Ordinanza n. 282/99

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ORDINANZA N. 282

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI                       

- Prof.    Francesco GUIZZI                           

- Prof.    Cesare MIRABELLI                          

- Avv.    Massimo VARI                                  

- Dott.   Cesare RUPERTO                            

- Dott.   Riccardo CHIEPPA                         

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                                

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI                           

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI                            

- Prof. Annibale MARINI                                          

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1469-bis del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 3 novembre 1997 dal Giudice di pace dell'Aquila nel procedimento civile vertente tra Lido s.n.c. e l'ENEL s.p.a., iscritta al n. 4 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1998.

Visto l'atto di costituzione dell'ENEL s.p.a. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1999 il Giudice relatore Fernanda Contri;

uditi l'Avvocato Alessandro Pace per l'ENEL s.p.a. e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che nel corso di un procedimento civile, avente ad oggetto l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di fatture insolute relative alla fornitura di energia elettrica, il Giudice di pace dell'Aquila, con ordinanza emessa il 3 novembre 1997, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1469-bis del codice civile, nella parte in cui "definisce consumatore solo la persona fisica e non anche la persona fisica che agisce per scopi imprenditoriali e quella giuridica";

che nel giudizio a quo, come espone in fatto il rimettente, la parte opponente ha contestato l’efficacia della clausola contrattuale di deroga alla competenza territoriale, anche ai sensi dell’art. 1469-bis del codice civile, mentre la parte opposta ha dedotto l’inapplicabilità alla fattispecie di tale norma, dal momento che la società opponente non può definirsi consumatore ai sensi della citata disposizione, che attribuisce tale qualità soltanto alla persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta;

che il rimettente, dopo aver osservato che l’interpretazione letterale della indicata norma induce a restringere l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina in esame alle sole persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale, reputa del tutto ingiustificata l’esclusione delle persone giuridiche e delle persone fisiche agenti per scopi imprenditoriali o professionali dalla categoria dei consumatori tutelati dalle norme in questione;

che, in particolare, non avrebbe alcun fondamento, ad avviso del giudice a quo, la scelta del legislatore di limitare la tutela alle sole persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale, essendo in tal modo discriminati gli artigiani, i piccoli imprenditori, gli imprenditori agricoli e le imprese familiari, che pure devono intendersi consumatori;

che tale ingiustificata limitazione determinerebbe quindi per il rimettente non solo una mancanza di tutela del lavoro in tutte le sue forme ma anche la violazione del principio di eguaglianza, in quanto il trattamento differenziato delle categorie di consumatori non sarebbe sorretto da un’apprezzabile ragione di carattere costituzionale;

che si é costituita nel giudizio innanzi alla Corte la parte opposta del giudizio a quo, concludendo per l’inammissibilità o, comunque, per l’infondatezza della questione;

che, in particolare, ad avviso della detta parte, la questione sarebbe inammissibile, in quanto il contratto contenente la clausola di deroga alla competenza territoriale é stato concluso in data 15 febbraio 1986, con la conseguente inapplicabilità della disciplina sopravvenuta, posto che l’art. 10, comma 1, della direttiva 93/13/CEE, di cui la legge n. 52 del 1996 costituisce attuazione, stabilisce l’applicabilità delle relative disposizioni ai contratti stipulati dopo il 31 dicembre 1994;

che la questione sarebbe comunque infondata, poichè il legislatore italiano ha integralmente recepito i criteri enunciati nella direttiva, non ritenendo, in forza di proprie scelte discrezionali insindacabili, di estendere la disciplina a soggetti diversi;

che la pretesa disparità di trattamento tra il consumatore e l’imprenditore sarebbe del tutto insussistente, in considerazione della diversità ontologica delle situazioni in cui tali soggetti versano, la cui parificazione anzi darebbe luogo a profili di incostituzionalità;

che ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione;

che, ad avviso della difesa erariale, la nozione di consumatore é riferibile soltanto alla persona fisica che agisce per il soddisfacimento di propri bisogni di vita e quindi al di fuori di un’attività di carattere speculativo o di un'attività produttiva di reddito;

che la tutela é ragionevolmente esclusa rispetto a quelle attività dirette alla realizzazione di un profitto o di un reddito, "in quanto il soggetto economico può, in relazione all’aumento di costi derivanti dall’onerosità della clausola accettata, riversare sul prezzo delle sue prestazioni e quindi " sul mercato " il danno subito";

che pertanto la scelta del legislatore non solo é dotata di logica razionale, ma non risulta nemmeno punitiva del diritto al lavoro, nè lesiva del diritto d’impresa;

che in prossimità dell’udienza la difesa della parte privata ha depositato memoria illustrativa, chiedendo che sia disposta la restituzione degli atti al giudice a quo, perchè verifichi la effettiva data di stipulazione del contratto, peraltro erroneamente indicata nell’ordinanza, ed integri la motivazione sulla rilevanza della questione sotto il profilo temporale.

Considerato che, come risulta dagli atti del giudizio a quo, la data di stipulazione del contratto di somministrazione di energia elettrica, contenente la contestata clausola di deroga alla competenza territoriale, risale all’anno 1986;

che detto contratto era in corso allorchè é entrato in vigore l’art. 25 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 1994), la quale, in attuazione della direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, ha disciplinato i contratti del consumatore, introducendo gli artt. 1469-bis e seguenti del codice civile;

che quindi il rimettente avrebbe dovuto preliminarmente verificare l’applicabilità della suddetta disciplina al contratto in questione, essendo subordinata a tale positivo accertamento la rilevanza stessa della prospettata questione di legittimità costituzionale;

che, invece, l’ordinanza di rimessione é del tutto priva di motivazione sul punto, poichè la rilevanza della questione é solo apoditticamente affermata, senza l’esplicitazione, sia pure sommaria, delle ragioni che diano conto dell’effettuata verifica del citato profilo preliminare, relativo all’applicabilità della norma impugnata alla fattispecie sottoposta all’esame del rimettente;

che la questione deve pertanto dichiararsi manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1469-bis del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione, dal Giudice di pace dell’Aquila con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 30 giugno 1999.