Sentenza n. 432/99

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SENTENZA N. 432

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14, terzo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), come modificato dall'art. 26 della legge 3 giugno 1975, n. 160 (Norme per il miglioramento di trattamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), promosso con ordinanza emessa il 2 febbraio 1998 dal Tribunale di Bologna nel procedimento civile vertente tra Alberani Garagnani Laura e l'INPS, iscritta al n. 203 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1998.

 Visto l'atto di costituzione dell'INPS;

 udito nell'udienza pubblica del 12 ottobre 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

 udito l'avv.to Carlo De Angelis per l'INPS.

Ritenuto in fatto

 1.- Nel corso di un giudizio di appello avverso la sentenza con cui il Pretore di Bologna aveva respinto una domanda rivolta all'INPS per il ricalcolo dell'importo di una pensione di anzianità sulla base della sola contribuzione obbligatoria, il Tribunale di Bologna, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, con ordinanza emessa il 2 febbraio 1998, questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione - dell'art. 14, terzo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), come sostituito dall'art. 26 della legge 3 giugno 1975, n. 160 (Norme per il miglioramento di trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale).

 Il rimettente - esclusa la diretta rilevanza delle sentenze della Corte costituzionale n. 307 del 1989 e n. 428 del 1992, perché riguardanti norme diverse e successive rispetto a quella applicabile nella specie - osserva che, secondo la denunciata normativa (concernente le pensioni con decorrenza successiva, come nel caso concreto, al 31 dicembre 1975), la retribuzione annua pensionabile va calcolata in base ai tre gruppi di 52 settimane con contribuzione più elevata nell'àmbito delle 520 settimane di contribuzione precedenti la data di decorrenza della pensione. Poiché nella specie l'assicurata, titolare di una pensione di anzianità a decorrere dall'agosto 1978, ha conseguito la prescritta anzianità assicurativa e contributiva trentacinquennale non già in costanza di rapporto di lavoro (iniziato nel 1939 e cessato nel 1967), ma solo successivamente, a séguito di una contribuzione volontaria (sino al 1978) di importo modesto rispetto ai contributi obbligatori, ne deriva, secondo il giudice a quo, un trattamento pensionistico inferiore - tenendo conto delle ultime 520 settimane - rispetto a quello liquidabile conteggiando esclusivamente i contributi assicurativi obbligatori. Donde il prospettato dubbio di illegittimità costituzionale della denunciata norma sotto il profilo della violazione dei principi di uguaglianza, della tutela del lavoro e delle garanzie previdenziali in favore dei lavoratori, in presenza di un trattamento pensionistico che risulti deteriore allorché alla contribuzione obbligatoria si aggiunga quella volontaria, che, invece, dovrebbe svolgere (anche) la funzione di salvaguardia dei contenuti economici della retribuzione pensionabile, restando irrilevante - sempre secondo il rimettente - che alla maturazione del diritto alla pensione di anzianità da parte dell'assicurato si giunga solo a séguito della contribuzione volontaria successiva alla cessazione del rapporto di lavoro e non già in costanza di esso.

 2.- Si è costituito in giudizio l'INPS, il quale ha chiesto la declaratoria d'infondatezza della questione, osservando che l'àmbito decennale (ultime 520 settimane) della contribuzione da considerare per la determinazione dei tre periodi più favorevoli per l'assicurato (di 52 settimane ciascuno), da un lato, è più ampio di quello previsto dall'art. 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (ultime 260 settimane) censurato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 428 del 1992 e, dall'altro, è frutto di una scelta discrezionale del legislatore. Inoltre, secondo l'istituto, poiché l'assicurata, con la contribuzione volontaria, ha potuto conseguire - in tale contesto normativo - un trattamento pensionistico anticipato rispetto all'età pensionabile, la circostanza contingente di una contribuzione volontaria di modesto ammontare non inficia di illegittimità la norma denunciata.

Considerato in diritto

 1.- Il Tribunale di Bologna ha sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione - dell'art. 14, terzo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), come sostituito dall'art. 26 della legge 3 giugno 1975, n. 160 (Norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale), nella parte in cui non prevede - nel caso di prosecuzione volontaria della contribuzione da parte dell'assicurato sino a raggiungere la prescritta anzianità contributiva ed assicurativa minima - che la pensione di anzianità non possa essere liquidata in misura inferiore a quella spettante sulla base della sola contribuzione obbligatoria.

 Il rimettente prospetta l'ipotesi di una assicurata che, dopo aver conseguito, tramite contribuzione obbligatoria, una anzianità contributiva [28 anni] inferiore al minimo [35 anni], abbia poi versato contributi volontari sufficienti al superamento della prescritta anzianità assicurativa e contributiva minima. L'applicazione della norma denunciata, imponendo (per le pensioni con decorrenza successiva - come nel caso di specie - al 31 dicembre 1975) la considerazione, ai fini dell'individuazione della retribuzione pensionabile, dei tre gruppi di 52 settimane con contribuzione più elevata nell'àmbito delle 520 settimane di contribuzione precedenti la data di decorrenza della pensione, comporterebbe - secondo il rimettente stesso - l'irrazionale ed ingiusto risultato della determinazione d'un trattamento pensionistico inferiore a quello spettante sulla base della sola, più elevata, contribuzione obbligatoria (di per sé non sufficiente, tuttavia, a far maturare il diritto a pensione).

 2.- La questione è solo parzialmente fondata.

 2.1.- Il giudice a quo muove da una erronea considerazione della ratio delle pronunce di questa Corte da lui invocate (sentenze n. 428 del 1992, n. 307 del 1989, n. 574 del 1987), nonché da un'individuazione inesatta delle finalità stesse della contribuzione volontaria.

 Con tali sentenze, infatti, nonché con le sentenze n. 201 del 1999, n. 427 del 1997, n. 388 del 1995, n. 264 del 1994 e n. 822 del 1988, questa Corte ha inteso enunciare la regola generale, secondo cui, dopo il perfezionamento del requisito minimo contributivo, l'ulteriore contribuzione (obbligatoria, volontaria o figurativa), mentre vale ad incrementare il livello di pensione già consolidato, non deve comunque compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata sino a quel momento: effetto, quest'ultimo, che sarebbe, infatti, palesemente contrastante con gli artt. 3 e 38 della Costituzione (v., in particolare, sentenze n. 201 del 1999 e n. 388 del 1995). Per cui è da ritenere che il contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., sotto il profilo della violazione dei criteri, rispettivamente, della ragionevolezza e dell'adeguatezza, sussista soltanto quando ad un maggiore apporto contributivo successivo al perfezionamento dell'anzianità minima contributiva (anche se raggiunta con contributi non solo obbligatori) corrisponda una riduzione della pensione maturata sulla base della precedente contribuzione.

 Dunque la menzionata giurisprudenza - lungi dal ritenere consentito all'assicurato di sterilizzare a suo arbitrio ed in ogni caso le contribuzioni volontarie onde far valutare, a fini pensionistici, esclusivamente i più elevati contributi obbligatori - ha solo affermato che a lui dev'essere comunque consentito di optare per il trattamento previdenziale risultante dal conseguimento dell'anzianità contributiva minima, allorché l'ulteriore contribuzione comporti una riduzione della pensione, ma senza poter ottenere, ove abbia esercitato tale opzione, che gli siano riconosciuti in aggiunta eventuali altri vantaggi derivanti dalla successiva contribuzione (v., in particolare, sentenza n. 388 del 1995).

 2.2.- Da quanto premesso discende che, nella specie, occorre distinguere tra i versamenti volontari necessari al raggiungimento dell'anzianità contributiva minima e quelli ulteriori.

 I princìpi di cui alla citata giurisprudenza valgono pienamente con riguardo alla contribuzione successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo (anche se non raggiunto - come già osservato - con la sola contribuzione obbligatoria). La normativa denunciata (precedente a quella del 1982, già dichiarata incostituzionale sotto il medesimo profilo) non si sottrae, perciò, nei limiti già precisati, alla censura di illegittimità costituzionale rispetto agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, mancando in essa una clausola di salvaguardia della posizione acquisita a séguito del raggiungimento dell’anzianità minima contributiva, che «segna un limite intrinseco alla discrezionalità del legislatore nella scelta, ad esso riservata, del criterio di individuazione del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile» (sentenza n. 388 del 1995); restando assorbito ogni altro prospettato profilo di illegittimità costituzionale sul punto.

 In senso contrario si deve concludere con riguardo ai versamenti volontari necessari al raggiungimento dell'anzianità contributiva minima.

 Non si rinvengono, infatti, (tanto meno negli artt. 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, indicati dal rimettente), princìpi costituzionali che impongano in ogni caso e a tutti gli effetti l'equiparazione della contribuzione volontaria a quella obbligatoria. E dunque è da ritenersi che il legislatore non abbia travalicato i limiti della propria discrezionalità nell'individuare il periodo di riferimento per la retribuzione pensionabile non escludendo da esso la contribuzione volontaria nel caso in cui la pensione d'anzianità venga a dover essere liquidata in misura inferiore a quella calcolata sulla base della sola contribuzione obbligatoria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, terzo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), come sostituito dall'art. 26 della legge 3 giugno 1975, n. 160 (Norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale), nella parte in cui non prevede, nel caso di prosecuzione volontaria della contribuzione da parte dell’assicurato che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva minima, che la pensione di anzianità non possa essere liquidata in misura inferiore a quella calcolata sulla base della sola contribuzione minima.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costitu-zionale, Palazzo della Consulta, l'11 novembre 1999.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 novembre 1999.