Sentenza n. 328/99

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SENTENZA N. 328

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 22 regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il 27 gennaio 1998 dalla Corte d'appello di Trento nel procedimento civile vertente tra l'Eurocatering s.r.l. e la Zanetti s.p.a., iscritta al n. 413 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visto l'atto di costituzione dell'Eurocatering s.r.l.;

  udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1999 il Giudice relatore Annibale Marini;

Ritenuto in fatto

1. - La Corte d’appello di Trento, con ordinanza del 27 gennaio 1998, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), "nella parte in cui non consente al debitore di promuovere reclamo avverso il provvedimento del tribunale che pur respingendo l’istanza di fallimento proposta nei suoi confronti, abbia rigettato (o comunque non accolto) la sua domanda di rimborso delle spese processuali e di risarcimento per responsabilità aggravata proposta nei confronti del creditore".

Illustrata la rilevanza della questione - trattandosi nel giudizio a quo del reclamo proposto da una società, nei cui confronti era stata avanzata istanza di fallimento, avverso il decreto con il quale il Tribunale, respingendo l’istanza stessa, aveva tuttavia disatteso la richiesta di condanna del creditore istante al pagamento delle spese giudiziali ed al risarcimento del danno ex art. 96 del codice di procedura civile - il rimettente osserva che, secondo una ormai consolidata giurisprudenza del giudice di legittimità, la condanna al rimborso delle spese processuali é possibile in ogni procedimento, pur se di natura sommaria o cautelare, e che, in applicazione di tale principio, la Cassazione, con sentenza 20 novembre 1996, n. 10180, modificando il proprio precedente orientamento, ha precisato che, nella procedura per la declaratoria di fallimento, il creditore istante, in caso di rigetto della sua istanza, può essere condannato al pagamento delle spese sostenute dal debitore per la sua difesa.

Ammessa, dunque, la possibilità di condanna del creditore istante al pagamento delle spese giudiziali (ed anche, conseguentemente, al risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata), ne discenderebbe, ad avviso del rimettente, l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, secondo comma, della legge fallimentare, nella parte in cui attribuisce al creditore istante la possibilità di reclamare avverso il provvedimento di condanna alle spese, negandola invece al debitore, la cui domanda, di condanna al rimborso delle spese, non sia stata accolta.

Tale limitazione risulterebbe in contrasto sia con il principio di eguaglianza, per l’ingiustificata disparità di trattamento che essa determinerebbe tra le parti della procedura concorsuale, sia con il diritto di difesa, tutelato dall’art. 24 Cost., in quanto priverebbe il debitore di adeguati strumenti di difesa per il caso di non corretta applicazione, da parte del tribunale, del principio della soccombenza.

Ricorda infine il giudice a quo che questa Corte, con sentenza n. 127 del 1975, ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui nega al fallito la legittimazione a proporre reclamo avverso il provvedimento del tribunale di rigetto dell’istanza di fallimento del socio illimitatamente responsabile. Proprio la limitata portata di tale pronuncia precluderebbe, tuttavia, secondo lo stesso giudice, la possibilità di una interpretazione adeguatrice della norma censurata, tale da estendere la legittimazione del debitore ad ipotesi di reclamo ulteriori rispetto a quella considerata dalla sentenza stessa.

2. - E’ intervenuta in giudizio la Eurocatering s.r.l., reclamante nel giudizio a quo, che ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata.

La parte privata, richiamate le argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione, sottolinea in particolare come, secondo la dottrina e la giurisprudenza, le domande di rimborso delle spese giudiziali e di risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata non possano essere proposte in via autonoma, essendo esclusivamente competente a conoscerne il giudice della causa di merito, nel corso del medesimo procedimento. Da ciò discenderebbe - ad avviso della stessa parte privata - l’evidente illegittimità costituzionale della norma, con riferimento ad entrambi i parametri evocati, nella parte in cui preclude al debitore di reclamare avverso il decreto di rigetto dell’istanza di fallimento che abbia respinto la sua domanda di condanna al rimborso delle spese o al risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata.

Considerato in diritto

1. - La Corte d’appello di Trento dubita, con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 22 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), e più precisamente del secondo comma di tale articolo, nella parte in cui non consente al debitore di reclamare avverso il decreto di rigetto dell’istanza di fallimento avanzata nei suoi confronti, per la parte riguardante il mancato accoglimento della domanda di condanna al rimborso delle spese processuali ed al risarcimento del danno per responsabilità aggravata da lui proposta nei confronti del creditore.

2. - La questione é fondata, nei termini di seguito precisati.

3. - L’art. 22, secondo comma, della legge fallimentare dispone che avverso il decreto di rigetto del ricorso per la dichiarazione di fallimento "il creditore istante può, entro quindici giorni dalla comunicazione, proporre reclamo alla corte d’appello, la quale provvede in camera di consiglio, sentiti il creditore istante e il debitore".

Il rimettente, con interpretazione non implausibile fondata sulla sentenza di questa Corte n. 127 del 1975, ritiene che, atteso il carattere tassativo della previsione legislativa, deve escludersi la legittimazione del debitore a proporre reclamo avverso il provvedimento negativo di cui alla norma denunciata. Provvedimento che non appare necessariamente limitato al rigetto del ricorso per la dichiarazione di fallimento, ma può abbracciare anche la statuizione, conseguenziale a detto rigetto, su eventuali domande proposte dal debitore.

Ed é appunto in relazione a tale più ampio contenuto che il precludere al debitore la legittimazione al reclamo accordandola, invece, al creditore viene a determinare un evidente quanto ingiustificato squilibrio tra le parti in causa.

Il principio sancito dall’art. 3, primo comma, della Costituzione, posto in correlazione con quello di cui all'art. 24 Cost., implica necessariamente, come affermato da questa Corte, "la piena uguaglianza delle parti stesse dinanzi al giudice ed impone al legislatore di disciplinare la distribuzione di poteri, doveri ed oneri processuali secondo criteri di pieno equilibrio" (sentenza n. 253 del 1994).

Considerazioni tutte che non possono non valere anche riguardo al procedimento, di natura sostanzialmente contenziosa, introdotto dal ricorso del creditore per la dichiarazione di fallimento, "essendo indubbia la contrapposizione di posizione ed interesse tra il creditore istante ed il debitore che resiste all'istanza di fallimento" (Cass. 20 novembre 1996 n. 10180).

Il principio di "parità delle armi" impone, dunque, che la legittimazione a proporre reclamo avverso il decreto di rigetto del ricorso per la dichiarazione di fallimento sia riconosciuta al debitore, nei cui confronti l’istanza é proposta, negli stessi termini in cui é riconosciuta al creditore istante, con conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma denunciata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui non attribuisce al debitore, nei cui confronti sia stato proposto ricorso per la dichiarazione di fallimento, la legittimazione a proporre reclamo alla corte d’appello avverso il decreto di rigetto di tale ricorso, in relazione al mancato accoglimento delle domande proposte dallo stesso debitore.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 luglio 1999.