Ordinanza n. 335/99

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ORDINANZA N. 335

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 61 del codice di procedura penale del 1930 e dell'art. 248 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, promossi con ordinanze emesse il 10 dicembre 1997 ed il 7 gennaio 1998 dal Tribunale di Nola nei procedimenti penali a carico di S.C. ed altri e di N. L. ed altri, iscritte ai nn. 311 e 314 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 9 giugno 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con due ordinanze di analogo tenore il Tribunale di Nola ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 61 del codice di procedura penale del 1930 (r.o. n. 314 del 1998), nonchè di tale norma unitamente all’art. 248 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (r.o. n. 311 del 1998), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità del giudice del dibattimento che abbia rigettato la richiesta di applicazione della pena concordata tra le parti a partecipare al giudizio;

che in entrambe le ordinanze il Tribunale rimettente, premesso che il procedimento prosegue, ex art. 241 disp. trans. cod. proc. pen., con l’applicazione delle norme anteriormente vigenti, espone di avere respinto la richiesta di applicazione della pena concordata tra le parti avanzata da alcuni imputati ex art. 248 disp. trans. cod. proc. pen. e di procedere pertanto, a norma dell’ultima parte del primo comma di tale disposizione, nelle forme ordinarie;

che il rimettente rileva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 186 del 1992, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio del giudice del dibattimento che abbia in precedenza respinto la richiesta di applicazione della pena;

che ad avviso del giudice rimettente l’art. 34 cod. proc. pen., così come integrato dalla sopra menzionata sentenza della Corte, non é però applicabile nel caso di specie, in quanto l’art. 245 disp. trans. cod. proc. pen. non lo indica tra quelli che si applicano ai procedimenti che proseguono secondo le norme del vecchio rito;

che il rimettente ritiene pertanto di dovere sollevare, nei termini sopra precisati, questione di legittimità costituzionale dell’art. 61 cod. proc. pen. del 1930, in collegamento con l’art. 248 disp. trans. cod. proc. pen., rilevando che l’incompatibilità deriva non dall'aver preso visione di tutti gli atti del procedimento, che alla stregua del codice di procedura penale del 1930 il giudice conosceva ab initio, ma da una valutazione degli stessi, volta ad escludere gli estremi di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 152 del codice previgente e poi sfociata in una pronuncia di rigetto della richiesta di patteggiamento per non congruità della pena;

che le norme censurate si porrebbero in contrasto con l’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento tra imputati giudicati rispettivamente con il rito vigente e con quello abrogato, in quanto la specifica ipotesi di incompatibilità risulta prevista solo a tutela dei primi, nonchè con l’art. 24, secondo comma, Cost., perchè la valutazione delle posizioni degli imputati si risolve in una indiretta anticipazione di giudizio;

che nei giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata, non essendo comparabili le discipline dell’incompatibilità previste dal vecchio e dal nuovo codice di procedura penale, attese le differenze tra l’impianto complessivo dei due codici e tra i principi che rispettivamente li ispirano.

Considerato che, stante l’analogo tenore delle due ordinanze, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che il rimettente muove dal presupposto interpretativo che nel caso di specie non sia applicabile l’art. 34 cod. proc. pen., così come integrato dalla sentenza di questa Corte n. 186 del 1992, in quanto, da un lato, i procedimenti sottoposti al suo giudizio proseguono, ex art. 241 disp. trans. cod. proc. pen., con l’applicazione delle norme anteriormente vigenti, tra le quali, appunto, l’art. 61 cod. proc. pen. del 1930, dall’altro, l’art. 34 cod. proc. pen. non é indicato tra quelli che, alla stregua dell’art. 245 disp. trans. cod. proc. pen., si osservano anche nei procedimenti che proseguono con l’applicazione delle norme del codice del 1930;

che tale convinzione si basa sull’erroneo presupposto che l’indicazione, contenuta nell’art. 245 disp. trans. cod. proc. pen., delle norme immediatamente applicabili ai procedimenti che proseguono con il vecchio rito non consenta eventuali estensioni dettate sia da considerazioni generali attinenti ai rapporti logici e sistematici tra i due ordinamenti processuali che si sono succeduti nel tempo, sia dall’esigenza di assicurare la razionale operatività di alcuni istituti che, non previsti nel precedente ordinamento, sono stati dichiarati immediatamente applicabili anche nei procedimenti che proseguono con l’osservanza delle norme del codice del 1930;

che il rimettente omette di considerare che l’art. 248 disp. trans. cod. proc. pen., nel disporre l’applicazione degli artt. 444 e seguenti cod. proc. pen. anche ai procedimenti che proseguono con le norme del rito previgente, non ha inteso limitarsi ad una meccanicistica trasposizione del nuovo istituto nel corpo del sistema processuale del 1930, ma ne ha anticipato la disciplina complessiva, a partire dalle garanzie che ne permettono la corretta e armonica operatività all’interno del codice di rito ormai abrogato;

che il carattere di assoluta novità dell’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, che si configura come un vero e proprio procedimento speciale, del tutto autonomo rispetto al rito ordinario, lo rende inconciliabile con l’impianto strutturale del codice di procedura penale del 1930 ed impone quindi l’immediata operatività di tutte quelle disposizioni del nuovo codice che, pur non essendo espressamente richiamate dall’art. 245 disp. trans. cod. proc. pen., risultano inscindibilmente connesse con l’essenza del nuovo istituto;

che, in particolare, tale esigenza deve essere tenuta presente ove sorga un problema di immediata operatività delle garanzie dettate dal principio di terzietà-imparzialità del giudice, quale risulta in concreto delineato dalla disciplina in tema di incompatibilità dettata dall’art. 34 cod. proc. pen., così come integrato dalla giurisprudenza di questa Corte, con particolare riferimento ai rapporti tra l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e il giudizio ordinario;

che le considerazioni sopra esposte rendono evidente che il giudice rimettente é incorso in un’erronea interpretazione dell’art. 245 disp. trans. cod. proc. pen., ed ha di conseguenza erroneamente ritenuto che nei procedimenti sottoposti al suo giudizio non fosse immediatamente applicabile l’art. 34 cod. proc. pen.;

che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 61 del codice di procedura penale del 1930 e 248 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale del 1988, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Nola, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 luglio 1999.