Ordinanza n. 250/99

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ORDINANZA N. 250

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 210, comma 4, e 513, comma 2, del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, e dell'art. 6 della stessa legge (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promossi con ordinanze emesse il 2 aprile 1998 dal Tribunale di Bergamo nel procedimento penale a carico di C. C. ed altri, e il 18 giugno 1998 dal Tribunale di Trani nel procedimento penale a carico di C.G. ed altri, iscritte rispettivamente ai nn. 853 e 862 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Bergamo (r.o. n. 853 del 1998) e il Tribunale di Trani (r.o. n. 862 del 1998) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, 97, 101, 102, primo comma, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 210, comma 4, e 513, comma 2, del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), nonchè dell'art. 6 della medesima legge;

che i rimettenti censurano l'art. 210, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che l’imputato in procedimento connesso, che abbia reso in precedenza dichiarazioni direttamente o indirettamente indizianti a carico di altri soggetti non presenti nel momento in cui tali dichiarazioni venivano rilasciate, possa avvalersi della facoltà di non rispondere nel dibattimento a carico di tali persone, e l'art. 513, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui subordina all’accordo delle parti la lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni erga alios precedentemente rese;

che, a parere dei giudici rimettenti, sarebbe violato l'art. 3 Cost. perchè le disposizioni censurate disciplinano irragionevolmente in modo diverso la utilizzabilità degli atti a seconda che si tratti di testimoni o altri dichiaranti in relazione ai quali non é possibile ottenere la presenza o procedere all’esame per fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni, ovvero di dichiaranti che si avvalgono della facoltà di non rispondere, dal momento che l’irripetibilità dell’atto é imprevedibile anche quando dipende da una scelta rimessa all’arbitrio del soggetto;

che sarebbe di conseguenza violato anche l'art. 112 Cost., perchè l'ostacolo alla acquisizione della prova renderebbe non effettivo l'esercizio della azione penale;

che il Tribunale di Bergamo ritiene, inoltre, che siano violati anche gli artt. 24, 25, secondo comma, 101, 102, primo comma, e 111 Cost., perchè la ricerca della verità - cui sarebbe funzionale la non dispersione degli elementi di prova legittimamente e doverosamente raccolti durante le indagini - necessaria per pervenire ad una giusta decisione e alla punizione dei colpevoli, verrebbe condizionata dalla volontà dei dichiaranti o di parti controinteressate: così ostacolandosi l'esercizio del diritto di difesa dell’accusato, la realizzazione del contraddittorio e dei principi di uguaglianza e legalità, e violandosi, infine, i principi del libero convincimento del giudice, della sua sottoposizione solamente alla legge e della indefettibilità della giurisdizione;

che il Tribunale di Trani ritiene che gli artt. 210 e 513, comma 2, cod. proc. pen. siano in contrasto anche con l'art. 97 Cost. perchè determinerebbero un rilevante spreco della attività "amministrativa" finalizzata all’espletamento delle indagini e all’introduzione del giudizio dibattimentale, vanificata in conseguenza della impossibilità, non prevedibile, di utilizzare una fonte di prova;

che il medesimo rimettente dubita, inoltre, della legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267, nella parte in cui non estende il regime transitorio - previsto dai commi 2 e 5 - ai giudizi in corso anche quando al momento dell'entrata in vigore della legge n. 267 del 1997 non sia ancora stata disposta la lettura delle dichiarazioni rese dalle persone indicate dall'art. 513 cod. proc. pen. che si avvalgono in dibattimento della facoltà di non rispondere;

che a parere del Tribunale di Trani tale disposizione violerebbe l'art. 3 Cost. perchè disciplina irragionevolmente in maniera diversa l'acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali rese dagli imputati di reato connesso, a seconda che tali soggetti abbiano esercitato la facoltà di non rispondere prima o dopo l'entrata in vigore della legge, così facendo dipendere da circostanze temporali meramente casuali regole diverse di utilizzazione probatoria;

che tutte le questioni sono state sollevate nel corso di giudizi di primo grado nei quali la difesa degli imputati non ha consentito alla utilizzazione delle dichiarazioni erga alios rese durante la fase delle indagini da persone che, citate a dibattimento per la prima volta dopo l’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, si erano avvalse della facoltà di non rispondere ai sensi dell'art. 210 cod. proc. pen.;

che nei giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate, riportandosi integralmente agli atti di intervento relativi ai giudizi di costituzionalità promossi con le ordinanze nn. 776 e 787 del r.o. del 1997 e decisi con la sentenza n. 361 del 1998.

Considerato che tutte le ordinanze di rimessione sottopongono a censura la facoltà, riconosciuta alle persone indicate dall’art. 210, comma 1, cod. proc. pen., di avvalersi, a norma del comma 4 del medesimo articolo, della facoltà di non rispondere;

che l’esercizio di tale facoltà viene denunciato in relazione al regime di inutilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza dell’accordo delle parti, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dall’imputato in procedimento connesso, alla stregua delle modifiche apportate dalla legge n. 267 del 1997 all’art. 513, comma 2, cod. proc. pen., anch’esso sottoposto a scrutinio di legittimità costituzionale;

che, attesa la sostanziale identità delle questioni, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che, successivamente all’emissione delle ordinanze, questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul quadro normativo risultante dal disposto degli artt. 210 e 513 cod. proc. pen.;

che con tale sentenza la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 513, comma 2, cod. proc. pen. "nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla lettura si applica l’art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di procedura penale";

che con la medesima sentenza la Corte, respingendo le censure nei confronti dell’art. 210, comma 4, cod. proc. pen., ha rilevato che l’attuale qualificazione come imputati dei soggetti indicati in tale norma rende coerente la scelta del legislatore di attribuire loro la facoltà di non rispondere, ed ha individuato lo strumento per porre rimedio alle denunce di incostituzionalità rivolte all’art. 210 cod. proc. pen. nell’estensione all’esame dell’imputato in procedimento connesso su fatti concernenti la responsabilità di altri della disciplina delle contestazioni prevista dall’art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen.;

che infine, in relazione alle questioni concernenti la disciplina transitoria, nella citata sentenza la Corte aveva rilevato che, a seguito della modifica della disciplina a regime e della possibilità, così introdotta, di "recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza", doveva essere valutato dai rimettenti se le questioni potessero considerarsi superate;

che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti affinchè verifichino se, alla luce della disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Bergamo e al Tribunale di Trani.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria l’17 giugno 1999.