Ordinanza n. 191/99

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ORDINANZA N. 191

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO   

- Avv.    Massimo VARI                                

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 415 e 416 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 3 marzo 1998 dal Tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra Cecchetto Pietro e Cecchetto Roberto, iscritta al n. 355 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 21 dell'anno 1998.

  Visti l'atto di costituzione di Cecchetto Pietro nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell'udienza pubblica del 13 aprile 1999 il Giudice relatore Annibale Marini;

  udito l'avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

  Ritenuto che il Tribunale di Padova, sezione specializzata agraria, con ordinanza emessa il 3 marzo 1998, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 415 e 416 del codice di procedura civile nella parte in cui non prevedono - diversamente da quanto stabilito per l’ordinario giudizio di cognizione - l’invito al convenuto a costituirsi nei termini di legge con l’espresso avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini importa la decadenza dalle eventuali domande riconvenzionali e dalle chiamate di terzo in causa;

  che, a parere del rimettente, la mancata previsione di siffatto avviso nelle norme che regolano il processo del lavoro e quello agrario determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento - con conseguente violazione dell’art. 3 della Costituzione - tra le parti convenute nel giudizio ordinario di cognizione e quelle, parimenti convenute, nello speciale rito del lavoro ove, tra l’altro, il regime delle preclusioni risulterebbe più grave;

  che nel giudizio dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che venga dichiarata l’infondatezza della questione, per aver questa Corte già escluso la possibilità di raffronti tra rito speciale del lavoro e rito ordinario (sentenza n. 65 del 1980);

  che, inoltre, sempre ad avviso dell’Avvocatura, esigere che l’irrogazione della decadenza posta dall’art. 416 del cod. proc. civ. sia condizionata all’espressa riproduzione della relativa comminatoria di legge nel ricorso introduttivo o nel decreto di fissazione dell’udienza di discussione si risolverebbe, come affermato da questa Corte, nella disapplicazione del principio della legale conoscenza delle norme legislative che nulla ha da vedere con il principio costituzionale di eguaglianza (sentenze n. 61 del 1980 e n. 347 del 1987);

  che si é costituita la parte privata, attrice nel giudizio a quo, la quale, nel concludere anch’essa per l’infondatezza della questione, ha sottolineato, oltre la diversità tra rito ordinario e rito del lavoro, come l'avvertimento di cui all'art. 163 del codice di procedura civile sia stato previsto dal legislatore - limitatamente al processo ordinario di ricognizione - con la novella del 1990 a seguito dell'introduzione di nuovi termini per la costituzione del convenuto e, soprattutto, di nuove decadenze per costui;

  che tale avvertimento, ad avviso della stessa parte, giustificato dal passaggio dal previgente sistema processuale a quello attuale, costituirebbe una disapplicazione del principio della legale conoscenza delle norme legislative ed, in quanto tale, non potrebbe essere assunto a regola generale.

Considerato che questa Corte ha già affermato come le caratteristiche strutturali e procedimentali che distinguono il rito ordinario e quello speciale del lavoro (applicabile, quest’ultimo, alle controversie agrarie), siano tali da non consentire l’istituzione di raffronti nei quali sia ragionevole assumere il primo a modello di perfezione cui l’altro, pena l’incostituzionalità, sia tenuto ad adeguarsi, e viceversa (sentenza n. 65 del 1980, ordinanza n. 104 del 1988);

che alla stregua di tale affermazione, che si ritiene in questa sede di ribadire, la questione, prospettata dal rimettente sotto l'esclusivo profilo della violazione del principio di eguaglianza, deve essere dichiarata manifestamente infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 415 e 416 del codice di procedura civile sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Padova, sezione specializzata agraria, con l’ordinanza in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 25 maggio 1999.