Ordinanza n. 375/99

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ORDINANZA N. 375

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 47, comma 4, e 47-ter, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come modificata, da ultimo, dalla legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni), promosso con ordinanza emessa il 21 luglio 1998 dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari, iscritta al n. 822 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 luglio 1999 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che il Magistrato di sorveglianza di Cagliari, con ordinanza emessa il 21 luglio 1998, pervenuta a questa Corte il 21 ottobre 1998, ha sollevato questione di legittimità costituzionale: a) dell’art. 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come modificato, da ultimo, dall’art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni), "nella parte in cui prevede che il magistrato di sorveglianza cui é rivolta istanza di affidamento in prova al servizio sociale, se sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’ammissione all’affidamento ed al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e se non vi é pericolo di fuga, può sospendere l’esecuzione della pena e ordinare la liberazione del condannato fino alla decisione del tribunale di sorveglianza sull’istanza di affidamento", per contrasto con gli articoli 3, 25, secondo comma, 27, terzo comma, 101 e 112 della Costituzione; b) dell’art. 47-ter, comma 1-quater, della predetta legge n. 354 del 1975, aggiunto dall’art. 4 della citata legge n. 165 del 1998, "nella parte in cui non prevede che il magistrato di sorveglianza cui é rivolta istanza di affidamento in prova al servizio sociale può disporre l’applicazione provvisoria, nei confronti del condannato, della detenzione domiciliare qualora, sussistendo i presupposti di cui al comma 1-bis dello stesso articolo, la pena che il condannato deve espiare é superiore a due anni, pur essendo inferiore ai limiti previsti dall’art. 47, comma 1", della stessa legge n. 354 del 1975 in tema di ammissione all’affidamento, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione;

che, ad avviso del remittente, il nuovo comma 4 dell’art. 47 della legge sull’ordinamento penitenziario, che prevede la possibilità per il magistrato di sorveglianza di sospendere l’esecuzione della pena e di disporre la scarcerazione del condannato, in vista di esigenze cautelari che non si identificherebbero con la necessità di evitare, nell’esecuzione penale, trattamenti contrari al senso di umanità, contrasterebbe, in primo luogo, con il principio di indefettibilità della sanzione penale nei confronti di tutti gli autori dei reati, principio che si ricaverebbe dal combinato disposto degli articoli 3, 25, 101 e 112 della Costituzione;

che la medesima norma, in secondo luogo, consentirebbe il verificarsi di risultati illogici e irrazionali in rapporto all’esigenza di garantire la finalità rieducativa della pena, e dunque sarebbe in contrasto con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto permetterebbe di porre il condannato in stato di libertà fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, e dunque per un tempo che potrebbe di fatto essere assai lungo, per la pratica impossibilità che il tribunale di sorveglianza decida – come previsto dalla stessa norma – entro il termine di quarantacinque giorni, ritenuto del tutto inadeguato e comunque privo di sanzione processuale: con la conseguenza che durante la sospensione verrebbe meno ogni trattamento, e che a seguito dell’eventuale reiezione dell’istanza si attuerebbe il trattamento del condannato in modo frammentario e potenzialmente desocializzante, in contrasto con il principio di gradualità in tema di esecuzione della pena;

che, inoltre, sempre secondo il giudice a quo, la norma denunciata sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento che realizzerebbe nei confronti dei condannati instanti per la concessione della detenzione domiciliare, ai quali l’art. 47-ter, comma 1-quater, della medesima legge consente di applicare provvisoriamente, ad opera del magistrato di sorveglianza, quest’ultima misura alternativa: disparità di trattamento sia nel senso che i condannati instanti per l’affidamento al servizio sociale, a differenza di quelli instanti per la detenzione domiciliare, vengono esposti al rischio dell’attuazione frammentaria del trattamento nel caso di rigetto dell’istanza da parte del tribunale, sia nel senso che i condannati instanti per la detenzione domiciliare verrebbero posti in posizione più sfavorevole, dal punto di vista dello status libertatis, rispetto ai condannati instanti per l’affidamento al servizio sociale, cui può essere concessa la sospensione dell’esecuzione;

che pertanto, secondo l’autorità remittente, il nuovo art. 47, comma 4, dell’ordinamento penitenziario dovrebbe essere oggetto di una pronuncia di "totale illegittimità costituzionale" nella parte in cui esso é applicabile in tema di istanze di affidamento al servizio sociale, nonchè, in forza del rinvio di cui all’art. 50 della stessa legge, in tema di istanze di ammissione alla semilibertà, dovendosi individuare, invece, l’unica misura interinale idonea a conciliare i principi esposti, senza conseguire risultati illogici, nell’ammissione del condannato, in via provvisoria, alla detenzione domiciliare;

che il giudice a quo prosegue sostenendo che, in base ad una interpretazione conforme al favor rei, si potrebbe invero applicare provvisoriamente la detenzione domiciliare al condannato instante per l’affidamento al servizio sociale, in applicazione dell’art. 47-ter, comma 1-quater, in relazione al comma 1-bis, della stessa legge, ma che ciò sarebbe possibile solo se la pena da espiare non superi i due anni (limite per l’applicazione della detenzione domiciliare "generica" di cui all’art. 47-ter, comma 1-bis), e non se la pena sia invece superiore a due anni, ancorchè compresa entro i tre anni, cioé entro il limite massimo di pena che consente, ai sensi dell’art. 47, comma 1, l’affidamento al servizio sociale;

che pertanto, secondo il remittente, il predetto art. 47-ter, comma 1-quater, nella parte in cui non consente l’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare ai condannati instanti per l’affidamento al servizio sociale, la cui pena da espiare sia superiore a due anni, ma compresa entro il limite di tre anni, sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, per la ingiustificata disparità di trattamento che si verificherebbe, da un lato, fra i detenuti instanti per l’affidamento al servizio sociale, sulla mera base del quantum di pena da espiare, a cui non si potrebbe attribuire rilievo decisivo, quanto alla meritevolezza di tutela dell’interesse del condannato alla risocializzazione, se non sulla base di una valutazione in concreto; dall’altro lato, fra condannati detenuti con pena da espiare superiore a due anni ma non a tre anni alla data di entrata in vigore della legge n. 165 del 1998, ai quali non può applicarsi in via provvisoria la detenzione domiciliare, e condannati in analoga situazione che si trovassero, al momento in cui la condanna é diventata definitiva, sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, i quali, in forza del combinato disposto dei commi 5 e 10 dell’art. 656 cod. proc. pen., potrebbero essere ammessi in via interinale alla detenzione domiciliare;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.

Considerato che, ancorchè il remittente proponga due distinte questioni di legittimità costituzionale, relative rispettivamente all’art. 47, comma 4, e all’art. 47-ter, comma 1-quater, dell’ordinamento penitenziario, in sostanza le censure prospettate mirano all’unico risultato di eliminare dall’ordinamento la facoltà, attribuita al magistrato di sorveglianza dal comma 4 dell’art. 47, di sospendere l’esecuzione della pena per i condannati detenuti, instanti per l’affidamento al servizio sociale, sostituendovi la facoltà di concedere, anche quando la pena da espiare superi i due anni ma sia compresa nel limite di tre anni, la detenzione domiciliare: e dunque le questioni possono essere congiuntamente considerate;

che, in realtà, il remittente formula nei confronti delle norme legislative in esame una serie di critiche che possono apparire più o meno persuasive sotto il profilo delle valutazioni di politica penitenziaria, ma che non sono tali da assurgere a censure, dotate di qualche consistenza, sul piano della legittimità costituzionale;

che, infatti, i precetti costituzionali invocati, dai quali il remittente ricava il principio di indefettibilità della pena, non comportano la inammissibilità di misure cautelari, legislativamente previste e ragionevolmente giustificate, di sospensione della esecuzione della pena, anche già iniziata, in attesa della decisione sulla applicazione di misure alternative che il legislatore considera, a certe condizioni, strumento da preferire rispetto alla detenzione in carcere;

che la impugnata norma dell’art. 47, comma 4, dell’ordinamento penitenziario tende a rendere possibile, anche a chi non abbia potuto usufruire della sospensione della esecuzione prima del suo inizio, ai sensi del nuovo art. 656, comma 5, cod. proc. pen., evitare, in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza, la prosecuzione della detenzione in carcere per una pena, non superiore a tre anni, destinata presumibilmente ad essere scontata, a seguito della decisione medesima, nella forma alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale: e ciò in presenza dei presupposti tipici di una misura cautelare, rimessi all’apprezzamento in concreto del magistrato di sorveglianza, e consistenti nella esistenza di "concrete indicazioni" circa la concedibilità della misura alternativa extracarceraria e il pregiudizio derivante all’interessato dalla protrazione dello stato di detenzione, e sempre che, inoltre, non vi sia pericolo di fuga; onde la previsione legislativa della sospensione appare non irragionevolmente giustificata;

che per sostenere l’illegittimità costituzionale della previsione, non può invocarsi l’asserita probabilità che i tribunali di sorveglianza decidano sulle istanze di affidamento al servizio sociale senza osservare il termine imposto dalla legge, non potendosi, dalla eventualità di fatto dell’inosservanza, o dalle difficoltà organizzative che potrebbero esserne alla base, trarre motivi di censura costituzionale della legge, e non solo, caso mai, argomenti di critica politica alle scelte del legislatore o alle mancate misure di adeguamento organizzativo;

che nemmeno sussiste la violazione dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, non potendosi, manifestamente, considerare in contrasto con la finalità rieducativa una misura cautelare di semplice sospensione dell’esecuzione della pena, che si limita a rinviare nel tempo l’esecuzione medesima; nè potendosi ritenere costituzionalmente preclusa, in forza dell’invocato principio di gradualità, l’adozione in via interinale di una siffatta misura sospensiva, nelle more della decisione sull’applicazione di una misura alternativa alla detenzione;

che le denunciate disparità di trattamento, vuoi fra condannati instanti per l’affidamento al servizio sociale e condannati instanti per la concessione della detenzione domiciliare, vuoi fra condannati a pene superiori e rispettivamente inferiori a due anni, vuoi infine fra condannati già in carcere per l’esecuzione della pena e condannati che al momento in cui la condanna é divenuta definitiva si trovassero agli arresti domiciliari, non integrano violazioni del principio costituzionale di eguaglianza, trattandosi di situazioni caratterizzate dalla diversità dei presupposti di fatto e della configurazione normativa delle differenti misure considerate, rispetto alle quali il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha apprestato discipline a loro volta differenziate: senza dire che il remittente prospetta a sua volta una soluzione di assai dubbia logicità quando chiede che venga reso possibile, attraverso una addizione al comma 1-quater dell’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario, applicare in via provvisoria la detenzione domiciliare a condannati che, per l’entità della pena da espiare, non possono vedersi applicare tale misura in via definitiva (art. 47-ter, comma 1-bis);

che, pertanto, le questioni sollevate appaiono, sotto ogni profilo, manifestamente non fondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza:

a) della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito, da ultimo, dall’art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, 27, terzo comma, 101 e 112 della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari con l’ordinanza in epigrafe;

b) della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-quater, della predetta legge n. 354 del 1975, aggiunto dall’art. 4 della predetta legge n. 165 del 1998, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1999.