Ordinanza n. 205/99

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ORDINANZA N. 205

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma 2, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro), promossi con sei ordinanze emesse il 17 dicembre 1997, il 17 febbraio, il 21 maggio, il 6 ed il 16 giugno (n. 2 ordinanze) 1998 dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Pistoia, rispettivamente iscritte ai nn. 642, 643, 681, 682, 683, 684 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38 e 40, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Udito nella camera di consiglio del 28 aprile 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con sei ordinanze di analogo tenore, pronunciate in altrettanti procedimenti nei quali il pubblico ministero, in mancanza di apposite prescrizioni impartite al contravventore dall’organo di vigilanza, aveva chiesto l’emissione del decreto penale di condanna, il Giudice per le indagini preliminari della Pretura circondariale di Pistoia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione - in relazione all’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 6 dicembre 1993, n. 499, contenente delega al Governo per la riforma dell’apparato sanzionatorio in materia di lavoro -, questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro), nella parte in cui non prevede che l’organo di vigilanza ammetta obbligatoriamente il contravventore al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la violazione anche nel caso in cui non venga impartita alcuna prescrizione per la materiale impossibilità della sua emanazione;

che, in particolare, nelle ordinanze di rimessione r.o. nn. 681–684 del 1998 il giudice a quo rileva che l’organo di vigilanza aveva ritenuto di non impartire alcuna prescrizione a norma dell’art. 20 del citato decreto legislativo, in quanto si trattava di <<reato già consumato e non ottemperabile>>, mentre nelle ordinanze r.o. nn. 642 e 643 del 1998 l’impossibilità di impartire la prescrizione é stata specificamente ricollegata alla natura della violazione contestata;

  che, ad avviso del giudice rimettente, la disciplina denunciata si porrebbe in contrasto:

- con l’art. 3 Cost., in quanto farebbe irragionevolmente dipendere la possibilità di definire in via amministrativa il procedimento dalla natura della violazione, ossia da un elemento estraneo alla volontà del contravventore, ovvero dalla insindacabile discrezionalità dell’organo di vigilanza di impartire la prescrizione, e determinerebbe disparità di trattamento tra il contravventore a cui venga imposta una prescrizione che gli consente di definire la violazione contestata avvalendosi della procedura amministrativa prevista dalla legge, e il contravventore al quale non venga impartita alcuna prescrizione, che si vedrebbe preclusa la possibilità di definire in via amministrativa il procedimento penale a suo carico;

- con l’art. 76 Cost., per violazione della direttiva contenuta nell’art. 1, comma 1, lettera b) della legge n. 499 del 1993, che delega il Governo a stabilire una causa di estinzione dei reati in materia di tutela della sicurezza e dell’igiene del lavoro <<consistente nell’adempimento, entro un termine non superiore al limite fissato dalla legge, alle prescrizioni impartite dagli organi di vigilanza allo scopo di eliminare la violazione accertata, nonchè al pagamento in sede amministrativa di una somma pari ad un quarto del massimo dell’ammenda comminata per ciascuna infrazione>>, in quanto la direttiva non lascia alcun margine di discrezionalità all’organo di vigilanza, mentre nella disciplina emanata dal legislatore delegato l’obbligatorietà della prescrizione risulta condizionata dalla natura della violazione accertata.

  Considerato che, stante il contenuto pressochè identico delle sei ordinanze, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

  che analoga questione di legittimità costituzionale é già stata presa in esame da questa Corte e dichiarata manifestamente infondata con ordinanza n. 416 del 1998;

  che anche le censure di legittimità costituzionale oggetto del presente giudizio si basano sull’erroneo presupposto che, ove si tratti di reato per cui sia "ontologicamente" impossibile impartire qualsiasi prescrizione per eliminare la contravvenzione accertata, la natura del reato costituisca elemento idoneo ad incidere in termini di irragionevolezza e di ingiustificata disparità di trattamento in relazione alla applicabilità della disciplina del decreto legislativo n. 758 del 1994;

  che, al contrario, l’obiettiva diversità della struttura dei diversi reati, quale risultante dagli elementi costitutivi della fattispecie e, conseguentemente, il momento in cui si realizzano la commissione e la consumazione del reato stesso, nonchè la natura istantanea o permanente del reato, appartengono a scelte del legislatore, che nella costruzione delle fattispecie incriminatrici traduce le proprie opzioni di politica criminale, ovvero sono imposte dalla stessa natura degli obblighi e dei comportamenti di cui si vuole imporre l’osservanza mediante il ricorso alla sanzione penale;

  che pertanto eventuali trattamenti differenziati risultano giustificati dalla diversa struttura delle fattispecie incriminatrici;

che sotto questo profilo non ha pregio neppure la censura prospettata in riferimento all’art. 76 Cost., in quanto la disciplina impugnata in realtà non riconosce alcuna "discrezionalità" dell’organo di vigilanza: l’impossibilità di impartire la prescrizione – secondo la prospettazione del rimettente - é infatti una conseguenza obbligata della struttura della contravvenzione contestata, sicchè non può configurarsi alcun eccesso di delega da parte del legislatore delegante;

che questa Corte, prendendo in esame con la sentenza n. 19 del 1998 la situazione del contravventore che aveva regolarizzato la violazione prima che l’organo di vigilanza avesse impartito la prescrizione, ovvero nonostante la prescrizione fosse stata omessa o fosse stata impartita senza osservare le forme richieste dalla legge, aveva precisato che esistono soluzioni interpretative tali da consentire egualmente l’applicazione della causa estintiva del reato, idonee a <<ricondurre situazioni sostanzialmente omogenee a quelle espressamente previste dalla legge nell’alveo della procedura disciplinata dagli artt. 20 e seguenti del decreto legislativo n. 758 del 1994>>;

che tale conclusione trova il suo fondamento nella ratio del decreto legislativo n. 758 del 1994, che si propone il duplice obiettivo di favorire l’effettiva osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro - materia in cui l’interesse alla regolarizzazione delle violazioni e alla conseguente tutela dei lavoratori é prevalente rispetto all’applicazione della sanzione penale - e di attuare una consistente deflazione processuale;

che, sulla base di tale ratio, ove risultasse che le conseguenze dannose o pericolose sono venute meno grazie ad un comportamento volontario dell’autore dell’infrazione, o che il medesimo vi ha posto comunque rimedio, anche successivamente al momento di consumazione del reato, il contravventore – previa valutazione da parte dell’autorità giudiziaria della natura e delle concrete modalità di realizzazione della violazione contestata – potrebbe comunque essere ammesso, dopo avere provveduto al pagamento della somma dovuta, al procedimento di definizione in via amministrativa previsto dagli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo n. 758 del 1994;

che pertanto la questione va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura circondariale di Pistoia, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, palazzo della Consulta, il 24 maggio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 maggio 1999.