Sentenza n. 201/99

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SENTENZA N. 201

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), in relazione all'art. 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica),promosso con ordinanza emessa il 19 febbraio 1997 dal Tribunale di Cremona nel procedimento civile vertente tra Tartari Lucio e l'INPS, iscritta al n. 269 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visti gli atti di costituzione di Tartari Lucio e dell'INPS;

  udito nella udienza pubblica del 23 marzo 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

  uditi gli avvocati Salvatore Cabibbo per Tartari Lucio e Carlo De Angelis per l'INPS.

Ritenuto in fatto

  1. - Nel corso di un giudizio di appello avverso la sentenza con cui il Pretore di Cremona aveva respinto una domanda rivolta all'INPS per il ricalcolo dell'importo della pensione d'anzianità sulla base della sola contribuzione obbligatoria, il Tribunale di Cremona, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, con ordinanza emessa il 19 febbraio 1997, questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38 della Costituzione - dell'art. 16 della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), in relazione all'art. 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamenti di fine rapporto e norme in materia pensionistica), nella parte in cui, in caso di posizione assicurativa mista (derivante, nella specie, dal cumulo di contributi obbligatori versati nella gestione dei lavoratori autonomi con quelli obbligatori e volontari versati nella gestione dei lavoratori dipendenti), non prevede che la pensione di anzianità, per la quota imputabile al periodo di iscrizione del lavoratore alla gestione dei lavoratori dipendenti, non possa essere liquidata in misura inferiore a quella calcolata sulla base del cumulo dei soli contributi obbligatori, qualora questi siano sufficienti a far maturare il diritto alla pensione.

  Il rimettente - esclusa l'applicabilità, per la diversità della fattispecie, delle sentenze della Corte costituzionale n. 307 del 1989, n. 428 del 1992 e n. 264 del 1994 - rileva che, assunto come base di riferimento (ai sensi del citato art. 3, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982) l'ultimo periodo di iscrizione al fondo, durante il quale il ricorrente aveva versato la contribuzione volontaria, si ottiene (secondo quanto emerso da una consulenza tecnica di ufficio) un assegno pensionistico di importo inferiore a quello calcolato sulla base delle sole contribuzioni obbligatorie, già sufficienti per la maturazione del diritto alla pensione. Donde il prospettato dubbio di illegittimità costituzionale delle norme denunciate, sotto il profilo dell'irrazionalità di un trattamento pensionistico inferiore nel caso di versamento (anche) di contributi volontari rispetto al caso in cui tale versamento (ulteriore) non vi sia stato, e sotto il profilo della vanificazione delle finalità della contribuzione volontaria ove questa comporti la "compressione" dell'importo dell'assegno pensionistico rendendolo non adeguato alla contribuzione (obbligatoria e volontaria) complessivamente versata.

  Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo sottolinea che l'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della denunciata normativa comporterebbe l'accoglimento della domanda, con conseguente rideterminazione dell'assegno pensionistico.

  2. - Si sono costituite in giudizio entrambe le parti.

  La parte privata ha ribadito la correttezza dell'interpretazione già prospettata con il ricorso davanti al Pretore, sostenendo l'immediata applicazione anche al caso di specie delle citate sentenze della Corte costituzionale.

  L'INPS ha invece chiesto la declaratoria di infondatezza della questione, in quanto nel giudizio a quo "si prescinde dal compimento dell'età pensionabile da parte dell'interessato", mentre nelle sentenze della Corte costituzionale n. 307 del 1989, n. 428 del 1992, n. 264 del 1994 e n. 388 del 1995 si ha riguardo all'importo della pensione nel momento dell'età pensionabile, con la conseguenza che nella specie, ove si riliquidasse la pensione con riferimento a tale momento (in applicazione del principio di cui alla sentenza n. 428 del 1992), gli effetti decorrerebbero dal 1° agosto 2001, tenuto conto della data di nascita dell'interessato (6 luglio 1936) e dell'età pensionabile prevista per gli esercenti le attività commerciali (65 anni).

Considerato in diritto

  1.- Il Tribunale di Cremona ha sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38 della Costituzione - del combinato disposto dell'art. 16 della legge 2 agosto 1990, n. 233, e dell'art. 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non prevede che la pensione di anzianità, in caso di posizione assicurativa mista del lavoratore, con contribuzioni nel fondo della gestione dei lavoratori autonomi e nel fondo della gestione dei lavoratori dipendenti, non possa essere liquidata, per la quota relativa alla gestione dei lavoratori dipendenti, in misura inferiore a quella calcolata in base ai soli contributi obbligatori, qualora questi ultimi siano sufficienti a far maturare il diritto alla pensione.

  Il rimettente prospetta l'ipotesi di un lavoratore che abbia già conseguito la prescritta anzianità assicurativa e contributiva obbligatoria, e che negli ultimi cinque anni abbia versato contributi volontari nel fondo della gestione dei lavoratori dipendenti, dopo aver versato contributi obbligatori in tale fondo ed in quello della gestione dei lavoratori autonomi. L'applicazione della norma denunciata, imponendo la considerazione (al fine di individuare la retribuzione pensionabile) delle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza del trattamento pensionistico, comporterebbe - secondo il rimettente stesso - l'irrazionale ed ingiusto risultato di determinare un trattamento pensionistico inferiore a quello spettante sulla base della sola contribuzione obbligatoria, già sufficiente a far maturare il diritto a pensione.

  2. - La questione é infondata, muovendo il giudice a quo da un erroneo presupposto interpretativo.

  L'art. 16 della legge n. 233 del 1990 stabilisce infatti che, in caso di cumulo dei periodi assicurativi presso diverse gestioni, é liquidata un'unica pensione, il cui importo deve corrispondere alla somma delle quote di pensione calcolate in base alla contribuzione finale presso ciascuna gestione. Ciò implica il frazionamento della retribuzione pensionabile in rapporto ai singoli periodi di iscrizione del lavoratore alle diverse gestioni; con conseguente rinvio, per la quota di pensione riguardante la gestione dei lavoratori dipendenti, alle "norme dell'assicurazione generale obbligatoria" (comma 1, lettera b, del citato art. 16), e in particolare all'art. 3, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982.

  Poichè le censure formulate dal giudice rimettente attengono solo alle modalità di calcolo della retribuzione pensionabile per l'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, la sollevata questione di legittimità costituzionale é dunque da ritenere circoscritta proprio al disposto di quest'ultimo articolo, non essendo dette modalità influenzate dal cumulo dei periodi assicurativi. Ma la norma stessa é rimasta modificata dalle pronunce di questa Corte n. 428 del 1992 e n. 264 del 1994, che ne hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui essa non prevedeva che, in caso di minore contribuzione nell'ultimo quinquennio, la pensione non venisse liquidata al lavoratore in misura inferiore a quella spettantegli sulla base della precedente contribuzione, ove questa fosse già sufficiente al raggiungimento dell'anzianità contributiva minima.

  Giova in proposito rammentare che questa Corte ha più volte posto in evidenza gli effetti paradossali ai quali conduceva l'articolo in parola, allorchè la contribuzione previdenziale volontaria, successiva a quella obbligatoria già sufficiente alla maturazione del diritto a pensione, fosse venuta a determinare un peggioramento del trattamento pensionistico, con riguardo a quello che sarebbe spettato ove il lavoratore avesse omesso di effettuare l'ulteriore contribuzione volontaria. E da tale considerazione muovono, non solo le due succitate, ma anche altre pronunce (come le sentenze n. 427 del 1997, n. 388 del 1995, n. 307 del 1989, n. 822 del 1988), la cui ratio decidendi é individuabile proprio nel rilievo che, dopo il perfezionamento del requisito minimo contributivo, l'ulteriore contribuzione (obbligatoria, volontaria o figurativa), mentre vale ad incrementare il livello di pensione già consolidato, non deve comunque poter compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata in itinere: effetto, quest'ultimo, che sarebbe infatti da considerare palesemente contrastante con gli artt. 3 e 38 della Costituzione (v., in particolare, sentenza n. 388 del 1995).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 16 della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi) e 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38 della Costituzione, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 maggio 1999.