Ordinanza n. 279/99

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ORDINANZA N. 279

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 13, commi 1 e 14, e 15, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 541 (Attuazione della direttiva 92/28/CEE concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano), promosso con ordinanza emessa il 12 gennaio 1999 dal Pretore di Milano, sezione distaccata di Cassano D’Adda, iscritta al n. 207 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1999 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 12 gennaio 1999, pervenuta a questa Corte il 22 marzo 1999, il Pretore di Milano, sezione distaccata di Cassano d’Adda, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, in relazione all’art. 2, comma 1, lettera d, della legge 19 dicembre 1992, n. 489, del combinato disposto degli articoli 13, commi 1 e 14, e 15, comma 1, del d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 541 (Attuazione della direttiva 92/28/CEE concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano);

che l’art. 13, comma 1, del predetto d. lgs. n. 541 del 1992 stabilisce che "i campioni gratuiti di un medicinale per uso umano possono essere rimessi solo ai medici autorizzati a prescriverlo", mentre il comma 14 dello stesso art. 13 dispone che per le relative violazioni si applica il disposto dell’articolo 15;

che l’art. 15, comma 1, primo periodo, del medesimo decreto legislativo stabilisce che le violazioni delle disposizioni del decreto medesimo "sulla pubblicità presso gli operatori sanitari comporta l’irrogazione delle sanzioni penali previste dall’articolo 201 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e successive modificazioni";

che per le contravvenzioni alle disposizioni in tema di pubblicità dei medicinali previste dall’art. 201 del citato testo unico delle leggi sanitarie é comminata, dal quinto comma dello stesso art. 201, la pena dell’arresto fino a tre mesi e dell’ammenda da lire 200.000 a lire 1.000.000;

che il remittente premette di dover giudicare un soggetto imputato di avere inviato prodotti omeopatici a farmacisti, in violazione del citato art. 13, comma 1, del d. lgs. n. 541 del 1992, che come si é detto prevede la distribuzione di campioni di medicinali solo ai medici, e di ritenere di non potere, allo stato, prosciogliere l’imputato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., donde discenderebbe la rilevanza della questione di legittimità costituzionale;

che, ad avviso del remittente, mentre sarebbe del tutto rispondente alla delega la scelta del legislatore delegato di sanzionare penalmente la condotta di chi viola l’art. 13, comma 1, del decreto legislativo distribuendo campioni gratuiti di prodotti omeopatici a soggetti diversi dai medici, mirando la norma a tutelare l’interesse generale al corretto svolgimento della pubblicità di tali prodotti, la statuizione della pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda apparirebbe invece non conforme ai criteri della delega di cui all’art. 2, comma 1, lettera d, della legge n. 489 del 1992, il quale prevede "la pena dell’arresto e dell’ammenda per le infrazioni che espongono a pericolo grave o a danno l’interesse protetto";

che, secondo il giudice a quo, la distribuzione di campioni gratuiti di prodotti omeopatici ai farmacisti non parrebbe, infatti, esporre a pericolo grave o a danno l’interesse protetto, tenuto conto della qualità dei soggetti destinatari della distribuzione, qualificati e legittimati a vendere gli stessi prodotti acquistandoli dai produttori;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che analoga questione, avente ad oggetto, sempre sotto il profilo della asserita violazione dei criteri della delega, la stessa norma sanzionatoria, e la norma precettiva di cui all’art. 13, comma 2, del medesimo d. lgs. n. 541 del 1992, é stata dichiarata manifestamente infondata da questa Corte con l’ordinanza n. 209 del 1999, sulla base di considerazioni sostanzialmente estensibili anche alla questione in esame;

che neppure l’odierno remittente pone in dubbio che le norme in materia di pubblicità dei medicinali rientrino fra quelle per la cui violazione la legge di delega prevede possano essere comminate sanzioni penali, nè qualifica le violazioni in questione come mere "infrazioni formali" (per le quali la legge di delega prevede che sia comminata la pena della sola ammenda), limitandosi a contestare che la distribuzione di campioni gratuiti di prodotti omeopatici a farmacisti costituisca una violazione tale da esporre a pericolo grave o a danno l’interesse protetto, cioé che ricorra il presupposto al quale la legge di delega condiziona la previsione della pena dell’arresto e dell’ammenda;

che l’apprezzamento della gravità del pericolo cui vengono esposti gli interessi protetti comporta un largo margine di discrezionalità, nella specie esercitato dal legislatore delegato – scegliendo di comminare per tutte le condotte considerate, poste in essere in violazione delle norme sulla pubblicità dei farmaci presso gli operatori sanitari, la stessa pena già prevista dalla legge previgente, e confermata dal decreto legislativo delegato in questione (art. 6, comma 10), per le infrazioni alle norme sulla pubblicità dei medicinali presso i consumatori – senza che possano dirsi palesemente violati i margini di tale discrezionalità;

che, in particolare, non appare manifestamente incongruo considerare tale da esporre a pericolo grave gli interessi medesimi la condotta posta in essere in violazione del divieto, sancito dall’art. 13, comma 1, del decreto legislativo in esame, di rimettere campioni gratuiti di un medicinale per uso umano a soggetti diversi dai medici, autorizzati a prescriverlo;

che, peraltro, la minore o maggiore gravità della condotta, nei singoli casi, é apprezzabile dal giudice ai fini della determinazione in concreto della pena fra il minimo e il massimo previsti dalla legge, senza che confligga di per sè con la Costituzione la previsione di un’unica pena, graduabile in concreto, per una pluralità di condotte di diversa gravità (cfr. sentenze n. 285 del 1991; n. 84 del 1997);

che restano invece fuori dall’ambito del giudizio della Corte eventuali questioni relative all’applicabilità – presupposta dal giudice a quo in sede di valutazione della rilevanza – della normativa in questione ai prodotti omeopatici;

che pertanto la questione deve ritenersi manifestamente infondata.

Visti gli artt 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 13, commi 1 e 14, e 15, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 541 (Attuazione della direttiva 92/28/CEE concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, in relazione all’art. 2, comma 1, lettera d, della legge 19 dicembre 1992, n. 489 (Disposizioni in materia di attuazione di direttive comunitarie relative al mercato interno), dal Pretore di Milano, sezione distaccata di Cassano d’Adda, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 30 giugno 1999.