Ordinanza n. 367/99

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ORDINANZA N. 367

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie), e dell’art. 1 della legge 15 febbraio 1989, n. 51 (Attribuzione dell’indennità giudiziaria al personale amministrativo delle magistrature speciali); giudizi promossi con dieci ordinanze emesse il 18 dicembre 1997 dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione distaccata di Lecce, rispettivamente iscritte ai nn. 254, 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262 e 263 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 16, prima serie speciale, dell’anno 1998.

  Visti gli atti di costituzione di Marzulli Lucia, Tursi Eugenio, Latorrata Cosima, Pignatelli Anna Maria, Costanzo Liliana, Laruccia Elia, Carallo Paolo, Gallone Cataldo, Lezza Pietro e del Comune di Taranto, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 22 giugno 1999 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

  udito l’avvocato Rocco Maggi per Marzulli Lucia, Tursi Eugenio, Latorrata Cosima, Pignatelli Anna Maria, Costanzo Liliana, Laruccia Elia, Carallo Paolo, Gallone Cataldo, Lezza Pietro e l’Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

  Ritenuto che a seguito dei ricorsi proposti da alcuni dipendenti del Comune di Taranto, i quali chiedevano il pagamento delle indennità di amministrazione (già indennità giudiziaria) per il lavoro svolto negli uffici di conciliazione del Comune, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione distaccata di Lecce, con dieci ordinanze di identico contenuto, tutte del 18 dicembre 1997, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie), e dell’art. 1 della legge 15 febbraio 1989, n. 51 (Attribuzione dell’indennità giudiziaria al personale amministrativo delle magistrature speciali), nella parte in cui non dispongono l’attribuzione di tale indennità anche al personale dei comuni addetti agli uffici di conciliazione;

  che, allo stato attuale della legislazione, l’indennità - secondo il giudice a quo - é attribuita al personale in servizio presso le cancellerie e le segreterie giudiziarie nonchè al personale comandato o distaccato fuori ruolo presso quegli uffici, anche se appartenente a comparti diversi da quelli ministeriali (alla sola condizione di avere un formale provvedimento di comando per quelle funzioni, del quale, tuttavia, il personale degli uffici comunali sarebbe sprovvisto);

  che sotto il profilo funzionale e istituzionale gli uffici di conciliazione andrebbero considerati come organi statali; ma sotto l’aspetto organizzativo e per gli oneri economici essi farebbero carico ai comuni (il rapporto di lavoro subordinato, ove sussistente, dovrebbe considerarsi instaurato con il comune);

  che si creerebbe, in tal modo, una palese disparità di trattamento fra le categorie di personale pubblico che espleta le stesse funzioni e nelle medesime condizioni: il personale del comparto degli enti locali, comandato a prestare servizio presso gli uffici di pretura, di tribunale o di corte di appello, godrebbe infatti della speciale indennità, mentre il contrario accadrebbe per il personale destinato agli uffici di conciliazione;

  che ne conseguirebbe la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità delle leggi n. 221 del 1988 e n. 51 del 1989, nella parte in cui riservano l’indennità solo al personale appartenente agli uffici giudiziari sopra indicati, nulla disponendo in ordine a quello addetto alle conciliazioni;

  che i ricorrenti si sono costituiti con memoria scritta, e - riprendendo letteralmente la formulazione dell’ordinanza di rimessione - hanno chiesto alla Corte di dichiarare "non manifestamente infondata" la questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia;

  che le parti private premettono di aver svolto la propria attività presso la conciliazione di Taranto (con l’eccezione di uno di loro, comandato a prestare servizio negli uffici della locale Pretura penale) e rilevano che il personale, militare e non, in servizio presso i tribunali militari e i tribunali amministrativi regionali si sarebbe visto riconoscere il diritto all’indennità giudiziaria, mentre i dipendenti della conciliazione di Taranto non avrebbero ancora ottenuto lo stesso riconoscimento, pur avendo un rapporto di lavoro subordinato con il comune e appartenendo, a tutti gli effetti, all’ordine giudiziario, e ciò sia "per il servizio prestato che per le mansioni e l’impegno di lavoro assunto";

  che vi sarebbe, insomma, una palese disparità di trattamento tra i dipendenti statali e quelli degli enti locali;

   che si é costituito tardivamente anche il Comune di Taranto, concludendo per l’inammissibilità o, comunque, per la infondatezza;

  che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo analogamente per l’inammissibilità e, in subordine, per l’infondatezza;

  che, in prossimità dell’udienza pubblica, l’Avvocatura ha depositato una memoria con cui ribadisce la richiesta di inammissibilità per carenza di motivazione in ordine alla comparazione con altre categorie di dipendenti;

  che, per l’interventore, la giurisprudenza costituzionale, attesa la discrezionalità legislativa che caratterizza la materia, fa obbligo al rimettente di motivare, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, circa la pretesa irrazionalità della disciplina legislativa;

  che, in particolare, sarebbe del tutto assente l’accertamento della situazione di parallelismo, considerata dalla Corte come fondamento dell’estensione dell’indennità anche al personale amministrativo;

  che, inoltre, mancherebbe la ricognizione dello status economico dei ricorrenti, da cui risulti l’esclusione di un trattamento similare a quello richiesto;

  che presso gli uffici di conciliazione, secondo l’Avvocatura, non presterebbe servizio una magistratura appartenente all’ordine giudiziario o "alle categorie equiparate", ma un personale che, posto al di fuori di esso, non potrebbe godere dell’indennità, che si vorrebbe estendere per ragioni di mero parallelismo dei trattamenti;

  che i ricorrenti - conclude la difesa del Governo - godono dei benefici economici propri del comparto di contrattazione del personale degli enti locali e degli accessori stabiliti dal CCNL del 6 aprile 1995.

  Considerato che, con dieci ordinanze di rimessione, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia - sezione distaccata di Lecce - ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie), e dell’art. 1 della legge 15 febbraio 1989, n. 51 (Attribuzione dell’indennità giudiziaria al personale amministrativo delle magistrature speciali), nella parte in cui non dispongono l’attribuzione di tale indennità anche al personale dei comuni addetti agli uffici di conciliazione, perchè - in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione - si produrrebbe una disparità di trattamento fra categorie di personale pubblico che svolgono le stesse funzioni nelle medesime condizioni (il personale del comparto degli enti locali, comandato a prestare servizio presso gli uffici di pretura, di tribunale o di corte di appello, godrebbe della speciale indennità, mentre ne sarebbe escluso il medesimo personale destinato agli uffici di conciliazione);

  che la questione, identica in tutte le ordinanze, impone la riunione dei giudizi e la trattazione congiunta;

  che l’intervento del Comune di Taranto é irricevibile, perchè proposto tardivamente;

  che il personale in servizio presso gli uffici di conciliazione si distingue nelle figure dei cancellieri e dei messi di conciliazione;

  che - secondo la consolidata giurisprudenza sia ordinaria sia amministrativa - tale personale intrattiene con gli uffici comunali una pluralità di rapporti di lavoro, non tutti riconducibili a quello subordinato e, nell’ambito di questo, non sempre esclusivamente riservato agli uffici di conciliazione;

  che la mancata motivazione in ordine alle categorie di lavoratori ricorrenti e al tipo di rapporto intrattenuto con il comune, nonchè specificamente alla parte della prestazione svolta negli uffici di conciliazione, rende non verificabile la rilevanza della questione nei giudizi a quibus;

  che tale nebulosità é comprovata dalla presenza d’un ricorrente che risulta in servizio presso gli uffici di pretura;

  che, pertanto, la questione é manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie), e dell’art. 1 della legge 15 febbraio 1989, n. 51 (Attribuzione dell’indennità giudiziaria al personale amministrativo delle magistrature speciali), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione distaccata di Lecce, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1999.