Ordinanza n. 314/99

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ORDINANZA N. 314

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI                       

- Prof.    Francesco GUIZZI                           

- Prof.    Cesare MIRABELLI                          

- Avv.    Massimo VARI                       

- Dott.   Cesare RUPERTO                            

- Dott.   Riccardo CHIEPPA                         

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                                

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI                           

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI    

- Prof. Annibale MARINI                              

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, in combinato disposto con i commi 1, 4 e 5 del medesimo articolo 6, del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1997 dal Pretore di Lecce nel procedimento civile vertente tra Brizio Cattolico e l'INPS, iscritta al n. 823 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di costituzione dell'INPS nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1999 il Giudice relatore Fernanda Contri;

  uditi l'avvocato Carlo De Angelis per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che nel corso di un giudizio promosso da Brizio Cattolico contro l’INPS, il Pretore di Lecce, con ordinanza emessa il 20 febbraio 1997, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, in combinato disposto con i commi 1, 4 e 5 del medesimo articolo 6, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638;

che dall’ordinanza di rimessione si desume avere il ricorrente convenuto in giudizio l’INPS per contestare la legittimità di trattenute operate a carico della sua pensione d’invalidità in base all’assunto che egli avesse indebitamente percepito un trattamento superiore al dovuto;

che il Pretore rimettente precisa al riguardo che all’assicurato, già titolare di pensione integrata al trattamento minimo, é stata riconosciuta una pensione su base contributiva, non avendo egli presentato la dichiarazione dei redditi richiesta, ai fini dell’erogazione del trattamento minimo, dal comma 4 del denunciato art. 6 e che la pensione riportata a calcolo, rivalutata a norma dell’impugnato art. 6, comma 6, é risultata superiore alla pensione integrata al trattamento minimo;

che l’INPS - una volta acquisita la dichiarazione di cui al comma 4 dello stesso art. 6 e constatato che il ricorrente non possedeva redditi superiori al doppio dell’ammontare annuo del trattamento minimo, a norma dell’art. 6, comma 1 - provvedeva d’ufficio ad erogare nuovamente la pensione integrata al trattamento minimo, applicando le trattenute contestate nel giudizio principale;

che nell’interpretazione del rimettente l’art. 6, comma 6, del citato decreto-legge prevede che le pensioni non più integrabili siano ricalcolate su base contributiva con decorrenza dalla data di attribuzione della pensione, "applicando i coefficienti di rivalutazione previsti dall’art. 9 della legge 3 giugno 1975, n. 160, che ... sono più favorevoli di quelli stabiliti per le pensioni a calcolo, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 463 del 1983, dall’art. 19 della legge n. 153 del 1969";

che l’applicazione dei coefficienti di rivalutazione dei trattamenti minimi di cui all’art. 9 della legge n. 160 del 1975 ha comportato l’erogazione al ricorrente di una pensione non più integrata superiore, a decorrere dal 1° ottobre 1983, al trattamento minimo, laddove, secondo il giudice a quo, l’applicazione dell’art. 19 della legge n. 153 del 1969 avrebbe comportato il superamento di tale importo solo con decorrenza dal 1° gennaio 1985;

che sulla base di tali premesse, l’ordinanza prospetta una violazione dell’art. 3 della Costituzione ad opera dell’art. 6, comma 6, del decreto-legge n. 463 del 1983, giacchè esso produrrebbe "situazioni di assoluta iniquità, venendo a favorire ingiustificatamente taluni soggetti che, proprio perchè percettori di redditi superiori a un prefissato limite, non sono stati ritenuti bisognosi e meritevoli di particolare protezione sociale";

che il giudice a quo dubita anche in riferimento all’art. 38 della Costituzione della legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, in combinato disposto con i commi 4 e 5, "nella parte in cui prevede che, per l’assoggettamento di una pensione non più integrabile alla disciplina della perequazione automatica delle pensioni integrate al trattamento minimo, l’interessato debba presentare dichiarazione attestante il superamento del limite di reddito di cui al comma 1";

che nel giudizio davanti a questa Corte si é costituito l’INPS, per dedurre l’infondatezza della questione sollevata dal Pretore di Lecce;

che, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, ha spiegato intervento nel presente giudizio costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che questa Corte dichiari inammissibile o infondata la questione sollevata dal Pretore di Lecce.

Considerato che l’applicazione dei coefficienti di rivalutazione dei trattamenti minimi di cui all’art. 9 della legge n. 160 del 1975 ha comportato, secondo quanto si desume dall’ordinanza di rimessione, l’erogazione al ricorrente di una pensione non più integrata superiore, a decorrere dal 1° ottobre 1983, al trattamento minimo, laddove, secondo il giudice a quo, l’applicazione dell’art. 19 della legge n. 153 del 1969 avrebbe comportato - nel rispetto, a parere del rimettente, dei princìpi costituzionali - il superamento di tale importo solo con decorrenza dal 1° gennaio 1985;

che, per giurisprudenza costante di questa Corte, in assenza del c.d. diritto vivente, il giudice a quo deve porsi il problema della possibilità di una lettura conforme a Costituzione alternativa a quella accolta nell’ordinanza di rimessione, e solo successivamente, nella constatata impossibilità di pervenire a tale diversa lettura, sollevare la questione di legittimità costituzionale (da ultimo, ord. n. 147 del 1998);

che, nonostante l’asserita conformità ai princìpi costituzionali invocati del criterio di rivalutazione di cui all’art. 19 della legge n. 153 del 1969, non v’é traccia, nell’ordinanza di rimessione, del doveroso tentativo di superare il dubbio di costituzionalità attraverso l’interpretazione adeguatrice delle disposizioni denunciate, nè un analogo tentativo risulta compiuto al fine di superare l’ulteriore dubbio prospettato dal rimettente con riferimento all’art. 38 della Costituzione;

che, inoltre, sotto il profilo della rilevanza, risulta dall’ordinanza del Pretore di Lecce e dall'atto di costituzione dell'INPS che il reddito del ricorrente non ha mai superato i limiti di cui al comma 1 dell’impugnato art. 6 e che, pertanto, quest’ultimo ha sempre avuto diritto all’integrazione al trattamento minimo, circostanza, quest’ultima, che rende necessaria una adeguata motivazione, assente nell’ordinanza, sull’applicabilità della disciplina impugnata, che concerne i casi di cessazione del diritto all’integrazione in caso di superamento dei prescritti limiti di reddito;

che l’ordinanza di rimessione non contiene alcun riferimento alla questione preliminare dell’applicabilità della disciplina dell’indebito previdenziale di cui all’art. 52, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), che ammette il recupero delle somme indebitamente percepite dall’assicurato solo in caso di dolo;

che, ancora sotto il profilo della motivazione sulla rilevanza, dall’ordinanza di rimessione non é dato capire come l’eventuale accoglimento della questione sollevata possa avere incidenza nel giudizio principale ed influire sulla sua definizione, posto che, in caso di infondatezza della questione, il rimettente - ove non fosse da applicare la citata disciplina dell’indebito previdenziale - dovrebbe rigettare il ricorso dell’assicurato contro le trattenute operate dall’INPS, mentre, in caso di accoglimento, dovrebbe ugualmente definire il giudizio sospeso attraverso un identico provvedimento di rigetto del ricorso (una volta dichiarata incostituzionale la disciplina impugnata, ed eventualmente introdotta, tramite la decisione costituzionale richiesta, una sorta di cristallizzazione delle pensioni a calcolo in una misura non superiore all’importo del trattamento minimo, vi sarebbe infatti un motivo ulteriore per pervenire alla medesima conclusione);

che il giudice a quo solleva la questione di legittimità costituzionale, con ordinanza nel suo complesso oscura, senza motivare adeguatamente sulla rilevanza della questione medesima, precludendo a questa Corte il necessario controllo sulla sussistenza di tale condizione di proponibilità;

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, in combinato disposto con i commi 1, 4 e 5 del medesimo articolo 6, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Lecce con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1999.