanzioni non sono neppure lontanamente riconducibili, quale quello che il vecchio testo dell’articolo 340, comma 4, del codice di procedura penale poneva a carico del remittente la querela in assenza di una diversa pattuizione tra remittente e querelato;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 340, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Tribunale di Trani con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costitu-zionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1999.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1999.