Sentenza n. 187/99

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SENTENZA N. 187

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito dell'istanza del Procuratore regionale presso le Sezioni della Corte dei Conti per la Sicilia datata 12 marzo 1997, con la quale é stata chiesta l'emissione di decreto di condanna con formula esecutiva in favore dell'Erario statale, a seguito del giudizio per resa di conto a carico di M.N., promosso con ricorso della Regione Siciliana, notificato il 19 maggio 1997, depositato in cancelleria il 23 successivo ed iscritto al n. 31 del registro conflitti 1997.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 1999 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi gli avvocati Giovanni Lo Bue e Laura Ingargiola per la Regione Siciliana e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1 - Con ricorso notificato il 19 maggio 1997, e depositato il successivo 23 maggio, la Regione Siciliana ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione alla istanza del 12 marzo 1997 con cui il Procuratore regionale presso le sezioni della Corte dei conti per la Regione Siciliana ha chiesto che il decreto di condanna n. 151 del 15 aprile 1996, emesso dalla Sezione giurisdizionale, venisse rilasciato con formula esecutiva intestata "in favore dell’erario statale", nonchè, conseguentemente, in relazione alla nota del Procuratore regionale in data 18 marzo 1997 concernente l'interpretazione della formula esecutiva apposta in calce al predetto decreto. Secondo la Regione, gli atti predetti invadono le sue attribuzioni in materia finanziaria, in quanto individuano nello Stato il beneficiario di una sanzione pecuniaria da riscuotersi nel territorio della Regione, in violazione dell’art. 36 del suo statuto, e degli articoli 2 e 3 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana in materia finanziaria).

La ricorrente premette che, in un giudizio per resa di conto, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Sicilia - ha condannato un agente contabile dell’ENASARCO al pagamento di una sanzione pecuniaria per mancata presentazione dei conti, e che la segreteria della Sezione, nel rilasciare all’Ufficio della Procura la copia esecutiva del decreto di condanna per la trasmissione all’amministrazione interessata all’esecuzione, ha intestato la formula esecutiva "nell’interesse dell’erario regionale". Il Procuratore, prosegue la Regione, ritenendo che beneficiario della pena pecuniaria fosse invece lo Stato, ha convenuto in giudizio, ai sensi dell’art. 25 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), la Regione stessa ed il Ministero del tesoro al fine di acquisire sul punto l’interpretazione della Sezione giurisdizionale, ma quest’ultima, estromessi i due convenuti, con sentenza n. 44 del 24 febbraio 1997 ha rigettato la domanda sul presupposto che non vi fosse alcuna statuizione del decreto suscettibile di interpretazione in quanto "oscura". La Regione espone di essere stata successivamente informata dal Procuratore regionale che lo stesso aveva richiesto al Presidente della Sezione giurisdizionale, ai sensi dell’art. 476 del codice di procedura civile, il rilascio di una nuova copia esecutiva del decreto di condanna con formula intestata "in favore dell’erario statale", e quindi, a seguito del rilascio di una copia con formula intestata "nell’interesse dell’erario", ne aveva disposto l’esecuzione in favore dello Stato.

2. - Secondo la Regione Siciliana, la richiesta del Procuratore regionale di intestare allo Stato la condanna irrogata dalla Corte dei conti, nonchè l’interpretazione data dallo stesso Procuratore alla formula esecutiva "nell’interesse dell’erario" - formula di per sè stessa non lesiva - nel senso che essa si riferisca all’erario statale, ledono le proprie attribuzioni statutarie in materia finanziaria.

La Regione sostiene che, ai sensi dell’art. 36 dello statuto e degli artt. 2 e 3 del decreto presidenziale n. 1074 del 1965, sarebbero di propria spettanza "tutte le entrate tributarie ivi comprese le entrate accessorie nonchè tutte le entrate derivanti dall’applicazione di sanzioni pecuniarie da qualsiasi fonte provengano e comunque riscosse nell’ambito del territorio regionale". Di conseguenza, poichè la pena pecuniaria in questione deve riscuotersi nel suo territorio, la Regione Siciliana avrebbe diritto al relativo importo, attesa anche la natura puramente sanzionatoria, e non risarcitoria, della relativa condanna.

Secondo la Regione é altresì irrilevante che la sanzione sia stata irrogata da un organo statale, in quanto non vi sarebbe alcun necessario parallelismo fra potestà sanzionatoria e titolarità del relativo credito, secondo quanto affermato anche dalla Corte costituzionale con la decisione n. 84 del 1968.

3. - Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità del conflitto e la sua infondatezza.

Secondo la difesa erariale, il ricorso é inammissibile, sia perchè proposto in relazione ad una mera istanza, cui non può riconoscersi alcuna capacità lesiva delle attribuzioni regionali; sia perchè diretto contro atti dell’autorità giurisdizionale, o comunque contro atti "serventi" o "strumentalmente inerenti all’esplicazione" della funzione giurisdizionale.

Nel merito, l’Avvocatura generale sostiene che il conflitto é comunque infondato, perchè l’intero contesto del decreto presidenziale n. 1074 del 1965 rende palese, a suo avviso, che le relative norme di attuazione dello statuto siciliano "riguardano, in via esclusiva, entrate tributarie". In particolare, la difesa erariale rileva che l’art. 3 del decreto, dovendo leggersi unitamente agli artt. 1, 2 e 4, può riferirsi soltanto alle "sole sanzioni pecuniarie applicate per le violazioni (anche penalmente rilevanti) di norme tributarie", mentre, nella fattispecie in esame, la sanzione si collegherebbe ad un rapporto giuscontabilistico, che quindi nulla avrebbe a che vedere con quello considerato dalla disciplina di attuazione statutaria richiamata dalla Regione Siciliana.

  Data la carenza dei presupposti di legge, deve anche respingersi, ad avviso dello Stato, l’istanza preliminare di sospensione dell’atto impugnato.

4. - Alla pubblica udienza del 9 marzo 1999, le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni.

Considerato in diritto

1. - Il conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, promosso dalla Regione Siciliana con il ricorso indicato in epigrafe, concerne l'istanza 12 marzo 1997 con cui il Procuratore regionale della Corte dei conti presso la Regione Siciliana ha chiesto, ai sensi dell'art. 476, comma 2, del codice di procedura civile, che il decreto di condanna n. 151 del 15 aprile 1996 della Sezione giurisdizionale venisse rilasciato con formula esecutiva intestata "in favore dell'erario statale", nonchè concerne, quale atto conseguenziale, la nota del Procuratore regionale del 18 marzo 1997 relativa alla formula esecutiva apposta in calce al predetto decreto "così come interpretata dal Procuratore regionale" stesso.

La Regione Siciliana deduce l'invasione delle sue attribuzioni in materia finanziaria e formula istanza cautelare di sospensione, poichè i suddetti atti attribuirebbero illegittimamente allo Stato l'importo proveniente dal citato decreto di condanna n. 151 del 1996, nonostante che si tratti di sanzione pecuniaria da riscuotere nel territorio della Regione, violando così l'art. 36 dello statuto e gli artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 1074 del 1965.

2. - Il ricorso non é fondato.

Va premesso che, in base all'art. 1 del decreto di attuazione n. 1074 del 1965, la Regione Siciliana provvede al suo fabbisogno finanziario mediante: a) le entrate derivanti dai suoi beni demaniali e patrimoniali o connesse all'attività amministrativa di sua competenza; b) le entrate tributarie ad essa spettanti.

In questo quadro normativo, il provento della sanzione pecuniaria irrogata, al termine di un giudizio per resa di conto, dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana con il citato decreto n. 151 del 1996, non può costituire, per profili oggettivi e soggettivi, una entrata di spettanza della Regione Siciliana, anche se la relativa riscossione avviene nel territorio regionale. Si tratta in realtà di una "pena pecuniaria" per omessa presentazione dei conti giudiziali, ai sensi dell'art. 46 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, concernente un agente contabile dell'ENASARCO, cioé dell'ente nazionale di assistenza per gli agenti e rappresentanti di commercio, sul quale si esplica la vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale (cfr. l'art. 1 della legge 2 febbraio 1973, n. 12).

Pertanto sia il profilo oggettivo di questa sanzione pecuniaria relativo all'omessa resa di conto, sia il profilo soggettivo dell'ente di appartenenza del dipendente condannato non denotano la presenza di elementi qualificativi dell'entrata come di natura tributaria. Il provento di tale sanzione quindi non può essere annoverato tra le "entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio", di cui all'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965. Ma non può essere annoverato neppure tra le entrate di spettanza regionale "derivanti dall'applicazione di sanzioni pecuniarie amministrative e penali", di cui all'art. 3 dello stesso decreto, poichè anche questa disposizione, come si desume sia dal richiamo testuale agli "interessi di mora" e alle "soprattasse", sia dalla connessione sistematica con il successivo art. 4 che si riferisce anche esso, come il citato art. 2, ad entrate relative a "fattispecie tributarie", presuppone il carattere tributario dell'entrata stessa.

In ogni caso, anche se si ritenesse che il predetto art. 3 riguardi non le entrate di natura tributaria, ma piuttosto quelle di cui alla lettera a) del citato art. 1 del decreto n. 1074 del 1965, ossia le entrate derivanti dai beni demaniali e patrimoniali della Regione o connesse all'attività amministrativa di sua competenza, il provento della sanzione pecuniaria in questione non potrebbe comunque, per i suoi caratteri, essere sussunto nel loro ambito.

In questo contesto normativo, l'istanza del Procuratore regionale della Corte dei conti 12 marzo 1997 e gli atti conseguenziali impugnati dalla Regione ricorrente non ledono dunque gli artt. 36 dello statuto della Regione Siciliana e 2 e 3 del decreto presidenziale di attuazione n. 1074 del 1965, in quanto il provento derivante da quella sanzione pecuniaria non può essere considerato di spettanza regionale.

Il ricorso della Regione Siciliana va pertanto respinto, mentre la domanda cautelare risulta assorbita dalla presente decisione di merito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta allo Stato - in relazione all'istanza del Procuratore regionale della Corte dei conti in data 12 marzo 1997- di fare propria l'entrata derivante dalla sanzione pecuniaria irrogata con decreto di condanna n. 151/96 dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana all'agente contabile di un ente nazionale di assistenza, in un giudizio per omessa presentazione dei conti.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 25 maggio 1999.