Ordinanza n. 377/99

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ORDINANZA N. 377

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 14 del decreto-legge 25 maggio 1996, n. 285 (Misure urgenti per il rilancio economico e occupazionale dei lavori pubblici e dell’edilizia privata), promosso con ordinanza emessa il 4 luglio 1996 dal Pretore di Avellino nel procedimento penale a carico di A.R., iscritta al n. 333 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 luglio 1999 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

Ritenuto che il Pretore di Avellino, con ordinanza del 4 luglio 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 14, del d. l. 25 maggio 1996, n. 285 (Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell’edilizia privata), per contrasto con gli articoli 3, 25 e 77 della Costituzione;

che secondo il rimettente la disposizione impugnata, stabilendo che "per le opere pubbliche dei Comuni, delle Province e delle Comunità montane, la deliberazione, con la quale il progetto viene approvato o l’opera autorizzata, ha i medesimi effetti della concessione edilizia", violerebbe l’art. 3 della Costituzione, poichè determinerebbe "una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla realizzazione di opere private" e comporterebbe "una irragionevole equiparazione tra le deliberazioni che approvano il progetto o autorizzano l’opera e il provvedimento concessorio", demandando altresì ad un soggetto diverso dal Sindaco il controllo della conformità dell’opera alla strumentazione urbanistica;

che la norma si porrebbe anche in contrasto con l’articolo 25 della Costituzione, in quanto, essendo contenuta in un decreto-legge reiterato, incidente "in materia penale", "viola (...) il principio della riserva di legge, di fatto sottraendo al Parlamento la sua esclusiva competenza a legiferare in materia penale", nonchè con l’art. 77, perchè la reiterazione del decreto "determina una inevitabile sfumatura dei requisiti di necessità e di urgenza", e sottrae al Parlamento la possibilità di regolare con legge i rapporti sorti sulla base dei decreti non convertiti;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata in quanto, a suo avviso, il decreto-legge contenente la disposizione impugnata é decaduto per mancata conversione nel termine, e la disposizione stessa, dopo essere stata riprodotta nel decreto-legge 24 settembre 1996, n. 495, anch’esso decaduto, non é stata "riprodotta in successivi testi legislativi", non "é più presente nel nostro ordinamento, nè ha avuto un qualche effetto per il passato".

Considerato che l’ordinanza di rimessione non indica quali siano i termini della fattispecie concreta oggetto del giudizio principale, ed in particolare omette di specificare gli essenziali elementi di fatto ed il reato per il quale si procede;

che la mancata indicazione dei sopra indicati elementi della fattispecie nonchè l’omessa esplicitazione delle ragioni della rilevanza della questione di costituzionalità rendono impossibile per questa Corte ogni valutazione inerente al predetto profilo preliminare;

che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 14, del decreto-legge 25 maggio 1996, n. 285 (Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell’edilizia privata), sollevata, in relazione agli articoli 3, 25 e 77 della Costituzione, dall’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1999.