Sentenza n. 203/99

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SENTENZA N. 203

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera del Senato della Repubblica del 7 maggio 1997 con la quale é stata dichiarata l’insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore Francesco Tabladini nei confronti di Francesco Lisciotto e Anna Di Martino, promosso con ricorso del Pretore di Milano, notificato il 7 settembre 1998, depositato in cancelleria il 13 ottobre 1998 ed iscritto al n. 29 del registro conflitti 1998.

  Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;

  udito nella camera di consiglio del 14 aprile 1999 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto in fatto

  1. — Nel corso di un procedimento penale a carico, tra altri, del senatore Francesco Tabladini, il Pretore di Milano, con ordinanza emessa il 1° dicembre 1997, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica in relazione alla deliberazione del 7 maggio 1997 che ha ritenuto che i fatti per i quali il senatore Tabladini é sottoposto a procedimento penale innanzi allo stesso Pretore concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, con conseguente insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

  Il giudice ricorrente espone che il senatore Tabladini é stato citato a giudizio, in ordine al reato di cui agli artt. 110-112 numero 1, 81 e 341 cod. pen., per aver apposto su alcuni edifici del centro di Brescia, contigui alla sede della Procura della Repubblica presso il locale Tribunale, scritte lesive dell’onore e del prestigio di due magistrati in servizio, rispettivamente, presso il Tribunale di Brescia e la Procura della Repubblica presso detto Tribunale, "a causa delle loro funzioni e precisamente per aver archiviato il procedimento relativo alla costruzione dell’immobile denominato ‘Cristal Palace’".

  Nel corso del procedimento, ritenendo di non poter accogliere l’eccezione sollevata dall’imputato, il Pretore di Milano ha trasmesso copia degli atti al Senato della Repubblica, per la determinazione circa l’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, ai sensi dell’allora vigente decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 555 (Disposizioni urgenti per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione). Il Senato, approvando la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, nella seduta del 7 maggio 1997, ha deliberato che i fatti per i quali é in corso il procedimento penale concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, e ha pertanto dichiarato l’insindacabilità.

  E’ quindi contro detta delibera che il Pretore ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, ritenendo che il Senato abbia esercitato illegittimamente il proprio potere, in quanto i fatti specifici addebitati al senatore Tabladini sarebbero estranei all’ambito di operatività dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

  Le attività diverse da atti parlamentari tipici possono rientrare, secondo il ricorrente, nell’area della prerogativa costituzionale soltanto a due condizioni: a) deve trattarsi di condotta che, sebbene tenuta al di fuori del Parlamento, é tuttavia connessa all’attività parlamentare, in quanto proiezione esterna di iniziative poste in essere dalle assemblee parlamentari o dalle commissioni; b) la condotta deve essere finalizzata alla divulgazione di tali iniziative con l’utilizzo di qualsiasi mezzo lecito di comunicazione del pensiero. 0

  Ma nessuna di tali condizioni ricorrerebbe nella specie: infatti, il contenuto delle scritte non può in alcun modo essere ricondotto all’attività parlamentare, contrariamente a quanto sostenuto nel giudizio penale dalla difesa del senatore; nè l’apporre scritte sui muri può qualificarsi come un mezzo lecito di manifestazione del pensiero, in quanto rientra nell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 639 cod. pen..

  La valutazione compiuta dal Senato sarebbe quindi, secondo il ricorrente, del tutto arbitraria e svincolata dalle caratteristiche concrete del caso in questione, risultando manifesta l’estraneità della condotta del parlamentare ai concetti di "opinione" o di "esercizio delle funzioni" previsti dalla norma costituzionale; i comportamenti tenuti dal senatore Tabladini costituirebbero invece attività politica non connessa all’esercizio di attività parlamentare e come tale sottoponibile al sindacato del giudice penale, sussistendo estremi di reato.

  2. — Il conflitto é stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 300 del 18 luglio 1998 di questa Corte.

  Il Pretore di Milano ha notificato in data 7 settembre 1998 il ricorso e l’ordinanza di ammissibilità al Senato della Repubblica, depositandoli poi, insieme con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria della Corte costituzionale in data 13 ottobre 1998.

  3. —    Con atto depositato il 16 settembre 1998 si é costituito in giudizio il Senato, che, con ulteriore atto depositato il successivo 26 settembre, ha svolto le proprie deduzioni e, attraverso la ricostruzione delle vicende, parlamentari e processuali, che hanno dato origine alla pronuncia di insindacabilità e al susseguente conflitto, ha concluso nel senso dell’inammissibilità di esso - per la parte in cui mira a censurare nel merito la valutazione effettuata dal Senato - e comunque nel senso della correttezza della delibera parlamentare, argomentando la riconducibilità degli atti e dei comportamenti del senatore Tabladini all’esercizio delle sue funzioni, anche alla luce dei precedenti parlamentari in materia.

  In prossimità della camera di consiglio il Senato ha ulteriormente depositato una memoria nella quale, riassumendo le vicende del procedimento e sottolineando in particolare la tardività del deposito del ricorso da parte del ricorrente Pretore di Milano, rispetto al termine di venti giorni previsto dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, ha concluso per una declaratoria di improcedibilità del conflitto, alla luce del consolidato orientamento in tal senso della Corte costituzionale.

  Alla deduzione accennata, il Senato ha aggiunto altresì taluni ulteriori rilievi circa il venir meno dell’interesse al giudizio da parte del ricorrente, in conseguenza del mancato rispetto della sequenza di adempimenti e di termini per il conflitto: benchè non sia previsto un termine per sollevare il conflitto di attribuzioni, infatti, ad avviso del Senato, una volta che il conflitto sia sollevato ma - come é nella specie - male coltivato deve ritenersi estinta la facoltà di sollevarne uno nuovo sullo stesso oggetto e per le medesime circostanze, poichè altrimenti verrebbe meno la ratio del procedimento, che é quella di risolvere tempestivamente una situazione di contrasto dannosa per il corretto funzionamento delle istituzioni, e si aprirebbe una pericolosa incertezza nei rapporti tra poteri, soggetti a mutevoli determinazioni di uno di essi.

  Il Senato conclude pertanto per l’inammissibilità o per l’improcedibilità o comunque per il rigetto del ricorso, secondo le osservazioni formulate negli atti sopra indicati.

Considerato in diritto

  1. — E’ stato sollevato dal Pretore di Milano conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione con la quale, il 7 maggio 1997, il Senato ha ritenuto che i fatti addebitati al senatore Francesco Tabladini nel procedimento penale dinanzi allo stesso Pretore costituiscono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, e sono quindi insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

  Secondo il ricorrente, con detta deliberazione il Senato ha ricondotto alla sfera di applicabilità della prerogativa dell’insindacabilità comportamenti che non possono in alcun modo a essa ricollegarsi e in tal modo ha leso le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria.

  2. — Il ricorso, unitamente all’ordinanza n. 300 del 1998 con cui questa Corte lo ha dichiarato ammissibile, é stato notificato al Senato, a cura del ricorrente, in data 7 settembre 1998; il ricorso e l’ordinanza, con la prova dell’eseguita notificazione, sono stati depositati nella cancelleria della Corte costituzionale il successivo 13 ottobre.

  3. — Il Senato della Repubblica, tempestivamente costituitosi in giudizio, ha concluso per l’improcedibilità o l’inammissibilità del conflitto, e comunque per il rigetto di esso, ribadendo la riconducibilità delle condotte del senatore all’espressione di opinioni nell’esercizio delle funzioni parlamentari.

  4. — L’eccezione di improcedibilità che attiene alla valida instaurazione del giudizio per conflitto di attribuzione ha carattere pregiudiziale.

  4.1. — L’eccezione é fondata.

  4.2. — Nella disciplina dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, l’avvio di ciascuna delle due distinte fasi procedurali nelle quali si articola il giudizio - destinate a concludersi, la prima con la delibazione sommaria sull’ammissibilità del ricorso, e la seconda con la decisione definitiva sul merito oltre che sull’ammissibilità - é rimesso all’iniziativa della parte interessata, che, in particolare, all’esito della prima fase, ha l’onere di provvedere, nei termini previsti, non solo alla notificazione del ricorso e dell’ordinanza che lo ammette, ma anche al deposito presso la cancelleria della Corte degli atti notificati, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, ai sensi dell’art. 26, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (sentenza n. 449 del 1997).

  Al riguardo, questa Corte ha numerose volte affermato che il deposito del ricorso nel termine indicato costituisce un adempimento necessario perchè possa aprirsi la seconda fase del giudizio sul conflitto, e che l’anzidetto termine ha carattere perentorio perchè é da esso che decorre l’intera catena degli ulteriori termini stabiliti per la prosecuzione del giudizio dall’art. 26, quarto comma, delle richiamate norme integrative (v., oltre alla citata sentenza n. 449 del 1997, sentenze nn. 50 e 35 del 1999; 342 e 274 del 1998).

  4.3. — Non essendo stato rispettato l’anzidetto termine per il deposito del ricorso, non può procedersi allo svolgimento dell’ulteriore fase del giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara improcedibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Pretore di Milano nei confronti del Senato della Repubblica con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 maggio 1999.