Sentenza n. 386/99

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SENTENZA N. 386

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO            

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 41 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), promosso con ordinanza emessa il 2 aprile 1998 dalla Commissione tributaria provinciale di Torino sul ricorso proposto da Bianchi Fausto contro l’Ufficio del registro di Torino, iscritta al n. 647 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 giugno 1999 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio di impugnazione di un avviso di liquidazione dell'imposta di successione promosso dal terzo acquirente di un immobile facente parte dell'asse ereditario, la Commissione tributaria provinciale di Torino, con ordinanza del 2 aprile 1998, ha sollevato, in riferimento agli articoli 24, 113 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 34 e 41 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni).

Premette il giudice rimettente che la disciplina legislativa in materia, mentre accorderebbe al fisco privilegio sull'immobile caduto in successione per il pagamento della relativa imposta, precluderebbe al terzo acquirente di tale bene la possibilità di contestare, nell'inerzia del successore mortis causa, la pretesa dell'ufficio impositore in ordine all'entità del maggior valore accertato.

Diversamente da quanto disposto per l'INVIM, il suddetto acquirente non solo non sarebbe posto in condizione di venire a conoscenza dell'accertamento di maggiore valore, ma <<anche se a conoscenza di tale accertamento, non avrebbe alcuna legittimazione a interloquire in merito alla determinazione da parte dell'ufficio del maggiore valore>>, essendo tale legittimazione attribuita in via esclusiva all'erede.

Il dubbio di costituzionalità riguarderebbe, pertanto, ad avviso del rimettente, non già la previsione del privilegio immobiliare a garanzia dell'obbligazione tributaria, ma la disciplina dell'accertamento di maggior valore che non accorderebbe al terzo acquirente del bene successorio alcuna possibilità di intervento in giudizio e che potrebbe essere agevolmente modificata in via additiva, ponendo a carico dell'ufficio impositore l'obbligo di notificare l'atto di accertamento al terzo e riconoscendo a quest'ultimo la legittimazione ad impugnare l'atto medesimo.

La rilevanza della questione sollevata sarebbe, infine, resa palese dagli stessi termini del giudizio a quo che, come si é detto, riguarda l'impugnazione da parte del terzo acquirente del bene caduto in successione dell'accertamento relativo all'imposta complementare di successione.

2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di manifesta infondatezza della questione.

Rileva, in particolare, l'interveniente come il richiamo all'INVIM, contenuto nell'ordinanza di rimessione, sia del tutto fuorviante in considerazione della essenziale diversità della posizione del terzo acquirente rispetto all’imposta di successione e rispetto all’INVIM.

Riguardo a quest'ultima, infatti, la possibilità del terzo acquirente di contestare l'accertamento di maggior valore deriverebbe dal fatto che egli, pur non essendo soggetto passivo dell'imposta, é parte del negozio giuridico fonte dell'obbligazione tributaria.

Nella disciplina dell'imposta di successione, invece, l'acquirente del bene ricompreso nell'asse ereditario sarebbe del tutto estraneo al presupposto impositivo del tributo (trasferimento del bene per successione mortis causa) e, pertanto, non solo non avrebbe titolo per venire a conoscenza dell'accertamento di maggior valore dell'ufficio, ma nemmeno sarebbe legittimato a contestare, in caso di inerzia dell'erede, tale accertamento.

Inoltre, sempre ad avviso dell'Avvocatura, occorrerebbe considerare che l'amministrazione finanziaria richiede di regola il pagamento del proprio credito in primo luogo all'erede, quale soggetto passivo del tributo, e solo nell'ipotesi di insolvenza di quest'ultimo escute il terzo proprietario dell'immobile. Ferma restando, in ogni caso, la possibilità del terzo escusso di rivalersi sul debitore d'imposta.

Rileva, infine, l'Avvocatura che, attesa la normativa in materia, l'acquisto di un bene ereditario sarebbe <<a rischio>> ed imporrebbe l'adozione di particolari cautele. In particolare, l'acquirente, prima della stipula dell'atto di compravendita, dovrebbe farsi carico di richiedere una certificazione dell'avvenuta definizione di ogni pendenza tributaria, pretendendo, in caso contrario, il deposito da parte del venditore, solitamente presso il notaio rogante, di una somma di denaro a garanzia di una eventuale imposizione di maggior valore.

Ciò che farebbe venir meno o, comunque, attenuerebbe il rischio di un pregiudizio collegato al pagamento dell'imposta.

Considerato in diritto

1. - La Commissione tributaria provinciale di Torino dubita, in riferimento agli artt. 24, 53 e 113 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 34 e 41 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), in quanto non consentirebbero al terzo acquirente di un bene immobile ereditario, gravato da privilegio speciale a garanzia del pagamento dell'imposta di successione e delle sanzioni amministrative, di contestare in sede giudiziale, supplendo all'inerzia del successore mortis causa, la maggior imposta (imposta complementare) liquidata dall'amministrazione in sede di rettifica della dichiarazione del contribuente.

2. - La questione non é fondata nei sensi di seguito precisati.

Il dubbio di costituzionalità sollevato dalla Commissione rimettente riguarda, come dalla stessa specificato, non già la <<previsione del privilegio immobiliare posto a presidio dell'obbligazione tributaria>>, ma, esclusivamente, la disciplina dell'accertamento di maggior valore dell'imposta di successione che, nella inerzia del successore mortis causa, non riconoscerebbe alcuna possibilità di tutela giudiziale al terzo acquirente del bene caduto in successione (art. 34 e seguenti del decreto legislativo n. 346 del 1990).

Il giudice a quo mostra, in tal modo, di aderire, pur affermandone la incostituzionalità, a quell'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il terzo acquirente del bene oggetto del privilegio immobiliare sarebbe privo della legittimazione a contestare l'accertamento di maggior valore operato dall'ufficio, assumendo soltanto la veste di soggetto passivo della (eventuale) procedura esecutiva.

Una interpretazione siffatta non é, tuttavia, la sola consentita dal testo e dalla ratio delle disposizioni impugnate le quali, come si vedrà, possono essere intese in un senso che consenta di superare il denunciato contrasto con la Costituzione in relazione a tutti i parametri evocati dal rimettente. Ed é costante nella giurisprudenza di questa Corte l'enunciazione del principio che nel concorso tra più possibili interpretazioni occorre preferire quella che eviti di attribuire alla norma un significato incostituzionale (ex plurimis, sentenze n. 66 del 1999, nn. 453 e 452 del 1998, n. 356 del 1996).

3. - Una precisazione appare, anzitutto, necessaria ed é quella riguardante la c.d. estraneità del terzo acquirente al rapporto tributario.

Estraneità che deve correttamente intendersi nel senso che tale terzo non diventa, per il fatto dell'acquisto, soggetto passivo dell'obbligazione tributaria, pur rispondendo, per effetto del privilegio, con il bene acquistato e nei limiti del valore di tale bene, del pagamento dell'imposta di successione. La funzione di garanzia del credito tributario che il privilegio viene, pertanto, ad assolvere vale, poi, a spiegare come la giurisprudenza, al di là della ritenuta estraneità del terzo acquirente al rapporto d'imposta e della pacifica insussistenza di un obbligo di notificare anche a lui l'accertamento, abbia correttamente equiparato la sua posizione a quella del terzo proprietario di immobile gravato da ipoteca. Ciò che non può, logicamente, non riflettersi sul piano della disciplina applicabile che, nei limiti della compatibilità, deve essere la stessa per entrambe le figure.

Sotto tale aspetto, viene in considerazione, ai fini della presente questione, la norma di cui all'art. 2859 cod. civ. che, com'é noto, riconosce al terzo, il quale abbia trascritto il proprio titolo d'acquisto anteriormente alla proposizione della domanda di condanna nei confronti del debitore, e non abbia poi preso parte al relativo giudizio, la possibilità di opporre al creditore procedente anche in sede di espropriazione qualsiasi eccezione non opposta dal debitore e quelle che spetterebbero a questo dopo la condanna.

Si tratta di una disposizione che, accordando una autonoma legittimazione processuale al terzo acquirente del bene ipotecato, é diretta ad evitare che il giudizio relativo all'obbligazione garantita possa comportare, a causa della negligenza o della malafede del debitore, effetti pregiudizievoli per il terzo al quale, in quanto avente causa del debitore, tali effetti sarebbero, in via di principio, senz'altro opponibili (art. 2909 cod. civ.).

E, per quanto detto, una tutela siffatta non può non estendersi al terzo acquirente del bene oggetto del privilegio immobiliare, limitatamente all’ipotesi in cui l'accertamento di maggior valore - in analogia a quanto disposto per la domanda giudiziale dall'art. 2859 cod. civ. - sia successivo alla trascrizione del titolo di acquisto del bene.

La disciplina censurata deve, dunque, essere interpretata nel senso che il terzo acquirente del bene oggetto del privilegio immobiliare, nell'ipotesi in cui l'accertamento di maggior valore dell'imposta di successione sia successivo alla trascrizione del titolo d'acquisto del bene, mentre può intervenire volontariamente o su istanza di parte nel giudizio promosso avverso l'accertamento dal debitore d'imposta, resta, comunque, legittimato ad opporre in sede di espropriazione - nel caso in cui non abbia partecipato al giudizio - le eccezioni non sollevate dal successore mortis causa, supplendo, in tal modo, all'inerzia di quest'ultimo.

Resta, così, superata la censura di incostituzionalità in riferimento a tutti i parametri evocati dalla Commissione rimettente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 41 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni) sollevata, in riferimento agli artt. 24, 53 e 113 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 ottobre 1999.