Sentenza n. 382/99

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SENTENZA N. 382

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto, riapprovata il 29 luglio 1997, concernente "Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti. Regime transitorio", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 12 agosto 1997, depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 1997.

  Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;

  udito nell’udienza pubblica del 27 aprile 1999 il Giudice relatore Massimo Vari;

  uditi l’avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giorgio Berti per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso ritualmente notificato e depositato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Veneto, riapprovata dal Consiglio regionale nella seduta del 29 luglio 1997, concernente "Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti. Regime transitorio".

  Secondo il ricorrente, tale legge, nel dettare disposizioni in tema di distanze tra le costruzioni residenziali, scolastiche e sanitarie e le linee elettriche aeree esterne con tensione uguale o superiore a Kv 132, invade ambiti che, come confermato dall'art. 4 della legge n. 833 del 1978 e dall'art. 2, comma 14, della legge n. 349 del 1986, rientrano nella competenza dello Stato; competenza già esercitata, peraltro, con l'emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 23 aprile 1992 e 28 settembre 1995.

  Si rileva, inoltre, che i valori fissati sono notevolmente diversi da quelli indicati dal primo di tali decreti; il che comporta che le maggiori spese sostenute dal gestore della rete elettrica, per ottemperare alle previsioni della legge medesima, ricadono su tutti gli utenti del territorio nazionale, a fronte di un presunto e non dimostrato beneficio degli abitanti della sola Regione Veneto.

  Vi sarebbe, pertanto, non soltanto violazione della competenza legislativa dello Stato, ma anche lesione dell'interesse nazionale e di quello di altre Regioni (art. 117 della Costituzione).

  2.- Si é costituita in giudizio la Regione Veneto, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.

  Ad avviso della resistente la competenza regionale in materia sarebbe desumibile proprio dalle disposizioni richiamate dalla difesa governativa, a sostegno della pretesa violazione dell'art. 117 della Costituzione. Prova di ciò sarebbe il fatto che il Governo non ha formulato rilievi sulle precedenti leggi della stessa Regione che, a partire dal 1993 (v. leggi 30 giugno 1993, n. 27 e 1° settembre 1993, n. 43), hanno già indicato le distanze dei fabbricati dagli elettrodotti, nè su quelle successivamente intervenute per modificare i termini iniziali di entrata in vigore delle relative prescrizioni (v. leggi n. 7 del 1994, n. 6 del 1995, n. 6 del 1996 e n. 6 del 1997).

  In realtà le stesse disposizioni legislative invocate dal Governo avrebbero come presupposto la competenza regionale in materia di disciplina territoriale e di tutela sanitaria, posto che l'art. 11 della legge n. 833 del 1978 ribadisce appieno tale competenza, "limitandosi a definire gli ambiti dei principi da fissarsi con leggi dello Stato", e che l'art. 2, comma 14, della legge n. 349 del 1986 dispone soltanto che i Ministri dell'ambiente e della sanità provvedano a fissare i limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e dell'esposizione alle fonti inquinanti, confermando anche sotto questo profilo la competenza della Regione.

  Ciò posto, la previsione di una disciplina più garantistica non sarebbe sufficiente a configurare una invasione della competenza statale, tanto più che la delibera legislativa impugnata contiene soltanto misure cautelative in vista dell'applicazione piena, a partire dal 1° gennaio 2000, del nuovo regime previsto dalla legge regionale n. 27 del 1993.

  Sarebbe, poi, chiaro che la legge denunciata si riferisce alla formazione di strumenti urbanistici generali ed alle loro varianti dal 1° gennaio 1998, con un evidente richiamo alla competenza regionale in detta materia ed ai relativi limiti. D’altro canto il paventato incremento di oneri finanziari per l'ente gestore della rete elettrica, con i connessi riflessi nei confronti di tutti gli utenti nel territorio nazionale, risulterebbe un'ipotesi tutt'altro che dimostrata.

  3.- Con una memoria depositata nell’imminenza dell’udienza l’Avvocatura generale dello Stato ha insistito per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della normativa impugnata.

  Si osserva che i valori di campo elettrico e magnetico previsti dalla legge regionale sono notevolmente inferiori (e cioé di 10 volte per il campo elettrico e di 500 volte per il campo magnetico) a quelli fissati dalla normativa statale in piena aderenza alle raccomandazioni provenienti dalle più autorevoli organizzazioni scientifiche a livello mondiale (IRPA/INIRC, OMS, ICNIRP ed altre), nonchè dall’Istituto Superiore di Sanità. In tal modo le indicazioni normative della Regione Veneto avrebbero, da un lato, superato i limiti costituzionali della potestà legislativa regionale e, dall’altro, alterato il principio di uniformità ed omogeneità dei criteri di tutela voluto dalla vigente legislazione statale, ledendo, altresì, l’interesse nazionale e quello delle altre Regioni, a causa dei connessi effetti economici disaggreganti sulla generale gestione unitaria della rete elettrica.

  Nel ricostruire puntualmente l’attuale assetto normativo in materia di tutela della salute con riferimento all’esposizione a campi elettrici e magnetici, e segnatamente alle prescrizioni fissate per gli impianti di trasmissione e distribuzione di energia elettrica, come pure con riguardo a settori finitimi, quali quelli della telefonia cellulare (decreto-legge 1° maggio 1997, n. 115, convertito, con modificazioni, nella legge 1° luglio 1997, n. 189) e dell’inquinamento acustico (legge 26 ottobre 1995, n. 447), la memoria rileva che, in tema di tutela dall’inquinamento da qualunque fonte prodotto, é riservata allo Stato una competenza esclusiva, volta ad assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale; competenza nella specie esercitata sulla base di criteri estremamente prudenziali ed oggettivamente cautelativi.

Osservato, poi, che tali esigenze di uniformità sono ribadite dalle più recenti iniziative legislative volte a fronteggiare le esigenze di protezione dalle esposizioni a campi elettrici e magnetici, si rammenta, altresì, che la giurisprudenza costituzionale, in più occasioni (sentenze n. 306 del 1988 e n. 517 del 1991), ha riconosciuto la riserva allo Stato stesso del potere di fissare limiti massimi uniformi di esposizione ad inquinamenti chimici, fisici o biologici, all’evidente fine di assicurare un quadro di riferimento omogeneo su tutto il territorio nazionale. Uniformità necessaria, secondo detta giurisprudenza, anche allo scopo di evitare che si crei disparità di trattamento fra impresa e impresa (sentenza n. 101 del 1989). Tali orientamenti non sarebbero, d'altro canto, contraddetti da quelle sentenze (nn. 53 del 1991 e 101 del 1989) che, nelle ipotesi in cui la normativa statale abbia stabilito solo il quadro delle linee guida e dei valori minimi e massimi, riconoscono una potestà di specificazione a livello regionale.

  L'Avvocatura erariale, nel rilevare che in questa sede non può essere opposta la correlazione tra la legge in esame e la previgente normativa regionale, tra cui in particolare la legge n. 27 del 1993, osserva che quest’ultima ha dettato norme di carattere urbanistico, subordinando, quanto agli elettrodotti, il parere favorevole della Regione, previsto dall’art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977, all’esistenza di distanze maggiori di quelle previste dal d.P.C.m. 23 aprile 1992.

Invece, la legge impugnata ¾ nel riproporre disposizioni analoghe a quelle contenute nell’art. 69 della legge regionale 30 gennaio 1997, n. 6, che, dopo aver formato oggetto di rilievi governativi, furono espunte dal testo legislativo ¾ non é (più) da inquadrare, come la precedente legge n. 27 del 1993, nella materia urbanistica, bensì nella materia sanitaria, con riguardo ad ambiti (la tutela della salute nei confronti dell’esposizione ai campi elettrici e magnetici) di competenza esclusiva dello Stato.

  Nel sostenere che sono da reputare eccedenti la competenza legislativa regionale, anzitutto, le disposizioni dei commi 2, 3 e 4 dell'art. 1 della legge denunciata, le quali prevedono che sia l'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (ARPAV) il soggetto cui spetta individuare le distanze da mantenere fra le costruzioni esistenti e le nuove linee elettriche aeree esterne, la memoria osserva che la Regione non avrebbe alcuna competenza in proposito, essendo i limiti e le distanze da rispettare quelli fissati nel d.P.C.m. 23 aprile 1992; risulterebbe, al tempo stesso, illegittimo anche il comma 1, il quale, "pur sembrando rientrare nella materia urbanistica", andrebbe, per le sue finalità e il suo contenuto, ricompreso anch'esso nella materia sanitaria.

  Nè, ad avviso dell’Avvocatura erariale, la Regione Veneto potrebbe giustificare la nuova disciplina con l’esigenza di una normativa "più garantistica" di quella statale vigente, attesa la necessità di unitarietà ed uniformità, quanto a misure di protezione che hanno riflessi non solo sul piano dell'aumento dei costi economici, ma anche su quello del rispetto dell’ambiente e del paesaggio e, quindi, su ambiti che "lo Stato deve considerare nelle proprie esclusive ed inderogabili attribuzioni di garante di tutti gli interessi coinvolti"; interessi che riguardano tutti i cittadini.

  4.- Anche la Regione ha depositato una memoria difensiva, diffondendosi, con ulteriori argomentazioni, sulla inammissibilità e infondatezza del ricorso.

  Secondo la Regione resistente, le disposizioni censurate si limiterebbero ad incidere cautelativamente sulla formazione degli strumenti urbanistici generali, imponendo, con riguardo a future costruzioni residenziali, scolastiche e sanitarie, misure connesse solo indirettamente alla materia della tutela sanitaria.

  Il Governo, dal canto suo, ignorando le leggi regionali già regolarmente promulgate senza rilievi, avrebbe in realtà colto l’occasione delle misure di salvaguardia, emanate in attesa dell'entrata in vigore della disciplina prevista dalle citate leggi, per censurarle tardivamente. E ciò si risolverebbe in una ragione di infondatezza e, prima ancora, di inammissibilità del ricorso.

  Nell’osservare, poi, che l'attribuzione alle Regioni di tutti i compiti di salvaguardia in materia di utilizzazione del territorio deve farsi risalire agli artt. 79 e segg. del d.P.R. n. 616 del 1977 e, successivamente, in termini ancora più ampi agli artt. 51 e segg. del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, si rileva, inoltre, che anche nel disegno di legge di iniziativa governativa, in corso di esame alla Camera dei deputati (A.C. n. 4816, nel testo unificato del 18 marzo 1999), verrebbe riconosciuta la competenza delle Regioni in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio, oltre che della salute. Si sostiene, infine, che la legge regionale impugnata non imporrebbe alcun onere diretto all’ente gestore della rete elettrica, limitandosi ad adottare misure cautelative circoscritte al territorio regionale, senza esorbitare dall’ambito delle competenze proprie della resistente.

5.- Con atto notificato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed alla Regione Veneto in data 20 febbraio 1998, e successivamente depositato il 10 marzo 1998, sono intervenuti in giudizio il Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) ed il Gruppo Verdi della Regione Veneto, i quali hanno, altresì, depositato una memoria difensiva.

Considerato in diritto

  1.- Con il ricorso in epigrafe il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in via principale, in ordine ad alcune disposizioni della legge della Regione Veneto, riapprovata ¾ a seguito di rinvio del Governo ¾ dal Consiglio regionale nella seduta del 29 luglio 1997, avente ad oggetto "Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti. Regime transitorio".

Il provvedimento legislativo in questione, composto da due soli articoli, il secondo dei quali avente ad oggetto la dichiarazione d'urgenza del medesimo, introduce (art. 1) una disciplina transitoria in tema di distanze di rispetto dagli elettrodotti, all’uopo richiamando i criteri già fissati dalla precedente legge regionale 30 giugno 1993, n. 27; criteri la cui applicazione é stata via via differita nel tempo da varie disposizioni, l’ultima delle quali (art. 69, comma 1, della legge regionale 30 gennaio 1997, n. 6) ne ha fissato la decorrenza al 1° gennaio 2000.

Il comma 1 del predetto art. 1 stabilisce ¾ per fini di salvaguardia, fino a quest’ultima data ¾ che, "negli strumenti urbanistici generali e nelle loro varianti adottati dopo il 1° gennaio 1998", debbono essere previste "distanze, tra le linee elettriche aeree esterne con tensione superiore o uguale a 132 Kv e le aree destinate a nuove costruzioni residenziali, scolastiche e sanitarie, tali che il campo elettrico e l’induzione magnetica non superino i valori previsti nell’art. 4 della legge regionale 30 giugno 1993, n. 27". Analogo criterio viene stabilito, sempre a partire dal 1° gennaio 1998, dal comma 2 del medesimo art. 1, per le distanze delle nuove linee elettriche aeree esterne rispetto alle costruzioni esistenti.

Lo stesso articolo, nel prevedere al comma 3 che, per le finalità di cui sopra, "l'ente gestore della rete elettrica é tenuto a fornire le caratteristiche tecniche della linea agli organi competenti al rilascio dell'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio della stessa e all'effettuazione dei controlli", dispone, altresì, al comma 4, che "la determinazione delle distanze di cui ai commi 1 e 2 e i controlli relativi vengono effettuati dall'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (ARPAV)".

  2.- Secondo le censure prospettate nel ricorso, la richiamata normativa invaderebbe la competenza legislativa spettante allo Stato, in materia di fissazione di limiti massimi uniformi di accettabilità delle concentrazioni e dell'esposizione alle fonti inquinanti, quale si evince dall’art. 4 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) e dall'art. 2, comma 14, della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale) e quale é già stata esercitata con il d.P.C.m. 23 aprile 1992, avente ad oggetto i "Limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno", e con il d.P.C.m. 28 settembre 1995, recante le norme tecniche procedurali di attuazione del precedente decreto relativamente agli elettrodotti.

Inoltre, la legge della Regione Veneto, prevedendo valori di campo elettrico e magnetico di gran lunga inferiori a quelli del menzionato d.P.C.m. 23 aprile 1992, comporterebbe un incremento di spese per l’ente gestore, che graverebbe su tutti gli utenti del territorio nazionale, a fronte di un presunto beneficio limitato agli abitanti della Regione Veneto.

Vi sarebbe, perciò, non soltanto "una violazione della competenza legislativa dello Stato ma anche una lesione dell’interesse nazionale e di quello di altre Regioni (art. 117 della Costituzione)".

3.- Nella memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, il ricorrente sostiene, infine, che del pari esorbitanti dalle competenze legislative della Regione sarebbero le disposizioni che affidano all'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto l'individuazione delle "distanze da mantenere fra le costruzioni esistenti e le nuove linee elettriche": precisamente i commi 2, 3 e 4 del predetto art. 1 della legge censurata.

4.- Pregiudizialmente va dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio del Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) e del Gruppo Verdi della Regione Veneto, considerato che, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, non é ammessa, per costante giurisprudenza, la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio é oggetto di contestazione (in tal senso, v., ex plurimis, sentenza n. 35 del 1995).

5.- Sempre in via pregiudiziale é da esaminare, poi, l'eccezione di inammissibilità, sollevata dalla Regione, secondo cui il Governo avrebbe colto l’occasione dell’approvazione del denunciato provvedimento legislativo, per una tardiva censura di precedenti leggi regionali, regolarmente promulgate in materia senza dar luogo a rilievi, ricorrendo, a tal fine, all'impugnazione delle "disposizioni applicative delle medesime".

L’eccezione non può essere accolta, in quanto, come si desume dalla giurisprudenza costituzionale, ogni provvedimento legislativo ha esistenza a sè e può formare oggetto di autonomo esame ai fini dell'accertamento della sua legittimità. A tanto, infatti, non osta la mancata impugnazione di un precedente atto legislativo, sia pure avente contenuto eguale od analogo, non essendo configurabile, nel giudizio di legittimità costituzionale, una situazione di acquiescenza conseguente a tale omissione (sentenze nn. 224 del 1994 e 49 del 1987). Nel caso di specie occorre, peraltro, considerare che l'atto legislativo impugnato, pur richiamando, quanto ai limiti della esposizione ai campi elettrico e magnetico, i valori fissati a regime dalla legge regionale n. 27 del 1993, non si limita a riprodurre la precedente disciplina, ma ne modifica i termini temporali di efficacia, sicchè non può in alcun modo dubitarsi che si tratti di legge nuova, dotata di contenuti ed effetti autonomi.

6.- Passando, indi, all'esame delle singole doglianze prospettate avverso la legge in epigrafe, non può essere presa in considerazione la censura concernente le competenze affidate dalla legge regionale, con i commi 2, 3 e 4 dell'art. 1 (recte: commi 3 e 4), all'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (ARPAV), trattandosi di doglianza dedotta solo in sede di memoria difensiva.

7.- In ordine alle altre censure occorre precisare che esse, benchè genericamente proposte avverso l'art. 1 della legge, investono più esattamente i commi 1 e 2 del medesimo, sotto profili che, secondo quanto é dato desumere dal ricorso, attengono, da un canto, all'invasione delle competenze statali in tema di determinazione di valori di campo elettrico e magnetico e, dall’altro, alla lesione dell'interesse nazionale ed a quello di altre Regioni.

8.- Le stesse sono, l'una, infondata e, l'altra, inammissibile.

Muovendo da quest’ultima, va osservato che la generica denuncia di lesione dell'interesse nazionale e di quello di altre Regioni, in relazione al prospettato maggior aggravio economico per gli utenti di tutto il territorio nazionale, si risolve in una doglianza di merito, inidonea come tale a dare ingresso al sindacato di costituzionalità.

Come più volte affermato da questa Corte le censure di merito si distinguono da quelle di legittimità essenzialmente per l'inesistenza di un parametro legale di giudizio. Alla stregua di un siffatto criterio, occorre rilevare che manca nel ricorso qualsiasi riferimento a dati normativi dai quali possa evincersi che gli interessi, di cui si denuncia la lesione, si siano tradotti in positiva determinazione della legge statale, sicchè la doglianza, come sopra prospettata, é da dichiarare inammissibile.

9.- Quanto, poi, alla lamentata invasione delle competenze legislative dello Stato, giova rilevare che le disposizioni censurate contengono prescrizioni cautelative volte ad incidere, in primo luogo, sugli strumenti urbanistici generali e sulle loro varianti, con riguardo alle distanze tra le aree destinate a nuove costruzioni residenziali, scolastiche e sanitarie e le linee elettriche aeree esterne, nonchè, al tempo stesso, sulle distanze che vanno mantenute fra le medesime linee elettriche, ove di nuova installazione, e le costruzioni esistenti.

L'espresso riferimento della legge agli strumenti urbanistici dimostra come la Regione si mantenga, pur sempre, nell'ambito di attribuzioni sue proprie ed in particolare nell'ambito di competenze che - anche a trascurare il più recente intervento normativo rappresentato dagli artt. 51 e seguenti del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 - attengono, secondo la definizione di urbanistica enucleabile dall'art. 80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, alla "disciplina del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonchè la protezione dell'ambiente".

Come si evince dalla disposizione testè riportata, alla funzione di governo del territorio si riallaccia anche una competenza in materia di interessi ambientali, da reputare costituzionalmente garantita e funzionalmente collegata, secondo quanto già a suo tempo evidenziato da questa Corte (sentenza n. 183 del 1987), alle altre spettanti alla Regione, tra cui, oltre all'urbanistica, quale funzione ordinatrice dell’uso e delle trasformazioni del suolo, quella dell'assistenza sanitaria, intesa come complesso degli interventi positivi per la tutela e promozione della salute umana.

Nell'ambito di un tale assetto ordinamentale, la Regione, come ente rappresentativo della molteplicità degli interessi legati alla dimensione territoriale, non può non reputarsi titolare anche del potere di verifica della compatibilità degli interventi che, attuati dai vari soggetti, comportano effetti sul territorio. Ed é questa indubbiamente la prospettiva nella quale appare collocarsi la legge denunciata, che rimane nell'ambito delle competenze regionali, anche se comporta l'imposizione di distanze superiori a quelle richieste per il rispetto dei limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico, quali stabiliti dallo Stato nell'esercizio delle attribuzioni ad esso riservate dall'art. 4 della legge n. 833 del 1978 e dall'art. 2, comma 14, della legge n. 349 del 1986. Ma tali attribuzioni non possono indurre a ritenere incostituzionale la denunciata disciplina, specie a considerare che essa se, da un canto, implica limiti più severi di quelli fissati dallo Stato, non vanifica, dall’altro, in alcun modo gli obiettivi di protezione della salute da quest'ultimo perseguiti.

Oltretutto, ove si tratti di opere di interesse statale difformi dagli strumenti urbanistici, é sempre possibile, in presenza di prevalenti esigenze connesse agli interessi di cui é portatore lo Stato, il ricorso alle previste procedure di localizzazione delle opere stesse con il concorso della Regione interessata (v. d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, nonchè art. 17, comma 6, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e, da ultimo, art. 55 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

- inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione Veneto, riapprovata dal Consiglio regionale nella seduta del 29 luglio 1997 (Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti. Regime transitorio), sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe, sotto il profilo della violazione dell'interesse nazionale e di altre Regioni;

- non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 1, commi 1 e 2, sollevata in riferimento all'art. 117 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 settembre 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 7 ottobre 1999.