Ordinanza n. 256/99

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ORDINANZA N. 256

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 118, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n.385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), promosso con ordinanza emessa il 17 luglio 1998 dalla Corte d’appello di Torino nel procedimento civile vertente tra Failla s.n.c. ed altri e il Banco di Sicilia s.p.a., iscritta al n. 789 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 1998.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 12 maggio 1999 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

  Ritenuto che con ordinanza emessa il 17 luglio 1998 la Corte d’appello di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 118, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), limitatamente all’inciso "é convenuta la facoltà di modificare unilateralmente", cioé nella parte in cui, nei contratti bancari di durata, fa dipendere le variazioni degli effetti delle clausole contrattuali sfavorevoli al cliente dall’esercizio, appunto, della convenuta facoltà di modificare unilateralmente dette clausole;

che questa norma, ad avviso del giudice rimettente, violerebbe gli art. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, eccedendo dalla delega legislativa concessa al Governo con l’art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, recante "Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee (legge comunitaria per il 1991)";

  che la controversia all’esame della Corte d’appello di Torino riguarda, secondo quanto riferisce lo stesso giudice, la domanda della parte appellante - che aveva contratto un mutuo fondiario convenendo che le rate semestrali di ammortamento fossero correlate alle variazioni del cambio della lira italiana rispetto all’ECU - di restituzione della maggior somma in lire, versata alla banca nel periodo gennaio 1994-novembre 1996, in ragione della svalutazione di questa moneta; ciò che, ad avviso dello stesso giudice, generando effetti sfavorevoli per il cliente della banca, renderebbe applicabile l’art. 118, comma 1, del decreto legislativo n. 385 del 1993;

  che il vizio di eccesso di delega é stato prospettato considerando che l’art. 25, comma 2, della legge n. 142 del 1992 ha attribuito al Governo il potere di emanare un testo unico delle disposizioni adottate a seguito dell’attuazione della direttiva comunitaria 89/646/CEE, coordinato con le altre disposizioni vigenti nella stessa materia, apportandovi le modifiche necessarie a tale fine; mentre il legislatore delegato non si sarebbe limitato al previsto coordinamento, ma avrebbe mutato sostanzialmente, in senso più restrittivo per il cliente della banca, la disciplina anteriore, introducendo un requisito per l’applicazione dei mutamenti delle condizioni contrattuali in precedenza non previsto; difatti, secondo la norma denunciata, sarebbe sufficiente che le parti abbiano convenuto la facoltà di modifica unilaterale dei tassi, dei prezzi e delle altre condizioni, mentre, secondo la disciplina anteriore (art. 6 della legge 17 febbraio 1992, n. 154, recante "Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari"), la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali sarebbe stata possibile solo al verificarsi di situazioni oggettive;

  che nel giudizio dinanzi alla Corte é intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, per manifesta irrilevanza del dubbio di legittimità costituzionale, giacchè, nel caso sottoposto all’esame del giudice rimettente, l’effetto sfavorevole per il cliente non sarebbe frutto della facoltà, consensualmente attribuita in via preventiva alla banca, di mutare le condizioni contrattuali - situazione questa disciplinata dall’art. 118 del testo unico e, in precedenza, dall’art. 6 della legge n. 154 del 1992 - ma sarebbe soltanto l’effetto diretto ed immediato del rischio economico di cambio, che i contraenti si sono accollati stipulando il contratto in una moneta non avente corso legale nello Stato (art. 1278 cod. civ.); la questione sarebbe, comunque, ad avviso dell’Avvocatura, infondata nel merito, giacchè il decreto legislativo n. 385 del 1993 non avrebbe apportato alcuna sostanziale modifica alla disciplina in precedenza vigente.

Considerato che la Corte d’appello di Torino denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 118, comma 1, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385), che, nel disciplinare le attività svolte dalle banche e dagli intermediari finanziari, regola la facoltà, convenuta dalle parti, di modifica unilaterale dei tassi, dei prezzi e delle altre condizioni contrattuali, prevedendo che le variazioni sfavorevoli sono comunicate al cliente nei modi e nei termini stabiliti dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio;

che, nel caso sottoposto al giudizio della Corte d’appello di Torino, dall’ordinanza di rimessione risulta che la variazione sfavorevole al cliente deriverebbe non già dall’esercizio della facoltà di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, ipotesi questa disciplinata dall’art. 118 del decreto legislativo n. 385 del 1993, ma dal rischio economico di cambio che i contraenti hanno assunto stipulando il contratto di mutuo in Ecu, ciò che comporta il pagamento in moneta legale al corso del cambio nel giorno della scadenza stabilito per il pagamento (art. 1278 cod. civ.); nè, d’altra parte, l’ordinanza di rimessione chiarisce come possa essere qualificata modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, la sola disciplinata dalla disposizione denunciata, la determinazione oggettiva, contrattualmente e preventivamente stabilita dalle parti, dell’ammontare del debito in una moneta il cui valore, ragguagliato in lire, può variare nel tempo;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, restando assorbita ogni ulteriore valutazione in ordine alla persistente applicabilità fino all’entrata in vigore dei provvedimenti emanati dalle autorità creditizie (art. 161, comma 2, dello stesso decreto legislativo n. 385 del 1993) - applicabilità non considerata dall’ordinanza di rimessione - delle disposizioni anteriori alla entrata in vigore del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, contenute nella legge 17 febbraio 1992, n. 154.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 118, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 giugno 1999.