Ordinanza n. 165/99

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ORDINANZA N. 165

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 28 marzo 1996, n. 166 (Norme in materia previdenziale), con riferimento all'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 495 dell'anno 1993 e degli artt. 23, secondo comma, e 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87(Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), promossi con 3 ordinanze emesse il 1° aprile (2 ordinanze) ed il 23 aprile 1996 dal Pretore di Brescia, rispettivamente iscritte ai nn. 524, 525 e 720 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, nn. 25 e 29, prima serie speciale, dell'anno 1996.

  Visti gli atti di costituzione dell'INPS, di Marchesini Antonia nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 14 aprile 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

  Ritenuto che, nel corso di tre giudizi, instaurati per ottenere la ricostruzione del trattamento pensionistico in base alla sentenza n. 495 del 1993 della Corte costituzionale, il Pretore di Brescia, con altrettante ordinanze di identico contenuto (emesse, le prime due il 1° aprile e la terza il 23 aprile 1996), ha sollevato questione di costituzionalità dell'art. 1 del decreto-legge 28 marzo 1996, n. 166 (Norme in materia previdenziale);

  che, secondo il rimettente, le norme censurate si porrebbero in contrasto: a) con gli artt. 1, secondo comma, 70, 72, 77, secondo comma, e 136, secondo comma, Cost., non configurandosi il requisito della necessità ed urgenza dell'intervento governativo, tale da giustificare l'esclusione del normale iter parlamentare; b) con gli artt. 24, primo comma, e 25, primo comma, Cost., in ragione della lesione del diritto di azione e della giurisdizione del giudice naturale precostituito per legge, inferta dalla previsione dell'estinzione dei giudizi e dell'inefficacia dei provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato; c) con l'art. 81, quarto comma, Cost., per violazione dell'obbligo di copertura finanziaria relativamente agli anni 1999, 2000 e 2001; d) con l'art. 3 Cost., a cagione della irragionevolezza della previsione delle modalità di estinzione del credito e delle numerose lacune ed imprecisioni contenute nell'intera normativa de qua; e) con gli artt. 1, primo comma, 4, 35 e 36 Cost., in ragione della sancita compensazione delle spese di lite nelle cause in corso, che priva i difensori antistatari delle parti del corrispettivo per la relativa prestazione professionale;

  che con le due ordinanze emesse il 1° aprile 1996 il Pretore a quo ha, altresì, sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), come modificato dalla sentenza n. 495 del 1993 di questa Corte (in senso estensivo del diritto di integrazione al minimo), per violazione dell'art. 81 Cost., a causa dell'omessa copertura finanziaria degli oneri nascenti da tale decisione, nonchè degli artt. 101 , 104, primo comma, e 136, primo comma, Cost., potendo il loro carattere - definito "legislativo" - far considerare il giudice privato del suo potere di interpretare la legge;

  che, in relazione alle predette censure, egli ha quindi sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in riferimento agli artt. 101, 104, primo comma, 111, 134, 136, primo comma, e 137, primo comma, Cost., in quanto dette norme, nel fissare rispettivamente il momento temporale di efficacia delle sentenze della Corte e le condizioni di accesso al sindacato di legittimità costituzionale - in particolare imponendo il requisito della rilevanza della questione nel giudizio a quo -, risulterebbero lesive del dettato costituzionale e comunque limitative della possibilità per il giudice di sollevare questioni, "l'oggetto delle quali sia solo concorrente nella decisione della causa";

  che, in tutti i giudizi, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e si é costituito l'INPS, concludendo entrambi per l'inammissibilità o per l'infondatezza delle sollevate questioni;

  che, nel giudizio promosso con R.O. n. 525 del 1996, si é costituita anche la ricorrente nel processo a quo, la quale ha concluso per l'accoglimento delle questioni relative alla normativa di cui al decreto-legge n. 166 del 1996, e per l'infondatezza delle altre questioni.

  Considerato che per l'analogia delle sollevate questioni i giudizi possono essere riuniti e congiuntamente decisi;

  che il contenuto del censurato decreto-legge n. 166 del 1996, non convertito, é stato reiterato con i decreti-legge 27 maggio 1996, n. 295; 26 luglio 1996, n. 396; 24 settembre 1996, n. 499, tutti recanti le stesse disposizioni denunciate e tutti decaduti;

  che gli effetti di tali decreti-legge sono stati fatti salvi dall’art. 1, comma 6, della legge 28 novembre 1996, n. 608, e che la successiva legge 23 dicembre 1996, n. 662 (art. 1, commi 181, 182 e 183) ha riproposto il medesimo contenuto della censurata normativa decretale;

  che, medio tempore, il decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito in legge 28 maggio 1997, n. 140, é intervenuto sul complessivo denunciato meccanismo di rimborso dei relativi crediti mediante emissione dei titoli di Stato, prevedendone viceversa il pagamento in contanti, pur se con le medesime cadenze temporali;

  che, ancora successivamente, la legge 23 dicembre 1998, n. 448 ha, altresì, previsto l'erogazione di una somma pari al 5% a titolo d'interessi sugli arretrati maturati alla data del 31 dicembre 1995 (art. 36, comma 1) e l'inclusione, tra gli aventi diritto al pagamento degli arretrati, degli eredi dell'interessato anche allorchè il decesso di questi sia avvenuto anteriormente al 30 marzo 1996 (art. 36, comma 2);

  che, inoltre, l'art. 73, comma 4, della stessa legge ha precisato la portata applicativa della c.d. clausola di salvezza contenuta nell'art. 1, comma 6, della legge 28 novembre 1996, n. 608, interpretandola nel senso che tra gli effetti fatti salvi da questa norma va inclusa l'inefficacia dei provvedimenti giudiziali emessi in materia;

  che, così disponendo, il legislatore ha notevolmente inciso sulla normativa denunciata, e dunque il giudice a quo deve procedere ad una nuova valutazione della rilevanza delle sollevate questioni (cfr. ordinanza n. 31 del 1999), a prescindere peraltro dalle prospettate e del tutto ininfluenti questioni concernenti le norme sul funzionamento della Corte e sulla proposizione dei giudizi davanti ad essa (cfr. ordinanza n. 130 del 1997);

  che, pertanto, si rende necessaria la restituzione degli atti al giudice stesso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  ordina la restituzione degli atti al Pretore di Brescia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 10 maggio 1999.