Sentenza n. 346/99

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SENTENZA N. 346

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 76, terzo comma, numero 2) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), promosso con ordinanza emessa il 26 febbraio e il 26 marzo 1998 dalla Commissione tributaria regionale per l'Emilia-Romagna sul ricorso proposto da Vigilante Domenico contro l'Ufficio delle imposte dirette di Bologna, iscritta al n. 697 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1998.

Udito nella camera di consiglio del 12 maggio 1999 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un giudizio d'appello avente ad oggetto una istanza di rimborso parziale dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), la Commissione tributaria regionale per l'Emilia-Romagna, con ordinanza emessa il 26 febbraio e il 26 marzo del 1998, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, terzo comma, numero 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche).

Secondo il giudice a quo, tale norma - disponendo, senza possibilità di prova contraria, che "la plusvalenza ricavata dalla rivendita di un appartamento, non utilizzato direttamente dal proprietario, prima che siano trascorsi cinque anni dall'acquisto, costituisca reddito derivante da operazione speculativa e pertanto tassabile ai fini IRPEF" - fisserebbe, in violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, quale unico criterio di individuazione di una attività speculativa il decorso di un determinato periodo di tempo (cinque anni), prescindendo da ogni riferimento alla effettiva realtà socio-economica.

Sotto un diverso aspetto, l'irragionevolezza della norma sarebbe comprovata sia dalla possibilità di eluderne l'applicazione "formalizzando l'atto di vendita trascorsi cinque anni dall'acquisto", sia dalla sua incidenza su quei contribuenti costretti a rivendere l'immobile che non avevano potuto utilizzare direttamente per motivi indipendenti dalla loro volontà.

La plusvalenza realizzata per effetto della rivendita infraquinquennale dell'immobile sarebbe, poi, in mancanza di idonei correttivi della svalutazione monetaria, puramente fittizia e tale, dunque, da non poter essere assunta a base del calcolo progressivo dell'IRPEF senza violare la lettera e la ratio dell'art. 53 della Costituzione.

Considerato in diritto

1. - La Commissione tributaria regionale per l'Emilia- Romagna, con l'ordinanza indicata in epigrafe, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, terzo comma, numero 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 a tenore del quale si considerano fatti con fini speculativi l'acquisto e la vendita di beni immobili non destinati all'utilizzazione personale da parte dell'acquirente o dei familiari se il tempo intercorrente tra l'acquisto e la vendita non é superiore ai cinque anni, senza possibilità alcuna di provare l'assenza dei fini stessi anche nell'ipotesi, come quella oggetto del giudizio a quo, in cui la mancata utilizzazione personale sia dovuta a fatto del terzo o a forza maggiore.

Ed é, appunto, sotto tale aspetto che la norma risulterebbe lesiva del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione.

Secondo il giudice a quo, poi, la stessa norma, assoggettando all'IRPEF l'intera plusvalenza monetaria realizzata dalla vendita dell'immobile e, quindi, anche quella derivante dalla svalutazione monetaria eventualmente verificatasi nel quinquennio, violerebbe il principio di effettività della capacità contributiva garantito dall'art. 53 della Costituzione.

2. - La questione non é fondata.

2.1. - Il rimettente, pur ricordando come questa Corte abbia reiteratamente disatteso la censura di illegittimità costituzionale dell'art. 76, terzo comma, numero 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, ritiene che l'intervenuto mutamento della realtà socio-economica di riferimento abbia reso la norma denunciata priva di ragionevole giustificazione e, pertanto, lesiva dell'art. 3 della Costituzione.

In proposito é possibile osservare come sia la stessa premessa del dubbio di costituzionalità sollevato a risultare del tutto indimostrata.

I fattori evolutivi della società, evocati dal giudice a quo, quali "la composizione dei nuclei familiari, il loro reddito, la crescita o il calo demografico, i movimenti migratori, i tempi tecnici e burocratici necessari per costruire nuove abitazioni, i tassi di interesse dei mutui, la normativa sulle locazioni", pur se suscettibili di influenzare in qualche misura il mercato immobiliare e le motivazioni stesse dell'acquisto di beni immobili, non sono, infatti, tali da rendere irragionevole la scelta del legislatore di considerare speculativa, sulla base dell' id quod plerumque accidit, l'operazione economica di chi acquista un immobile non destinato alla utilizzazione personale sua o dei familiari e lo rivende entro il successivo quinquennio.

Se, dunque, sotto l'aspetto considerato, la censura di incostituzionalità della norma risulta priva di fondamento, identica é la conclusione cui si perviene qualora si consideri l'ulteriore e diverso assunto del giudice a quo circa una ipotetica, estrema facilità di elusione dell'imposta in conseguenza e per effetto della possibilità di stipulazione della rivendita infraquinquennale dell'immobile in una forma che non sarebbe conoscibile dal fisco.

Indipendentemente da ogni altra considerazione relativa alla stabilità dell'acquisto del bene in tal modo effettuato, l'ipotesi nella specie prospettata deve propriamente ricondursi all'area non già della elusione, ma della evasione dell'imposta e non può, dunque, comprovare l'asserita inadeguatezza della norma denunciata.

2.2. - Privo di consistenza risulta, infine, il dubbio di violazione dell'art. 53 della Costituzione fondato sull'assenza, nella tassazione delle plusvalenze, di correttivi della svalutazione monetaria idonei ad evitare di porre a base del calcolo dell'IRPEF un reddito imponibile dovuto al fenomeno inflattivo e perciò stesso fittizio.

L'apprezzamento della incidenza nel campo tributario della svalutazione monetaria é rimesso, infatti, come la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare, alla discrezionalità del legislatore.

Mentre il principio di capacità contributiva non può certo ritenersi violato per il solo fatto che una fluttuazione del valore della moneta abbia accresciuto l'incidenza fiscale di un tributo o abbia modificato gli effetti dell'applicazione di una imposta.

E', dunque, evidente come la menzionata giurisprudenza, dalla quale non v'é ragione alcuna di discostarsi, porti ad escludere quel rilievo costituzionale della svalutazione monetaria che, nella prospettazione del rimettente, rappresenta l'esclusivo supporto della censura dallo stesso avanzata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, terzo comma, numero 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale per l'Emilia-Romagna con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1999.