Ordinanza n. 268/99

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ORDINANZA N.268

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 230, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), così come richiamato dall’art. 4, comma 6, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, promossi con 2 ordinanze emesse il 10 dicembre 1998 ed il 18 gennaio 1999 dal Pretore di Milano, sezione distaccata di Legnano, iscritte ai nn. 137 e 179 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale nn. 11 e 13, prima serie speciale, dell’anno 1999.

  Visti agli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1999 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con due ordinanze di identico tenore, il Pretore di Milano, sezione distaccata di Legnano, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 1, comma 230, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), così come richiamato dall’art. 4, comma 6, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, nella parte in cui non prevede che, oltre i provvedimenti di esecuzione, i provvedimenti di merito in corso in qualsiasi stato e grado siano "sospesi per effetto della domanda di regolarizzazione e subordinatamente al puntuale pagamento delle somme determinate agli effetti del presente articolo alle scadenze dallo stesso previste";

che il remittente premette che l’art. 4 del d.l. n. 79 del 1997 prevede la regolarizzazione delle posizioni debitorie relative a omissioni o ritardi nel versamento di contributi previdenziali e assistenziali, anche attraverso il pagamento in trenta rate bimestrali, e richiama, estendendone la portata, la disposizione dell’art. 1, comma 230, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, secondo la quale la regolarizzazione estingue i reati connessi con la denuncia e con i versamenti contributivi, e sono sospesi, per effetto della domanda di regolarizzazione e subordinatamente al puntuale pagamento delle somme dovute alle scadenze previste, solo i provvedimenti di esecuzione in corso, in qualsiasi fase e grado;

che, ad avviso del giudice a quo, tale disciplina, non prevedendo la sospensione dei procedimenti penali in corso, come era invece previsto dall’art. 3, comma 9, del d.l. n. 103 del 1991, convertito dalla legge n. 166 del 1991, non consentirebbe al debitore, che pure é ammesso alla regolarizzazione mediante il pagamento rateale, di ottenere, fino al completo pagamento, il beneficio della estinzione del reato, realizzandosi così una ingiustificata disparità di trattamento, in sede giurisdizionale, fra chi é in grado di versare in unica soluzione la somma dovuta, e chi invece, per le proprie condizioni economiche, deve avvalersi del pagamento rateale;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque manifestamente infondata.

Considerato che le due ordinanze sollevano identica questione, onde i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica pronunzia;

che analoga questione, in riferimento allo stesso parametro, sollevata con riguardo all’art. 1, comma 230, della legge n. 662 del 1996, é stata dichiarata da questa Corte manifestamente infondata con l’ordinanza n. 142 del 1999, in cui si é chiarito, fra l’altro, che la disciplina denunciata, pur dando luogo ad una disarmonia fra normativa amministrativa e normativa penale connessa, non si appalesa costituzionalmente illegittima, poichè il debitore che fa ricorso alla regolarizzazione mediante il pagamento rateale non può vantare una pretesa costituzionalmente protetta a vedere sospeso il procedimento penale in attesa del completamento del pagamento delle somme dovute; e che la disparità fra chi é in grado di pagare in unica soluzione e chi ricorre alla rateizzazione é insita nel meccanismo normativo che subordina la estinzione del reato al pagamento di somme, senza che ciò costituisca, di per sè, violazione della Costituzione, nè dà luogo ad irragionevoli disparità di trattamento, ancorchè il mancato coordinamento fra normativa amministrativa e normativa penale possa incidere sull’efficacia dell’incentivo alla regolarizzazione predisposto dal legislatore;

che le ordinanze in esame non recano argomenti nuovi o comunque tali da indurre questa Corte a modificare il proprio orientamento;

che pertanto anche la questione qui sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 230, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), come richiamato dall’art. 4, comma 6, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Milano, sezione distaccata di Legnano, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 giugno 1999.