Ordinanza n. 336/99

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ORDINANZA N. 336

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 147, secondo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 5 giugno 1998 dal Tribunale di sorveglianza di Venezia sull’istanza proposta da Canducci Emanuele, iscritta al n. 730 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visto l’atto di costituzione di Canducci Emanuele nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 giugno 1999 il Giudice relatore Giuliano Vassalli;

udito l’Avvocato dello Stato Maurizio Di Carlo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Venezia, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di differimento della esecuzione della pena formulata, a norma dell’art. 147, primo comma, numero 1, cod. pen., per avere il condannato presentato domanda di grazia, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 147, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui prevede che il periodo di differimento dell’esecuzione della pena non superiore a sei mesi decorre – anche nei casi in cui l’esecuzione sia già iniziata – dal giorno in cui la sentenza é divenuta irrevocabile;

che dalla disposizione impugnata scaturirebbe, a parere del giudice a quo, una "irragionevole disparità di trattamento tra il detenuto che maturi il proposito di avanzare domanda di grazia prima del decorso del semestre dal passaggio in giudicato (e che riesca ad adire la magistratura di sorveglianza in tempo utile per ottenere il differimento) ed il detenuto che (come é avvenuto nel caso di specie) si risolve ad avanzare tale domanda solo successivamente";

che ad avviso del giudice rimettente non sussisterebbe, infatti, alcuna ragione giustificatrice di una norma "che consente a colui che é stato condannato e ristretto da meno di sei mesi dal passaggio in giudicato del titolo di aspirare ad ottenere il differimento della pena, e che impedisce l’accesso al medesimo beneficio – ceteris paribus – a colui che si trovi parimenti in esecuzione penale ma oltre il termine di sei mesi dal dì della irrevocabilità";

che nel giudizio si é costituita la parte privata, la quale peraltro si é limitata a sollecitare la declaratoria di illegittimità costituzionale nei termini esposti dal giudice a quo, ed ha spiegato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

Considerato che l’istituto del differimento della esecuzione in pendenza della domanda di grazia ha il suo fondamento nella giusta preoccupazione del legislatore che, nelle more dell’istruttoria della pratica di grazia, il condannato possa essere sottoposto alla esecuzione della pena prima che la sua istanza venga esaminata e decisa, inconveniente, questo, che si appalesa particolarmente grave specie nel caso di pene detentive brevi;

che, a sua volta, la previsione secondo la quale il differimento non può superare complessivamente sei mesi é stata dettata, come emerge dalla Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, dallo scopo di impedire un differimento della esecuzione per tempo indeterminato, mentre la statuizione relativa alla decorrenza del termine massimo di differimento dal giorno in cui la sentenza é divenuta irrevocabile, agevolmente si spiega col fatto che nel sistema é quella l’unica decorrenza correttamente evocabile, coincidendo essa con la trasformazione della condanna in titolo esecutivo e, dunque, con l’inizio della fase della esecuzione;

che, pertanto, priva di qualsiasi rilievo costituzionale si rivela la circostanza, prospettata dal giudice a quo, che il sistema dianzi delineato non terrebbe conto del diverso trattamento che di riflesso verrebbe ad essere riservato ai condannati i quali maturino, in tempi diversi, il proposito di avanzare domanda di grazia, essendo tale profilo, di mero fatto, naturale ed ineludibile conseguenza di qualsiasi istituto che configuri l’esercizio di determinate facoltà entro un dato termine;

che la questione proposta deve quindi essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 147, secondo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Venezia con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 luglio 1999.