Ordinanza n. 320/99

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ORDINANZA N. 320

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI              

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI                       

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI               

- Prof. Annibale MARINI                  

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio sull'ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna - in relazione al decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio emesso il 31 maggio 1999 in seguito alla richiesta della Procura della Repubblica di Bologna di non doversi procedere nei confronti di funzionari del SISDE e di funzionari di polizia per essere le fonti di prova incise dal segreto di Stato - con ricorso depositato il 6 luglio 1999 ed iscritto al n. 123 del registro ammissibilità conflitti.

  Udito nella camera di consiglio del 14 luglio 1999 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che con ricorso del 5 luglio 1999, depositato il 6 luglio 1999, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato - previa la necessaria deliberazione del Consiglio dei ministri, assunta in data 30 giugno 1999 - conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna in relazione al decreto, emesso ai sensi dell’art. 409, comma 2, cod. proc. pen. in data 31 maggio 1999, con il quale é stata fissata al 14 luglio 1999 l’udienza in camera di consiglio, a seguito della richiesta del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna di non doversi procedere nei confronti di funzionari del SISDE e di polizia, per essere le fonti di prova incise da segreto di Stato ritualmente opposto dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato), in quanto il provvedimento é stato adottato sulla base di tutta la documentazione, compresa quella segretata, che accompagnava le precedenti richieste di rinvio a giudizio proposte dal pubblico ministero riguardo ai medesimi fatti, e costituisce quindi esercizio di attività giurisdizionale in materie sottratte alla competenza dell’autorità giudiziaria;

che riguardo all’ammissibilità del ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri richiama le decisioni assunte con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998 e le ordinanze nn. 426 del 1997 e 266 del 1998 di questa Corte, ritenendo che a nulla rilevi, dal punto di vista oggettivo, che tali decisioni riguardassero la funzione giurisdizionale nel suo aspetto di esercizio dell’azione penale, "mentre si tratta oggi della manifestazione tipica di detta funzione", e, sotto il profilo soggettivo, che si trattasse allora del Procuratore della Repubblica ed oggi del Giudice per le indagini preliminari, attesa la natura "diffusa" del potere giudiziario;

che anche riguardo al merito il ricorrente si riporta a quanto affermato da questa Corte nelle decisioni citate, ed in particolare ai principi secondo i quali i rapporti tra Governo ed autorità giudiziaria debbono essere ispirati a correttezza e lealtà, e l’opposizione del segreto di Stato non comporta alcuna ipotesi di immunità sostanziale e non impedisce l’esercizio dell’azione penale, ma ha l’effetto di inibire all’autorità giudiziaria l’acquisizione, in via diretta o indiretta, degli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto al fine di fondare su di essi l’esercizio dell’azione penale, che può essere esercitata solo qualora vi siano elementi indizianti del tutto autonomi ed indipendenti;

che secondo il ricorrente l’iniziativa del Procuratore della Repubblica di porre nella disponibilità del Giudice per le indagini preliminari, con la richiesta di archiviazione, gli atti segretati, da un lato, si é posta in contrasto con quanto statuito da questa Corte con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998, dall’altro, ha posto il giudice nella posizione di delibare detta richiesta sulla base di emergenze documentali di cui non avrebbe dovuto prendere cognizione;

che il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene quindi che il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari di fissazione dell’udienza in camera di consiglio, pronunciato ai sensi dell’art. 409, comma 2, cod. proc. pen., abbia violato le prerogative del Governo nella materia del segreto di Stato, dal momento che é stato adottato sulla base di documenti coperti dal segreto di Stato e quindi non conoscibili dal giudice; che esso é idoneo ad offrire la documentazione segreta alla pubblicità dell'udienza; e ancora che esso é prodromico ad ulteriori attività giurisdizionali – o l’ordinanza con la quale si indica la necessità di ulteriori indagini o l’ordinanza con la quale si dispone che il pubblico ministero formuli l’imputazione – che restano precluse dal segreto di Stato opposto.

che pertanto il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto conflitto - deducendo la violazione degli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102 e 126 della Costituzione, in relazione agli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, agli artt. 202, 256 e 362 cod. proc. pen. e con riferimento alle sentenze nn. 110 e 410 del 1998 della Corte costituzionale - per sentir dichiarare che non spetta al Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bologna, nè acquisire, nè utilizzare sotto alcun profilo, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali é stato legalmente opposto e confermato dal Presidente del Consiglio dei ministri il segreto di Stato; che non spetta allo stesso Giudice, a fronte di una richiesta del pubblico ministero di non doversi procedere per l’esistenza di un segreto di Stato, corredata dei documenti che da quel segreto di Stato sono coperti, prendere cognizione degli stessi e, su tale base, fissare l’udienza in camera di consiglio prevista dall’art. 409, comma 2, cod. proc. pen., così offrendo tali documenti alla pubblicità ed in particolare alla conoscenza della parte offesa; con il conseguente annullamento del decreto di fissazione dell’udienza in camera di consiglio del 31 maggio 1999, ordinando la restituzione dei documenti coperti dal segreto di Stato ai legittimi detentori.

Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale é chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine all’ammissibilità del conflitto di attribuzione, sotto il profilo della sussistenza della "materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza", restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilità;

che il Presidente del Consiglio dei ministri é legittimato a sollevare il conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in base alla legge 24 ottobre 1977, n. 801, ma anche alla stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni (sentenze nn. 410 e 110 del 1998; 86 del 1977; ordinanze nn. 266 del 1998 e 426 del 1997);

che anche la legittimazione del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna a resistere nel conflitto deve essere affermata, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte che riconosce ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle relative funzioni, la volontà del potere cui appartengono (ex plurimis, sentenze nn. 50 e 35 del 1999; 375 del 1997; ordinanze nn. 471, 261 e 250 del 1998; 269 del 1996);

che, quanto al profilo oggettivo del conflitto, é lamentata dal ricorrente la lesione di attribuzioni costituzionalmente garantite (v. sentenze nn. 410 e 110 del 1998; 86 del 1977; ordinanze nn. 266 del 1998 e 426 del 1997);

che dal ricorso possono ricavarsi "le ragioni del conflitto" e "le norme costituzionali che regolano la materia", come richiesto dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

dispone:

a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, ricorrente;

b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna, entro il termine di venti giorni dalla comunicazione, per essere successivamente depositati presso la cancelleria di questa Corte entro venti giorni dalla notificazione, a norma dell'art. 26, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, termine che il quarto comma del citato art. 26 assegna alle parti per la costituzione in giudizio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1999.