Sentenza n. 428/99

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 428

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI 

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv. Massimo VARI 

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 392, comma 1, lettere c) e d) del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze emesse il 20 novembre 1998 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Marsala, il 16 novembre 1998 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Genova e l'11 maggio 1999 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Marsala, rispettivamente iscritte ai nn. 17, 199 e 386 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, nn. 4, 14 e 28 dell'anno 1999.

 Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 13 ottobre 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

 1.¾ Con ordinanza emessa in data 16 novembre 1998 (r.o. n. 199 del 1999), il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale nella parte in cui consente l’esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri senza che ricorrano le circostanze previste dalle lettere a) e b) dello stesso articolo e quindi <<in un momento scelto discrezionalmente dalla parte che conduce le indagini>>.

Il giudice a quo premette in fatto che in sede di udienza preliminare, su richiesta del pubblico ministero, era stato ammesso incidente probatorio ai sensi dell’art. 392, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., avente ad oggetto l’esame di imputati che avevano reso dichiarazioni nei confronti di altri e che, alla successiva udienza, il difensore di un imputato aveva chiesto di dichiarare inammissibile l’incidente.

Osserva inoltre il rimettente che la legge n. 267 del 1997, modificando l’art. 513 cod. proc. pen., da un lato ha introdotto consistenti limitazioni alla possibilità di utilizzare in dibattimento le dichiarazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini al pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari nei confronti di altri, prevedendone l’utilizzabilità, nel caso in cui l’imputato si sia rifiutato di sottoporsi all’esame, solo con il consenso della parte interessata; dall’altro ha ampliato le ipotesi di incidente probatorio, eliminando le limitazioni di cui alle lettere c) e d) in relazione all’esame dell’indagato e dell'imputato in procedimento connesso su fatti concernenti la responsabilità di terzi.

Su tale tessuto normativo è poi intervenuta la sentenza n. 361 del 1998 della Corte costituzionale che, <<ripristinando la utilizzabilità […] delle dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui, (ha fatto) venire meno la ragione ispiratrice della riforma dell'art. 392 cod. proc. pen.>>.

Sostiene infatti il rimettente che l’estensione dell’incidente probatorio doveva ritenersi funzionalmente collegata al nuovo regime (più restrittivo) previsto per la utilizzazione delle dichiarazioni sul fatto altrui, e quindi finalizzata a consentire l’utilizzabilità dibattimentale delle dichiarazioni eventualmente rese in tale sede; venuto meno, a seguito della predetta sentenza, il pericolo di dispersione della prova nel dibattimento, la possibilità di anticipare la formazione della prova in un momento scelto discrezionalmente dalla parte che conduce le indagini, verrebbe a costituire una non più giustificata limitazione del diritto di difesa.

La norma violerebbe inoltre l’art. 3 Cost. sia perché, ad avviso del rimettente, appare oggi irragionevole la deroga ai principi della concentrazione e dell’immediatezza nella formazione della prova, sia perché, <<una volta equiparato il regime di utilizzabilità delle dichiarazioni del coimputato che si rifiuta di rispondere a quello dettato per il testimone reticente, la diversità di disciplina contenuta nell’art. 392 cod. proc. pen. per le due ipotesi non appare più giustificata>>.

Anche il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Marsala, con ordinanza emessa il 20 novembre 1998 (r.o. n. 17 del 1999), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1, lettera d), cod. proc. pen. <<nella parte in cui tale disposizione non subordina l’ammissibilità della richiesta di esame del chiamante in correità, nei casi suddetti, alla ricorrenza di una delle circostanze di cui alle lettere a) e b) dello stesso articolo>>.

 Il giudice a quo, premesso in fatto che l’incidente probatorio era stato richiesto per procedere all’esame di alcune persone che avevano già reso al pubblico ministero dichiarazioni accusatorie nei confronti di altri e che, essendo state separatamente rinviate a giudizio, rivestivano nel processo la qualifica di imputati di reato connesso, ex art. 12, lettera c), cod. proc. pen., osserva che il pubblico ministero, nel chiedere l’esame, aveva <<omesso di indicare l’esistenza di qualsivoglia condizione o circostanza che rendesse indifferibile l’assunzione della prova nella sede propria del(l’eventuale) dibattimento>>.

Emerge in tal modo, sempre secondo il rimettente, una disparità di trattamento irragionevole ed ingiustificatamente discriminatoria tra situazioni analoghe quali sono quelle dell’imputato in procedimento connesso e quella del testimone, in contrasto quindi con l’art. 3 Cost.

Sarebbe inoltre violato l’art. 24 Cost. in quanto l’indagato, stante la disciplina dell’art. 392 cod. proc. pen., <<è costretto a “subire” l’esame del coimputato o dell’imputato in procedimento connesso in una sede che non è quella naturale del dibattimento, senza poter esaminare o controesaminare il dichiarante alla luce delle prove eventualmente già acquisite nel corso del dibattimento o, comunque, nel caso in cui la richiesta di incidente probatorio sia presentata dal P.M. nel corso delle indagini preliminari, sulla base di quanto acquisito definitivamente in esito all’attività istruttoria; ed ancora non consentendo alla difesa di far valere le proprie eccezioni od opposizioni innanzi al giudice che dovrà adottare la decisione finale, che è quello del dibattimento>>.

Analoga questione è stata sollevata da altro Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale di Marsala con ordinanza dell'11 maggio 1999 (r.o. n. 386 del 1999) a seguito della richiesta, avanzata dalla difesa di un imputato, di procedere, nel corso dell’udienza preliminare, e con le forme dell’incidente probatorio, all’esame di due persone imputate in procedimento connesso.

Nell’ordinanza di rimessione il giudice richiama e fa espresso rinvio alle argomentazioni svolte nell’ordinanza 20 novembre 1998 (r.o. n. 17 del 1999), facendo però esclusivo riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost.

2.¾ Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che le questioni vengano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate.

 Successivamente la stessa Avvocatura ha depositato due memorie. Con la prima, in data 3 settembre 1999, concernente l’ordinanza iscritta al n. 199 del r.o. del 1999, l’Avvocatura, dopo aver richiamato le argomentazioni del rimettente secondo cui l’attuale formulazione dell’art. 392, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. (possibilità di procedere con incidente probatorio all’esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri, indipendentemente dal concorso delle condizioni – più restrittive - previste dalle lettere a) e b) dello stesso articolo per l’assunzione della testimonianza) è frutto della novella operata dall’art. 4 della legge n. 267 del 1997 ed appare funzionalmente collegata alla modifica contestualmente apportata all’art. 513 cod. proc. pen. ed alle relative, consistenti limitazioni previste nella nuova disciplina dell’utilizzabilità delle dichiarazioni rese al pubblico ministero dall’imputato che poi, in dibattimento, si sia rifiutato di rispondere, afferma che la questione appare <<meritevole di considerazione>>. La sentenza n. 361 del 1998, sostiene l’Avvocatura, facendo sostanzialmente cadere le predette limitazioni, avrebbe reso <<problematico il reperimento di una razionale giustificazione del diverso trattamento – in punto di ammissibilità dell’incidente probatorio – tra assunzione della testimonianza […] ed esame della persona sottoposta ad indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri>>.

Nella seconda memoria, in data 25 settembre 1999, concernente l’ordinanza iscritta al n. 17 del r.o. del 1999 e, quindi, l’art. 392, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., l’Avvocatura, riassunto il quadro fattuale e normativo della vicenda in esame, come ricostruito dal giudice rimettente, chiede che la questione sia dichiarata non fondata alla luce della significativa differenza tra la posizione dell’imputato in procedimento connesso e quella del testimone; l’imputato infatti <<non giura, può affermare il falso senza commettere il reato di cui all’art. 372 cod. pen. ed ha il diritto al silenzio>>. Appare pertanto logico, conclude l’Avvocatura, che l’ordinamento <<appresti qualche rimedio compensativo allo scopo di assicurare, senza ledere altre esigenze di pari grado, la non dispersione delle sue dichiarazioni pregresse>>.

Considerato in diritto

1.¾ Con tre ordinanze di tenore sostanzialmente analogo i Giudici per le indagini preliminari dei Tribunali di Genova e di Marsala hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1, lettere c) e d) del codice di procedura penale, nella parte in cui la richiesta di esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri (r.o. n. 199 del 1999) e delle persone imputate in un procedimento connesso (r.o. nn. 17 e 386 del 1999) non è subordinata alla sussistenza delle condizioni previste dalle lettere a) e b) della medesima disposizione.

Poiché le ordinanze hanno ad oggetto la medesima norma, i tre giudizi possono essere riuniti e decisi con un’unica pronuncia.

Con argomentazioni in gran parte coincidenti, i giudici rimettenti sostengono che la più ampia possibilità di assumere mediante incidente probatorio l’esame dei soggetti sopra indicati - introdotta dall’art. 4, comma 1, della legge 7 agosto 1997, n. 267, mediante l’eliminazione nelle lettere c) e d) dell’art. 392 cod. proc. pen. del richiamo alle condizioni previste per l’esame dei testimoni dalle lettere a) e b) (il fondato motivo di ritenere, rispettivamente, che il testimone non potrà essere esaminato in dibattimento per infermità o altro grave impedimento, ovvero sia esposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di danaro o di altra utilità affinché non deponga o deponga il falso) - deve ritenersi funzionalmente collegata al più restrittivo regime di utilizzazione dibattimentale delle dichiarazioni rese in precedenza sul fatto altrui, contestualmente previsto dalla modifica dell’art. 513, commi 1 e 2, cod. proc. pen. operata dalla stessa legge.

Venuti meno, a seguito della sentenza di questa Corte n. 361 del 1998, i limiti di utilizzazione delle dichiarazioni rese sul fatto altrui dai soggetti di cui alle lettere c) e d) dell’art. 392 cod. proc. pen., la possibilità di anticipare la formazione della prova mediante la mera richiesta di incidente probatorio, e la conseguente violazione dei principi della concentrazione e dell’immediatezza, risulterebbero privi di razionale giustificazione, e si porrebbero quindi in contrasto con l’art. 3 della Costituzione a causa della irragionevolezza complessiva del sistema venuto così a delinearsi (r.o. n. 199 del 1999).

Inoltre, avendo la sentenza n. 361 del 1998 esteso al coimputato e all’imputato in un procedimento connesso la disciplina prevista per il testimone che in dibattimento omette o rifiuta in tutto o in parte di rispondere, così consentendo il recupero delle dichiarazioni rese da tali soggetti sul fatto altrui mediante il meccanismo delle contestazioni, risulterebbe violato anche il principio di eguaglianza per la irragionevole disparità delle condizioni previste per assumere mediante incidente probatorio l’esame di soggetti aventi la medesima posizione processuale di persone chiamate a rendere dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri (r.o. nn. 17, 199 e 386 del 1999).

Infine, il fatto che la persona sottoposta alle indagini sarebbe costretta a subire l’esame del coimputato o dell’imputato in procedimento connesso in una sede diversa da quella naturale del dibattimento, senza potere esaminare o controesaminare il dichiarante alla luce delle prove eventualmente già acquisite nel corso del dibattimento, né fare valere le proprie eccezioni o opposizioni davanti al giudice del dibattimento, e comunque senza avere la possibilità, ove l’incidente probatorio venga disposto nel corso delle indagini preliminari, di tenere conto di tutti gli elementi acquisiti durante le indagini stesse, si porrebbe in contrasto con il diritto di difesa (r.o. nn. 17 e 199 del 1999).

2.¾ Nell’affrontare le censure di illegittimità costituzionale prospettate dai rimettenti, è opportuno richiamare in somma sintesi il sistema delineato dalla legge n. 267 del 1997 in tema di esame mediante incidente probatorio dei soggetti indicati nelle lettere c) e d) dell’art. 392 cod. proc. pen.

La legge in esame, al fine di evitare il rischio di dispersione delle dichiarazioni rese da coimputati o imputati in procedimenti connessi nella fase predibattimentale, correlato alla contestuale modifica apportata all’art. 513 cod. proc. pen., ha introdotto la possibilità per le parti di richiedere l’esame dei soggetti chiamati a rendere dichiarazioni sul fatto altrui anche in assenza delle condizioni previste per i testimoni dalle lettere a) e b) dell’art. 392 cod. proc. pen., così da favorire nella fase antecedente al dibattimento la formazione della prova nel contraddittorio tra le parti.

La sentenza n. 361 del 1998, dopo aver preso atto che il legislatore del 1997 aveva ampliato, <<mediante strumenti attivabili anche per iniziativa della difesa dell’imputato, gli spazi del contraddittorio (sia pure anticipato) su atti destinati ad essere utilizzati in dibattimento>> (con riferimento, appunto, alle modifiche introdotte negli artt. 392, comma 1, lettere c) e d), e 421, comma 2, cod. proc. pen.), è intervenuta sul diverso piano della disciplina della utilizzabilità dibattimentale delle precedenti dichiarazioni rese sul fatto altrui dal soggetto sottoposto ad esame (imputato in procedimento connesso o imputato nel medesimo procedimento), estendendo al dichiarante che si avvalga della facoltà di non rispondere il meccanismo delle contestazioni, già previsto dall’art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen. per il testimone che rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere sulle circostanze riferite nelle precedenti dichiarazioni. La Corte ha infatti ritenuto privo di ragionevole giustificazione un sistema in cui la utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni sul fatto altrui, rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero, veniva fatta dipendere dalla scelta meramente discrezionale del dichiarante di esercitare la facoltà di non rispondere.

Tale sentenza non ha in alcun modo inciso sull’istituto dell’incidente probatorio, che si colloca nella fase delle indagini preliminari e rimane deputato alla formazione anticipata, nel contraddittorio delle parti, di una prova soggetta a rischio di dispersione, i cui verbali sono destinati ad essere letti, e quindi utilizzati, in dibattimento ove ricorrano le condizioni previste dall’art. 511, comma 2, cod. proc. pen.

Ne è emerso un sistema in cui risulta potenziata la facoltà di scelta delle parti in ordine al momento di formazione della prova di cui si discute: ad esse è rimessa la valutazione se attivare la formazione anticipata della prova mediante incidente probatorio, ovvero fare esclusivamente affidamento sulla sua assunzione in dibattimento, caratterizzato dalla contestuale attuazione dei principi del contraddittorio, dell’oralità e dell’immediatezza, e sulla residua possibilità di recuperare le dichiarazioni precedentemente rese mediante il meccanismo delle contestazioni disciplinato dall’art. 500, comma 2-bis, cod. proc. pen.

3.¾ Nel quadro così delineato, le questioni sono infondate con riferimento ad entrambi i parametri evocati dai giudici rimettenti.

4.¾ Le censure di irragionevolezza complessiva del sistema, prospettate in relazione all’art. 3 Cost., si basano su argomentazioni prive di fondamento.

L’attuale assetto normativo, come si è già accennato, rafforza l’esercizio dei poteri dispositivi delle parti in materia di formazione della prova. Né può ritenersi che la menzionata sentenza della Corte abbia reso irragionevole la deroga ai principi dell’immediatezza e dell’oralità introdotta dal legislatore del 1997, in quanto la deroga rimane pur sempre giustificata dalle particolarità della prova in esame, caratterizzata dall’essere resa da soggetti aventi la qualità di coimputato o di imputato in un procedimento connesso e dall’avere per oggetto circostanze relative alla responsabilità di altri. La disciplina che, a prescindere dal presupposto della non rinviabilità al dibattimento, consente di assicurare anticipatamente la formazione di tale prova, rende invero le parti (e anche la difesa) maggiormente garantite anche nell’ipotesi in cui in dibattimento il dichiarante rifiuti di rispondere.

Parimenti infondate sono le censure riferite alla violazione del principio di eguaglianza, sotto il profilo della supposta simmetria tra la posizione del teste e quella del coimputato o dell’imputato in procedimento connesso chiamati a rendere dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri, e della conseguente irragionevole disparità tra i presupposti dell’incidente probatorio rispettivamente previsti per le due categorie di soggetti dall’art. 392 cod. proc. pen.

Nella sentenza n. 361 del 1998 questa Corte ha equiparato la posizione processuale di tali soggetti solo ai fini delle contestazioni nell’esame dibattimentale, in base alla constatazione che tali dichiarazioni «sono contraddistinte dall’essere rivolte, e dall’essere destinate a valere, nei confronti di altri», ma ha nello stesso tempo richiamato la distinzione, prevista dall’attuale disciplina, tra le posizioni sostanziali dell’imputato in procedimento connesso (nonché del coimputato chiamato a rendere dichiarazioni sul fatto altrui) e del testimone. Ed infatti, a differenza del testimone, la persona sottoposta alle indagini e l’imputato in procedimento connesso, anche quando sono chiamati a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, non sono soggetti all’obbligo del giuramento, non commettono il delitto di falsa testimonianza ove affermino il falso o rifiutino di rispondere, sono assistiti dal diritto al silenzio.

5.¾ Le censure sollevate con riferimento all’art. 24, comma secondo, Cost. si basano, in primo luogo, sul confronto con i più ampi poteri che la difesa dell’imputato potrebbe esercitare ove l’esame si svolgesse in dibattimento. Sotto questo profilo, esse ripropongono i rilievi di incostituzionalità, già in precedenza esaminati, relativi alla presunta irragionevolezza complessiva della nuova disciplina, in quanto i rimettenti in realtà criticano il più ampio ricorso all’incidente probatorio e il conseguente sacrificio, peraltro futuro ed eventuale, dell’esame dibattimentale.

Per altro aspetto tali censure sono il frutto di un’insufficiente valutazione delle potenzialità connesse all’esercizio del diritto di difesa nelle varie fasi del processo.

Invero, ove l’incidente probatorio venga richiesto nel corso delle indagini preliminari, la persona sottoposta alle indagini può anticipatamente prendere cognizione delle dichiarazioni rese in precedenza dalla persona da esaminare (art. 398, comma 3, cod. proc. pen.); se, poi, l’incidente viene chiesto durante l’udienza preliminare (v., per l’appunto, r.o. nn. 199 e 386 del 1999), la difesa ha facoltà di prendere visione, a norma degli artt. 419, commi 2 e 3, cod. proc. pen. e 131 disp. att. cod. proc. pen., del complesso degli atti delle indagini preliminari.

 I rimettenti inoltre non considerano che l’incidente probatorio può essere chiesto anche dalla persona sottoposta alle indagini, come d’altronde è avvenuto in uno dei procedimenti a quibus (r.o. n. 386 del 1999), e non solo dal pubblico ministero.

E’ assorbente comunque il rilievo che, contrariamente a quanto sembrano ritenere i rimettenti, l’incidente probatorio non preclude la facoltà delle parti di richiedere l’esame in dibattimento, con le più ampie possibilità di contestazioni derivanti da questa fase processuale. Ove, poi, l’esame dibattimentale non abbia luogo, il diritto di difesa risulta certamente più garantito dai meccanismi che sovraintendono alla formazione anticipata della prova mediante incidente probatorio rispetto all’ipotesi in cui le dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri vengano raccolte unilateralmente dal pubblico ministero, senza la partecipazione del difensore dell’indagato cui le dichiarazioni si riferiscono.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 riuniti i giudizi,

 dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1, lettere c) e d) del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dai Giudici per le indagini preliminari del Tribunale di Marsala e del Tribunale di Genova.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 novembre 1999.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 19 novembre 1999.