Ordinanza n. 150/99

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ORDINANZA N. 150

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, del decreto legge 3 maggio 1991, n. 143 (Provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio), convertito dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, promosso con ordinanza emessa il 19 giugno 1997 dal Tribunale di Catania, iscritta al n. 733 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di costituzione di Giovanni Finocchiaro, nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 marzo 1999 il Giudice relatore Valerio Onida;

udito l’Avvocato dello Stato Michele Di Pace per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 19 giugno 1997, pervenuta a questa Corte il 29 settembre 1997, il Tribunale di Catania ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 4, 27 e 35 della Costituzione, dell’art. 9 del decreto legge 3 maggio 1991, n. 143 (Provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio), convertito dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, ai cui sensi la condanna con sentenza non definitiva per taluni reati comporta la sospensione dalle funzioni di amministratore esercitate presso enti creditizi, sospensione dichiarata dal consiglio di amministrazione; e l’omessa dichiarazione di sospensione é punita penalmente;

che il Tribunale remittente argomenta anzitutto sostenendo l’applicabilità della norma de qua alla fattispecie sottoposta al giudizio, pur relativa a reati commessi prima della sua entrata in vigore, in quanto la sospensione si configurerebbe, a suo avviso, come una misura interdittiva provvisoria di natura cautelare, volta a preservare i requisiti di onorabilità per l’espletamento delle funzioni di amministrazione, direzione e controllo delle banche;

che, ad avviso del giudice remittente, la situazione normativa in esame sarebbe essenzialmente diversa da quella della sospensione obbligatoria di dipendenti e di amministratori pubblici condannati per taluni dei reati contemplati dalla legge n. 55 del 1990, come modificata dalla legge n. 16 del 1992, sulla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso (in ordine alla quale é stata ritenuta non fondata una questione di legittimità costituzionale con la sentenza n. 184 del 1994), perchè in quel caso la sospensione potrebbe essere oggetto di revoca amministrativa, mentre nella presente fattispecie essa sarebbe atta a produrre effetti irrevocabili, se non altro in termini di danni non risarcibili nemmeno al sopravvenire di una successiva sentenza di assoluzione;

che il giudice a quo, rilevando che nella specie la misura cautelare deriva da una condanna, non definitiva, la cui esecuzione é stata sospesa dalla stessa sentenza che l’ha pronunciata, ricorda la giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto illegittime norme le quali comportavano il perdurare della sospensione dall’esercizio di determinate professioni anche dopo il venir meno della misura cautelare restrittiva che vi aveva dato origine, osservando che in quei casi non sarebbe apparso razionale che un provvedimento amministrativo di sospensione obbligatoria, che ha la stessa natura e si basa sulle stesse situazioni per le quali é previsto un provvedimento giudiziario, non offra al soggetto colpito analoghe garanzie quanto alla durata;

che si é costituito uno degli attori nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione, e sostenendo fra l’altro che il dubbio di costituzionalità potrebbe essere superato solo intendendo la norma nel senso che la sospensione non operi quando é sospesa l’esecuzione della sentenza di condanna;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, per insufficiente chiarezza della motivazione sulla non manifesta infondatezza, ovvero manifestamente infondata.

Considerato che l’impugnato art. 9 del decreto legge n. 143 del 1991 risulta abrogato dall’art. 161, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, in forza del quale però esso restava applicabile, al pari delle altre disposizioni ivi indicate, "fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati dalle autorità creditizie" ai sensi dello stesso decreto legislativo n. 385 del 1993;

che nella materia de qua é sopravvenuto, dopo l’emanazione della ordinanza introduttiva del presente giudizio, il regolamento approvato con il decreto del Ministro del tesoro 18 marzo 1998, n. 161 (Regolamento recante norme per l’individuazione dei requisiti di onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali delle banche e delle cause di sospensione), adottato in base all’art. 26 del d. lgs. n. 385 del 1993, che a detto regolamento demandava il compito di stabilire i requisiti di professionalità e di onorabilità dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche (comma 1), requisiti il cui difetto determina la decadenza dall’ufficio, dichiarata dal consiglio di amministrazione (comma 2), nonchè il compito di stabilire "le cause che comportano la sospensione temporanea dalla carica e la sua durata", sospensione dichiarata anch’essa dal consiglio di amministrazione (comma 3);

che l’art. 6 del predetto regolamento disciplina la sospensione dalla carica degli amministratori, sindaci e direttori generali delle banche, stabilendo fra l’altro che é causa di sospensione – dichiarata dal consiglio di amministrazione – la condanna, con sentenza non definitiva, per uno dei reati di cui all’art. 5, comma 1, lettera c, del medesimo regolamento, reati in gran parte corrispondenti a quelli che davano luogo alla sospensione in base alla previgente disposizione, impugnata in questa sede;

che, a parte ogni altra considerazione, non si potrebbe prospettare l’eventualità di un trasferimento della questione alla disposizione sopravvenuta, che é contenuta in un atto privo di forza di legge;

che pertanto si rende opportuno restituire gli atti al giudice a quo perchè valuti nuovamente la questione e la sua rilevanza alla luce dello jus superveniens rappresentato dal citato decreto ministeriale 18 marzo 1998, n. 161.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Catania.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 30 aprile 1999.