Ordinanza n. 174/99

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ORDINANZA N. 174

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 289, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 28 marzo 1998 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Nola nel procedimento penale a carico di Umberto Chiacchio ed altri, iscritta al n. 446 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 1998.

  Udito nella camera di consiglio del 10 marzo 1999 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

  Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Nola, con ordinanza del 28 marzo 1998, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 289, comma 2, cod. proc. pen., nel testo modificato dall’art. 2 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale);

  che il rimettente é chiamato, nell’ambito di un procedimento penale a carico di pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio per delitti di peculato e di falso documentale, a provvedere sulla richiesta del pubblico ministero di applicazione di misure cautelari personali coercitive (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari) nei confronti di alcuni indagati;

  che lo stesso rimettente ritiene che nel caso concreto, ai fini della tutela dell’esigenza cautelare - che é ravvisabile nella specie - di prevenzione rispetto alla possibile commissione di ulteriori reati (art. 274, comma 1, lettera c), la misura cautelare adeguata e proporzionata (alla stregua dei criteri posti dall’art. 275) sia quella interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, a norma dell’art. 289 cod. proc. pen.;

  che il suddetto art. 289, nel comma 2, come modificato dalla legge n. 234 del 1997, dispone che "nel corso delle indagini preliminari, prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero di sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il giudice procede all’interrogatorio dell’indagato, con le modalità indicate agli articoli 64 e 65" del codice;

  che tale prescrizione dell’interrogatorio, prima di disporre la misura interdittiva in argomento, vale, ad avviso del rimettente, nel solo caso in cui il pubblico ministero abbia richiesto l’applicazione della misura medesima, e non anche nel caso, che ricorre nella specie, in cui il pubblico ministero abbia richiesto misure cautelari solo di tipo coercitivo, ma il giudice ritenga di disporre quella di tipo interdittivo;

  che l’anzidetta limitazione dell’ambito di operatività dell’interrogatorio, anteriormente all’applicazione della misura della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, appare al giudice a quo in contrasto: a) con l’art. 3 della Costituzione, per ingiustificata disparità di trattamento tra indagati, sottoposti alla medesima misura interdittiva ma interrogati, o non interrogati, in conseguenza del tipo di "domanda cautelare" formulata da parte del pubblico ministero, e b) con l’art. 24 della Costituzione, potendo essere elusa la garanzia difensiva costituita dall’interrogatorio in parola attraverso una richiesta di misura coercitiva, e ciò benchè poi si pervenga comunque all’applicazione della misura interdittiva per decisione del giudice per le indagini preliminari.

  Considerato che il giudice rimettente, muovendo dal presupposto secondo cui, di fronte a una richiesta del pubblico ministero di applicazione di una misura cautelare coercitiva, il giudice per le indagini preliminari possa disporre l’applicazione di una misura cautelare interdittiva, e ritenendo altresì che l’impugnata disposizione dell’art. 289, comma 2, cod. proc. pen., in tema di previo interrogatorio, come modificato dalla legge n. 234 del 1997, sia applicabile esclusivamente all’ipotesi - che in esso é testualmente considerata - di una originaria richiesta di sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, chiede a questa Corte, attraverso una pronuncia di incostituzionalità, di estendere l’anzidetta prescrizione dell’interrogatorio a ogni ipotesi in cui il giudice per le indagini preliminari disponga l’applicazione della citata misura interdittiva, indipendentemente dal tipo di richiesta del pubblico ministero;

  che, relativamente al primo e più generale presupposto interpretativo circa la possibilità di disporre una misura interdittiva in luogo di quella coercitiva, richiesta in via esclusiva dal pubblico ministero, il rimettente si limita ad affermare tale possibilità, facendo ripetuto richiamo alla "gradualità" propria del procedimento applicativo delle misure cautelari (art. 275 cod. proc. pen.);

  che l’asserzione risulta peraltro apodittica, giacchè si basa esclusivamente su uno dei criteri di scelta delle misure cautelari, criteri che, se valgono in via generale (capo I, titolo I, libro IV, cod. proc. pen.) sia per la scelta tra quelle di tipo coercitivo (capo II) sia per la scelta tra quelle di tipo interdittivo (capo III), non implicano tuttavia necessariamente una "graduazione" tra i due tipi di misure;

  che, infatti, nonostante siano in parte accomunate sul piano del procedimento di applicazione, le misure interdittive e quelle coercitive presentano, nella disciplina del codice e nella ratio che informa le relative direttive della legge-delega n. 81 del 1987 (art. 2, direttive nn. 59 e 64) numerosi e significativi elementi di difformità (quanto a contenuto, durata, rimedi esperibili) che delineano, tra esse, una differenza di ordine categoriale e qualitativo, come si desume anche dall’art. 276, comma 1, secondo periodo, cod. proc. pen.;

  che, rispetto a tale differenziazione sostanziale tra due categorie di misure, del resto già sottolineata da questa Corte (v. sentenza n. 5 del 1994), cui corrispondono distinti parametri costituzionali di riferimento, come ad esempio il principio di buon andamento della pubblica amministrazione proprio per la misura ex art. 289 cod. proc. pen. (v. sentenza n. 147 del 1996), e altresì in mancanza di un puntuale orientamento giurisprudenziale nel senso della piena fungibilità tra le misure medesime, la premessa interpretativa della questione di costituzionalità riveste carattere assertivo;

  che, per questo primo profilo, é ravvisabile nell’ordinanza di rimessione una insufficiente motivazione sulla rilevanza della questione sollevata, giacchè la richiesta del giudice rimettente, di generalizzazione dell’interrogatorio, sta e cade insieme con la possibilità, per lo stesso giudice, di determinarsi - di ufficio - nel senso della interdizione, in luogo della - richiesta - coercizione: possibilità, dunque, che é onere del giudice del rinvio argomentare e motivare, ai fini del controllo sulla rilevanza del dubbio di costituzionalità rispetto alla definizione del giudizio principale (art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87);

  che, relativamente all’ulteriore aspetto della impossibilità, per il giudice, di svolgere l’interrogatorio previsto dalla norma impugnata allorchè egli si determini nel senso dell’applicazione della misura interdittiva di cui all’art. 289 cod. proc. pen. a fronte di una richiesta cautelare coercitiva da parte dell’accusa, si deve rilevare comunque - e cioé indipendentemente dalla già detta lacuna argomentativa quanto al profilo che precede - che, prospettando l’incostituzionalità della norma, il rimettente ne trascura ogni possibile interpretazione alternativa a quella che lo porta a sollevare la questione di costituzionalità;

  che in tal modo il giudice a quo é venuto meno all’onere di ricercare, e privilegiare, le possibili ipotesi interpretative che consentano di adeguare la disposizione di legge ai parametri che egli invoca a sostegno del suo dubbio sulla costituzionalità della norma impugnata;

  che tale ricerca, come questa Corte ha numerose volte affermato, é viceversa necessaria, poichè, in via di principio, "le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché é possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perchè é impossibile darne interpretazioni costituzionali" (sentenza n. 356 del 1996);

  che l’interpretazione del rimettente risulta viceversa prescelta, tra le possibili, appunto in vista del promovimento della questione di costituzionalità;

  che, pertanto, impropriamente il giudice rimettente richiede a questa Corte una pronuncia che risolva i dubbi che egli nutre circa la possibile contraddizione tra la norma così interpretata e la Costituzione, essendo allo stesso giudice affidato primariamente il compito - tanto più ineludibile, in assenza di un contrario orientamento giurisprudenziale (v., da ultimo, ordinanza n. 167 del 1998) - di ricostruire il sistema normativo e di prescegliere, nella misura del possibile e con gli strumenti interpretativi di cui dispone, la lettura che eviti l’anzidetta contraddizione;

  che sotto entrambi i profili la questione di costituzionalità sollevata deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 289, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Nola, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 1999.

Renato GRANATA , Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 18 maggio 1999.