Ordinanza n. 231/99

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ORDINANZA N. 231

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), promosso con ordinanza emessa il 20 ottobre 1998 dalla Corte d'assise di Roma, iscritta al n. 884 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 51 dell'anno 1998.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 aprile 1999 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che, con ordinanza in data 20 ottobre 1998, la Corte d'assise di Roma, chiamata a pronunciarsi, nel corso di un procedimento penale per omicidio premeditato, su due istanze di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, secondo e terzo comma, e 36, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui prevede che l'istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve essere, a pena di inammissibilità, sottoscritta dall'interessato e non estende la possibilità di sottoscrizione anche al suo difensore o ai suoi familiari;

che il remittente premette che il giudizio innanzi a lui pendente si svolge nei confronti di due imputati latitanti, i cui difensori d'ufficio hanno sottoscritto istanza per l'ammissione dei rispettivi assistiti al patrocinio a spese dello Stato, e che la documentazione acquisita dimostrerebbe la sussistenza delle condizioni indicate nell'art. 3 della legge n. 217 del 1990;

che all'accoglimento di dette istanze osterebbe, però, l'art. 2, comma 2, della legge citata, che richiede la sottoscrizione dell'interessato a pena di inammissibilità;

che, secondo il giudice a quo, l'eccezione di illegittimità costituzionale di quest'ultima disposizione, sollevata dai difensori dei due imputati, non apparrebbe manifestamente infondata, giacchè l'autenticazione della sottoscrizione del latitante ad opera del difensore o del funzionario competente comporterebbe difficoltà di ordine pratico spesso insuperabili e potrebbe "implicare responsabilità penalistiche e comunque censure sul piano della deontologia professionale";

che conseguentemente ¾ rileva il remittente ¾ al latitante sarebbe di fatto precluso il godimento dei diritti previsti dalla legge sul patrocinio a spese dello Stato, con violazione degli artt. 3, secondo comma, e 24, secondo e terzo comma, della Costituzione, disposizioni che, senza distinguere tra imputati liberi e imputati latitanti, assicurano ai non abbienti il diritto di difesa ed i mezzi per agire e difendersi innanzi ad ogni giurisdizione;

che, infine, l'inadempimento dell'onere di sottoscrivere l'istanza posto a carico dell'interessato si risolverebbe in un danno per il suo difensore, il quale, a norma dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità delle prestazioni svolte;

che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che a mente dell'art. 2, comma 2, della legge n. 217 del 1990 l'istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve essere sottoscritta dall'interessato a pena di inammissibilità, non essendo tale attività delegabile al difensore, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità;

che la ragione per la quale il diritto é riservato personalmente all'interessato risulta evidente sol che la previsione dell'art. 2, comma 2, venga letta congiuntamente all'art. 5, concernente il contenuto dell'istanza;

che, infatti, oltre alla richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, all'indicazione del processo a cui si riferisce, alle generalità dell'interessato e dei componenti la sua famiglia anagrafica, l'istanza deve contenere anche un'autocertificazione attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per poter fruire del beneficio, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile, nonchè l'impegno di effettuare periodiche comunicazioni ai fini del controllo dell'eventuale superamento dei limiti di reddito;

che, come questa Corte ha più volte rilevato, l'autocertificazione dell'interessato ha un ruolo centrale nel sistema della legge n. 217 del 1990 in tutto rispondente alle esigenze di una tutela la più sollecita possibile del diritto di difesa dei non abbienti, poichè é in base ad essa che il giudice, mediante semplice riscontro formale, ammette l'istante al patrocinio a spese dello Stato, senza alcuna verifica o controllo preventivi (sentenza n. 144 del 1992; ordinanze nn. 244 e 386 del 1998);

che l'unica condizione posta dal legislatore nel prefigurare un procedimento così celere - nel quale i controlli sono compiuti dall'intendente di finanza solo dopo il provvedimento di ammissione (art. 6, comma 3) - é che le dichiarazioni rilevanti siano rese personalmente dall'interessato, prevedendosi a garanzia della veridicità di queste l'applicazione delle norme del Libro II Titolo VII del codice penale per le ipotesi di falsità o di omissioni (art. 5, comma 7);

che tale cautela minima, in un sistema che facilita al massimo l'accesso dei non abbienti al patrocinio a spese dello Stato, non può essere eliminata con una sentenza di questa Corte senza che ne risulti stravolta l'equilibrata scelta del legislatore, giacchè gli strumenti surrogatori, suggeriti dal remittente, quali la sottoscrizione del difensore o di un familiare, non sarebbero assistiti dalla medesima garanzia rappresentata dalla piena assunzione di responsabilità penale dell'interessato per l'ipotesi di non veridicità;

che, quanto alla violazione dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, prospettata sulla premessa che in assenza dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato il difensore dell'imputato non abbiente non potrebbe essere adeguatamente remunerato per l'opera professionale prestata, va rilevato che l'interessato ha comunque l'obbligo di retribuire il difensore che eventualmente gli sia stato nominato d'ufficio (art. 31 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, e art. 8 della legge n. 217 del 1990), e che la sua presumibile non solvibilità é inconveniente al quale non é possibile ovviare consentendo al difensore di sottoscrivere istanze e dichiarazioni che nel vigente sistema processuale sono configurate, non irragionevolmente, come strettamente riservate alla parte;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), sollevata, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, secondo e terzo comma, e 36, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d'assise di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria l’11 giugno 1999.