Ordinanza n. 261/99

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ORDINANZA N. 261

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3 e 4 del decreto-legge 28 marzo 1996, n. 166 (Norme in materia previdenziale), promosso con ordinanza emessa il 10 maggio 1996 dal Pretore di Brescia sul ricorso proposto da Boldini Margherita contro l'INPS, iscritta al n. 1174 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1996.

  Visto l'atto di costituzione dell'INPS;

  udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

  Ritenuto che, nel corso di un giudizio instaurato per ottenere la ricostruzione di un trattamento pensionistico in base alla sentenza n. 495 del 1993 della Corte costituzionale, il Pretore di Brescia, con ordinanza emessa il 10 maggio 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 28 marzo 1996, n. 166 (Norme in materia previdenziale);

  che, secondo il rimettente, la censurata disciplina - sopravvenuta nelle more del giudizio e contenente una serie di disposizioni dirette a risolvere il problema del rimborso delle somme maturate dagli aventi diritto in applicazione delle citate sentenze della Corte costituzionale - viola l'art. 3 Cost., per irragionevolezza intrinseca del complessivo contesto normativo dell'intero articolo, viziato da lacune ed imperfezioni, afferenti in particolare: a) alla definizione in termini di "rimborso" di quanto spettante ai ricorrenti; b) alla difficile individuazione dei superstiti aventi diritto ai rimborsi stessi; c) alla esclusione di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme dovute; d) alla previsione dell'estinzione d'ufficio dei giudizi pendenti; e) alla mancanza di un'integrale copertura finanziaria della spesa prevista;

  che si é costituito in giudizio l'INPS, concludendo per la non fondatezza della sollevata questione.

  Considerato che il contenuto del censurato decreto-legge n. 166 del 1996, non convertito, é stato reiterato con i decreti-legge 27 maggio 1996, n. 295, 26 luglio 1996, n. 396 e 24 settembre 1996, n. 499, tutti recanti le stesse disposizioni denunciate e tutti decaduti;

  che gli effetti di tali decreti-legge sono stati fatti salvi dall’art. 1, comma 6, della legge 28 novembre 1996, n. 608, e che la successiva legge 23 dicembre 1996, n. 662 (art. 1, commi 181, 182 e 183) ha          il medesimo contenuto della censurata normativa decretale;

  che, medio tempore, il decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito in legge 28 maggio 1997, n. 140, é intervenuto sul complessivo denunciato meccanismo di rimborso dei relativi crediti mediante emissione dei titoli di Stato, prevedendone viceversa il pagamento in contanti, pur se con le medesime cadenze temporali;

  che, ancora successivamente, la legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha altresì previsto l'erogazione di una somma pari al 5% a titolo d'interessi sugli arretrati maturati alla data del 31 dicembre 1995 (art. 36, comma 1) e l'inclusione, tra gli aventi diritto al pagamento degli arretrati, degli eredi dell'interessato anche allorchè il decesso di questi sia avvenuto anteriormente al 30 marzo 1996 (art. 36, comma 2);

  che, inoltre, l'art. 73, comma 4, della stessa legge ha precisato la portata applicativa della c.d. clausola di salvezza contenuta nell'art. 1, comma 6, della legge 28 novembre 1996, n. 608, interpretandola nel senso che tra gli effetti fatti salvi da questa norma va inclusa l'inefficacia dei provvedimenti giudiziali emessi in materia;

  che, così disponendo, il legislatore ha notevolmente inciso sulla normativa denunciata, e dunque il giudice a quo deve procedere ad una nuova valutazione della rilevanza della sollevata questione (cfr. ordinanze nn. 31, 165 e 166 del 1999);

  che, pertanto, si rende necessaria la restituzione degli atti al giudice stesso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  ordina la restituzione degli atti al Pretore di Brescia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 giugno 1999.