Sentenza n. 344/99

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SENTENZA N. 344

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 59 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) e 132, terzo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) e dell’art. 115, terzo comma, del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417 (Norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 25 ottobre 1996 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da D.C. contro l’Unità sanitaria locale n. 61 di Carate Brianza ed altri, iscritta al n. 685 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di costituzione di D.C. nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 27 aprile 1999 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi l’avv.to Gualtiero Rueca per C.D. e l’Avvocato dello Stato Aldo Linguiti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il Consiglio di Stato, con ordinanza del 26 maggio 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione, degli artt. 59, terzo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) e 132, terzo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), e dell’art. 115, terzo comma, del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417 (Norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato).

Il giudizio principale era stato promosso da un medico, già dipendente di una Unità sanitaria locale con la qualifica di assistente, cessato dall’impiego per dimissioni nel 1983 e riammesso in servizio a domanda nell’anno successivo, per ottenere il riconoscimento, a fini economici, dei servizi in precedenza prestati presso la medesima amministrazione. Il ricorrente aveva impugnato la delibera con cui il Comitato di gestione dell’USL, in applicazione dell’art. 132, terzo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957, richiamato per i dipendenti delle USL dall’art. 59, terzo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979, gli aveva negato detto riconoscimento.

2. - Nel sollevare la questione di legittimità costituzionale, il Consiglio di Stato rileva che la disposizione di cui all’art. 132, terzo comma, cit. "é chiara nel senso che l’impiegato riammesso, ancorchè inquadrato nella qualifica precedentemente rivestita anzichè nella qualifica iniziale di coloro che accedono per la prima volta all’impiego, abbia però anzianità, nella suddetta qualifica, dalla data del provvedimento di riammissione", e precisa che "null’altro disponendo la legge, si dovrebbe intendere che la decorrenza dell’anzianità così definita debba valere sia agli effetti giuridici che a quelli economici".

Tanto premesso, il Giudice a quo sottolinea la diversità della formulazione della norma citata rispetto a quella dell’art. 115, terzo comma, del d.P.R. n. 417 del 1974, il quale dispone che il personale riammesso in servizio assuma nel ruolo la posizione giuridica ed economica che vi occupava all’atto della cessazione del rapporto di servizio, osservando che il trattamento più favorevole riservato agli insegnanti statali non trova una razionale giustificazione in obiettive circostanze inerenti alla diversità del rapporto di impiego rispetto a quello dei dipendenti delle USL.

In presenza di situazioni analoghe, l’asimmetria delle due disposizioni si risolve, ad avviso del Consiglio di Stato, in una violazione dei principi di eguaglianza e di tutela della retribuzione, tale da indurre a dubitare della legittimità costituzionale degli artt. 59, terzo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979 e 132, terzo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957, nella parte in cui negano la rilevanza dei periodi lavorativi pregressi ai dipendenti delle USL riammessi in servizio, e dell’art. 115, terzo comma, del d.P.R. n. 417 del 1974, nella parte in cui impone, nella medesima situazione, la valutazione dei periodi pregressi.

2.1. - Sotto altro profilo, il Giudice rimettente rileva l’illogica ed ingiustificata disparità di trattamento tra il dipendente che, com’é accaduto al ricorrente, venga riammesso in servizio nella qualifica iniziale, e quello che accede all’impiego per la prima volta, osservando che, a norma dell’art. 24 del d.P.R. n. 761 del 1979, il secondo può ottenere, ai fini dell’inquadramento economico, il riconoscimento dei servizi prestati presso altre amministrazioni.

Denuncia pertanto l’illegittimità costituzionale degli artt. 59, terzo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979 e 132, terzo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957, nella parte in cui negano ai dipendenti delle USL, riammessi in servizio nella qualifica iniziale, la valutazione dei servizi precedentemente prestati, ai fini dell’inquadramento economico.

3. - Nel giudizio dinanzi alla Corte, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, ed ha eccepito l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sotto entrambi i profili prospettati dal Giudice rimettente.

La disparità di trattamento rispetto agli insegnanti statali, infatti, troverebbe spiegazione nella diversa posizione dei dipendenti delle USL, ed in particolare della categoria dei medici, la quale, in passato, era tra le poche nell’ambito del pubblico impiego ad essere esonerata da una dedizione esclusiva della propria attività lavorativa alla pubblica amministrazione, essendo consentiti l’iscrizione nell’albo professionale ed il contemporaneo esercizio della libera professione presso strutture sanitarie private.

La possibilità di ottenere la riammissione in servizio a seguito della cessazione del rapporto d’impiego integrerebbe d’altronde, secondo la difesa erariale, un trattamento di favore, rispetto al quale l’esclusione di ulteriori privilegi non potrebbe costituire una scelta arbitraria o ingiustificata.

Il principio di eguaglianza, infine, non renderebbe censurabile per disparità di trattamento una norma che tuteli ragionevolmente determinati interessi, per il solo fatto che interessi di pari valore non ricevano tutela in eguale misura.

Quanto poi all’asserita disparità di trattamento tra il dipendente riammesso in servizio e quello che accede all’impiego per la prima volta, essa sarebbe esclusa dalla disomogeneità delle due situazioni, oltre che dall’impossibilità di rilevare qualsiasi differenza relativamente alla valutabilità dei servizi pregressi.

4. - Si é costituito il ricorrente, riportandosi alle difese svolte nel giudizio a quo.

In prossimità dell’udienza pubblica, il ricorrente ha depositato una memoria, nella quale insiste per la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme censurate sottolineando, in riferimento all’art. 36 della Costituzione, come la determinazione del trattamento economico in funzione dell’anzianità di servizio risponda ad un criterio costantemente seguito nell’ambito del pubblico impiego.

Quanto alla violazione dell’art. 3 della Costituzione, sostiene che la disparità di trattamento tra i dipendenti delle USL ed il personale docente dello Stato non troverebbe giustificazione nè nella specificità del comparto scolastico, nè nella natura eccezionale della riammissione, trattandosi di un istituto di carattere generale, che implica un apprezzamento discrezionale della pubblica amministrazione.

Considerato in diritto

1. - La questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe riguarda l'art. 59, terzo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, nella parte in cui rinvia, per i dipendenti delle unità sanitarie locali, all'art. 132, terzo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, che prevede che l'impiegato riammesso in servizio, ancorchè inquadrato nella qualifica precedentemente rivestita, anzichè nella qualifica iniziale di coloro che accedono per la prima volta all'impiego, abbia però un'anzianità, nella suddetta qualifica, decorrente dalla data del provvedimento di riammissione. Tali disposizioni, secondo il giudice a quo, violerebbero i principi di eguaglianza e di adeguatezza della retribuzione, garantiti dagli artt. 3 e 36 della Costituzione. Sotto un primo profilo, attuerebbero una ingiustificata disparità rispetto al trattamento riservato al personale docente della scuola dall'art. 115 del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417 –invocato, secondo la Corte, dal giudice a quo esclusivamente come parametro di riferimento- dal momento che il predetto articolo, nella medesima situazione, dispone la riammissione del dipendente nella posizione giuridica ed economica occupata all'atto della cessazione del rapporto di servizio. Sotto altro profilo, le stesse norme porrebbero in essere, secondo il giudice rimettente, un'ingiustificata disparità di trattamento tra chi viene riammesso nella qualifica iniziale e chi accede all'impiego per la prima volta, il quale, in base all'art. 24 del medesimo d.P.R. n. 761 del 1979, può ottenere, ai fini dell'inquadramento, il riconoscimento dell'anzianità di servizio nel ruolo e nella posizione funzionale maturate presso le amministrazioni di provenienza.

2. - La questione non é fondata sotto entrambi i profili prospettati.

Premesso che in materia di inquadramento ed articolazione delle carriere del pubblico impiego, il legislatore gode di un'ampia discrezionalità, censurabile soltanto per arbitrarietà o per irragionevolezza, tali da ledere il principio del buon andamento della pubblica amministrazione o da determinare discriminazioni tra soggetti interessati (ex plurimis: sentenze nn. 217 e 174 del 1997, n. 127 del 1996), va rilevato che le situazioni disciplinate dalle norme poste a raffronto non sono comparabili per la loro sostanziale disomogeneità, non derivandone così alcuna lesione neppure sul piano dell'adeguatezza del trattamento.

Sotto il primo profilo delle censure proposte, va infatti osservato che la disciplina degli effetti della riammissione in servizio dei dipendenti delle USL é stabilita dall'art. 59, terzo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979 attraverso l'espresso rinvio alla regolamentazione generale in materia, valida per tutti gli impiegati dello Stato, contenuta nell'art. 132, terzo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957, e cioé senza riconoscimento della pregressa anzianità nella qualifica.

E dunque -a prescindere dall'evoluzione legislativa in materia e dalle vicende che hanno riguardato il citato art. 132, riferendosi la questione ad una fattispecie risalente alla metà degli anni Ottanta- appare evidente che la norma dell'art. 115, terzo comma, del d.P.R. n. 417 del 1974, disponendo tra gli effetti della riammissione in servizio del personale docente della scuola statale anche il riconoscimento della pregressa anzianità nella qualifica, introduce una disciplina speciale e derogatoria rispetto appunto a quella contenuta nell'art. 132 cit. Si tratta, peraltro, di una disciplina, che riguarda unicamente un settore del pubblico impiego, e cioé il personale della scuola, che ha una specifica progressione di carriera (sentenza n. 228 del 1976), cosicchè essa non può fungere da idoneo tertium comparationis, tanto più in riferimento ad una disposizione generale applicabile a tutti gli impiegati civili dello Stato. E' infatti costante l'indirizzo della giurisprudenza costituzionale, secondo cui le norme speciali, singolari o comunque derogatorie di principi generali non possono costituire utile elemento di comparazione alla stregua del principio di eguaglianza (ex plurimis: sentenze n. 402 del 1996, nn. 295 e 201 del 1995).

3. - La questione non é fondata neppure sotto il secondo profilo prospettato.                                                       

Secondo il giudice rimettente le norme censurate, facendo decorrere l'anzianità nella qualifica dalla data del provvedimento di riammissione, comporterebbero, per l'impiegato riammesso nella qualifica iniziale, il disconoscimento dell'intero servizio prestato anteriormente alla cessazione del rapporto di impiego, mentre l'art. 24 dello stesso d.P.R. n. 761 del 1979, disponendo che per il personale proveniente da USL di altre regioni o da enti equiparati le anzianità di servizio nel ruolo e nella posizione funzionale già maturate presso di essi si considerano a tutti gli effetti come "anzianità acquisite presso le unità sanitarie locali", consente ai dipendenti assunti per la prima volta di ottenere, ai fini del primo inquadramento, la valutazione dei servizi prestati presso altre amministrazioni.

Anche sotto questo profilo, però, le situazioni poste a raffronto non sono omogenee e non sussiste quindi lesione del principio della parità di trattamento. Ed invero, se si considera la posizione del dipendente che, a distanza di tempo dalla cessazione del rapporto d'impiego, chieda ed ottenga, ai sensi dell'art. 59 del d.P.R. n. 761 del 1979, la riammissione in servizio, essa non appare comparabile in alcun modo con quella del dipendente che, proveniente da USL o da ente equiparato, transiti senza soluzione di continuità in un'altra USL. Ed infatti, nella seconda ipotesi, non sussiste interruzione del rapporto di impiego, ma anzi sussiste continuità del rapporto stesso, cosicchè il legislatore non é tenuto a bilanciare l'esigenza di conferire adeguato rilievo alla capacità professionale ed all'esperienza maturate attraverso il servizio pregresso con quella opposta di tutelare le posizioni giuridiche medio tempore acquisite dagli altri impiegati, disponendo, in modo non irragionevole, la postergazione nel ruolo del dipendente riammesso in servizio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 59, terzo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) e dell'art. 132, terzo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dal Consiglio di Stato con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1999.