Ordinanza n. 448/99

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 448

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

- Dott. Franco BILE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 20 della legge 21 dicembre 1978, n. 843 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria); 14 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663 (Finanziamento del Servizio sanitario nazionale nonché proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla legge 1° giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile), convertito con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980, n. 33; 1 della legge 30 dicembre 1980, n. 895 (Misure urgenti in materia previdenziale e pensionistica); 1 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402 (Contenimento della spesa previdenziale e adeguamento delle contribuzioni), convertito con modificazioni nella legge 26 settembre 1981, n. 537; 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 1983, n. 638; 5, quinto comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno ed incremento dei livelli occupazionali), convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1984, n. 863, promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1997 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dall'INPS contro l'Istituto Facchetti s.r.l., iscritta al n. 212 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1998.

 Visti l'atto di costituzione dell'INPS nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

 uditi l'avv. Antonino Sgroi per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 Ritenuto che, nel corso di un giudizio di legittimità - promosso dall’INPS avverso una sentenza d’appello, con la quale il Tribunale di Bergamo ha ritenuto che in caso di lavoro a tempo parziale cd. "verticale" di docenti e non docenti di un Istituto privato, caratterizzato dalla prestazione di lavoro solo per alcuni giorni alla settimana e con orario ridotto, dovesse trovare applicazione il minimale giornaliero retributivo e contributivo, non in cifra fissa (come ritenuto dal pretore in primo grado), bensì riproporzionato alla quantità di ore effettivamente lavorate - la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 24 novembre 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’intera disciplina dei contributi previdenziali minimi, in quanto applicabile ratione temporis ai rapporti dedotti in giudizio (svolti nel periodo 1981-1986);

 che, in particolare, i dubbi di incostituzionalità si appuntano, in primo luogo, sul combinato disposto: a) dell’art. 20 della legge 21 dicembre 1978, n. 843; b) dell’art. 14 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980, n. 33; c) dell’art. 1 della legge 30 dicembre 1980, n. 895; d) dell’art. 1 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito con modificazioni nella legge 26 settembre 1981, n. 537; e) dell’art. 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 1983, n. 638, nella parte in cui dette norme - prima della intervenuta eliminazione del denunciato meccanismo del minimale giornaliero ad opera dell’art. 5, quinto comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1984, n. 863 - «non consentivano di ragguagliare a prestazioni lavorative a tempo parziale il "limite minimo di retribuzione giornaliera" stabilito [...] in riferimento ai minimi retributivi previsti dai contratti collettivi di lavoro, per prestazioni di lavoro a tempo pieno, o alle tabelle indicate dalla legge»;

 che, a giudizio del Collegio rimettente, le disposizioni denunciate si pongono in contrasto: a) con l’art. 3, primo comma, Cost., là dove sanciscono un'uguale contribuzione per prestazioni lavorative quantitativamente diverse (con un effetto distorsivo, tenuto presente ed evitato invece dalla regolamentazione degli aspetti contributivi di altri settori, come ad esempio quello dei lavoratori domestici, di cui al d.P.R. 3 dicembre 1971, n. 1403); b) con gli artt. 3, secondo comma, e 4, primo comma, Cost., avendo tali previsioni conseguentemente scoraggiato il ricorso alla forma di lavoro part-time, a causa dell’imposizione ai datori di lavoro (e, seppure in misura inferiore, anche ai lavoratori) di costi sproporzionati rispetto al valore economico dell’attività lavorativa; c) con l’art. 36 Cost., poiché, venendo trattenuta dal datore di lavoro una quota percentuale della retribuzione, in caso di prestazioni di lavoro molto ridotte vi è la concreta possibilità di una incidenza rilevante delle trattenute contributive sulle retribuzioni corrisposte;

 che il giudice a quo censura inoltre l’art. 5, quinto comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1984, n. 863 (nel testo anteriore alla modifica apportata dall’art. 1 della legge n. 389 del 1989), il quale - eliminato il minimale giornaliero - ha introdotto una diversa base di calcolo dei contributi previdenziali relativi appunto ai lavoratori a tempo parziale, stabilendola in un sesto del minimale giornaliero previsto dall’art. 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 1983, n. 638;

 che, a giudizio della rimettente, anche tale norma è lesiva degli articoli della Costituzione come sopra evocati, venendo a penalizzare, attraverso costi contributivi maggiori, le prestazioni lavorative effettuate, in ipotesi, per più di sei ore giornaliere ma non per tutte le giornate lavorative (eventualmente in caso di cumulo di attività a tempo parziale), le quali rimangono così assoggettate a contributi proporzionalmente maggiori rispetto a quelli previsti in generale per il contratto di lavoro a tempo pieno;

 che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e si è costituito l’INPS, concludendo entrambi per la declaratoria di inammissibilità o, comunque, di infondatezza della sollevata questione;

 che, nell’imminenza dell’udienza, il costituito INPS ha depositato memoria integrativa, con la quale ha insistito nelle rassegnate conclusioni.

 Considerato, preliminarmente, che la rimettente ha (seppur sinteticamente) descritto a sufficienza la fattispecie oggetto di lite - riguardante rapporti di lavoro a tempo parziale c.d. "verticale", svolti, solo per alcuni giorni della settimana e con orario ridotto, durante gli anni 1981-1986 - ed ha non implausibilmente motivato in ordine all’applicabilità ratione temporis delle singole norme impugnate a detti rapporti;

 che perciò non ha consistenza l'eccezione d'inammissibilità dedotta ex adverso dall'INPS relativamente alla prima questione, della quale va dunque esaminato il merito, riguardante l’intera disciplina del limite minimo di retribuzione giornaliera in caso di rapporto di lavoro part-time, anteriore alla riforma attuata dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863;

 che questa Corte, con le ordinanze n. 835 e n. 1157 del 1988, ha escluso che la parificazione tra datori di lavoro i quali corrispondano diverse retribuzioni - derivante dall'applicazione del minimo retributivo imponibile non ulteriormente frazionabile - sia di per sé irrazionale o contrasti con il principio di uguaglianza, apparendo essa, al contrario, giustificata dalla preminente finalità di assicurare comunque una soglia di contribuzione dei datori di lavoro al sistema della previdenza sociale, tale da consentire la tutela dei lavoratori in un contesto nel quale opera il principio di solidarietà;

 che, ribadite tali affermazioni, va sottolineato come codesta assenza di manifesti aspetti d'irragionevolezza o di arbitraria discriminazione esclude l'incostituzionalità del denunciato criterio di computo contributivo, adottato dal legislatore nell’àmbito dell’ampio potere discrezionale di cui dispone in materia, nel bilanciamento degli interessi contrapposti (cfr., da ultimo, sentenza n. 18 del 1998 ed ordinanza n. 92 del 1997);

 che tale criterio si colloca, temporalmente e logicamente, nel contesto del graduale ed articolato processo di evoluzione normativa in cui si inserisce la regolamentazione sostanziale e previdenziale del rapporto di lavoro a tempo parziale (v. sentenza n. 202 del 1999), per cui esso è da valutare in una prospettiva necessariamente diacronica, alla luce della quale il previgente sistema non può venir sospettato di incostituzionalità per il solo fatto di essere successivamente intervenute modificazioni ad opera della disciplina posteriore (cfr. sentenza n. 301 del 1996 e ordinanza n. 125 del 1998);

 che, per quanto riguarda gli ulteriori profili prospettati dal Collegio rimettente, appare evidente: a) come la specificità degli autonomi e disomogenei sistemi posti a comparazione (v. sentenze n. 345 del 1999 e n. 97 del 1996) renda inappropriato il richiamo quale tertium comparationis alla diversa regolamentazione degli aspetti contributivi del settore dei lavoratori domestici di cui al d.P.R. n. 1403 del 1971; b) come al maggior obbligo contributivo posto - in modo, peraltro, assai più limitato - anche a carico del lavoratore (la cui legittimità deve essere parimenti valutata sempre nell’ottica dei menzionati preminenti principi solidaristici ispiratori del sistema previdenziale) corrisponda comunque per esso, all’esito, il vantaggio di un migliore trattamento pensionistico;

 che, pertanto, tale questione dev'essere dichiarata manifestamente infondata;

 che, relativamente all'altra questione, riguardante l’art. 5, quinto comma, della legge n. 863 del 1984, i dubbi d’incostituzionalità - rispetto alla concreta fattispecie dedotta nel giudizio a quo, caratterizzata, come si ricava dalla descrizione contenuta in motivazione, dalla "prestazione di lavoro solo per alcuni giorni della settimana e con orario ridotto" - vengono prospettati in via del tutto eventuale, in quanto riferiti a mere ipotesi formulate a titolo d’esempio e riguardanti lamentati effetti distorsivi della nuova normativa in specifici casi (attività lavorativa espletata per più di sei ore giornaliere; cumulo di più attività lavorative part-time), che, per esplicita affermazione della stessa rimettente, si configurano come estranei riguardo al processo in corso, la cui definizione non dipende dalla soluzione della sollevata questione, la quale dunque non assume rilevanza, appunto sotto il profilo dell'ipoteticità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 20 della legge 21 dicembre 1978, n. 843 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria); dell’art. 14 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663 (Finanziamento del Servizio sanitario nazionale nonché proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla legge 1° giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile), convertito con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980, n. 33; dell’art. 1 della legge 30 dicembre 1980, n. 895 (Misure urgenti in materia previdenziale e pensionistica); dell’art. 1 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402 (Contenimento della spesa previdenziale e adeguamento delle contribuzioni), convertito con modificazioni nella legge 26 settembre 1981, n. 537, nonché dell’art. 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 1983, n. 638, sollevate - in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 4, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione - dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, quinto comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno ed incremento dei livelli occupazionali), convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1984, n. 863, sollevata - in riferimento agli identici parametri - dalla stessa Corte di cassazione, con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costitu-zionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 1999.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 1° dicembre 1999.