Ordinanza n. 142/99

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ORDINANZA N. 142

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 226 a 231, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), e dell’art. 2, commi da 1 a 6, del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 538 (Disposizioni urgenti in materia di sanzioni per violazione di obblighi contributivi e di regolarizzazione di posizioni previdenziali), promossi con ordinanze emesse il 19 dicembre 1997, il 13 febbraio, il 13 gennaio ed il 13 febbraio 1998 dal Pretore di Brescia ed il 7 luglio 1998 dal Pretore di Milano, iscritte, rispettivamente, ai nn. 406, 407, 507, 657 e 889 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24, 28, 39 e 51, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con tre ordinanze emesse la prima il 19 dicembre 1997 (R.O. n. 406 del 1998, pervenuta a questa Corte il 20 maggio 1998), le altre due il 13 febbraio 1998 (R.O. n. 407 del 1998, pervenuta il 20 maggio 1998, e n. 657 del 1998, pervenuta il 25 agosto 1998), il Pretore di Brescia ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dell’art. 1, commi da 226 a 231, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica);

che le disposizioni impugnate sono censurate in quanto, prevedendo la possibilità di regolarizzazione dei debiti pregressi per contributi previdenziali e assistenziali anche mediante versamento delle somme dovute in trenta rate bimestrali, e disponendo che la regolarizzazione estingue i reati previsti dalle leggi in materia, non prevede però, per il tempo necessario al completamento dei versamenti rateali, alcuna sospensione del procedimento penale nè della prescrizione dei reati, ma solo la sospensione dei "provvedimenti di esecuzione in corso";

che, ad avviso del remittente, il giudice penale, allorchè il debitore si sia avvalso della regolarizzazione mediante versamenti rateali, non può procedere al giudizio, se non conculcando il diritto del soggetto a ottenere il beneficio, onde non potrebbe di fatto che rinviare il processo per il tempo necessario al perfezionarsi della sanatoria;

che però, in tal modo, il termine di prescrizione del reato potrebbe venire a scadenza prima che i versamenti rateali siano completati, dando luogo all’effetto di estinzione del reato pur se venisse omesso il versamento delle ulteriori rate mancanti;

che, secondo il giudice a quo, la disciplina in questione, non accompagnata dalla previsione della sospensione del procedimento e della prescrizione, violerebbe il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione e quello di solidarietà sociale di cui all’art. 38 della Costituzione, trattando alla stessa stregua i contribuenti adempienti e quelli inadempienti, e consentendo al debitore di speculare sulla convenienza di avvalersi della regolarizzazione con l’intento di pagare solo le rate che vengano a scadenza prima della prescrizione del reato;

che, con una ulteriore ordinanza emessa il 13 gennaio 1998, pervenuta a questa Corte il 22 giugno 1998 (R.O. n. 507 del 1998), il medesimo Pretore di Brescia ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, delle "norme di cui all’art. 2, commi da 1 a 6, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 538, come recepite dall’art. 1, commi da 226 a 231, della legge 23 dicembre 1996, n. 662", sulla scorta di premesse e di argomentazioni identiche a quelle svolte nei giudizi di cui sopra;

che nei giudizi promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 406, 407 e 657 del 1998 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque manifestamente infondata, e sostenendo che la disciplina in questione risponderebbe ad una scelta discrezionale non irrazionale del legislatore; nel giudizio introdotto con l’ordinanza iscritta al n. 657 R.O. del 1998 l’Avvocatura erariale sostiene però, in via preliminare, che il sistema normativo dovrebbe intendersi nel senso che, nel caso di regolarizzazione contributiva con pagamento rateale, il pagamento delle rate avrebbe effetto interruttivo della prescrizione, che decorrerebbe nuovamente nel caso di mancato pagamento di una rata;

che il Pretore di Milano, con ordinanza emessa il 7 luglio 1998, pervenuta a questa Corte il 1° dicembre 1998 (R.O. n. 889 del 1998), ha sollevato a sua volta questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione "ed al principio di ragionevolezza", dell’art. 1, comma 230, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, così come richiamato dall’art. 4, comma 6, del d.l. 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, "nella parte in cui non prevede che, oltre i provvedimenti di esecuzione, i provvedimenti di merito in corso in qualsiasi stato e grado siano ‘sospesi per effetto della domanda di regolarizzazione e subordinatamente al puntuale pagamento delle somme determinate agli effetti del presente articolo alle scadenze dallo stesso previste’";

che ad avviso del Pretore di Milano - secondo cui l’imputato, essendo stato ammesso al pagamento rateale, sulla base di una domanda che realizzerebbe una sorta di autodenuncia, e avendo provveduto finora al pagamento delle sole rate già maturate, si troverebbe esposto a dover subire egualmente il procedimento penale, nè potrebbe chiedere che esso venga sospeso in attesa della regolarizzazione, in quanto la norma impugnata non prevede la sospensione del procedimento medesimo, ma unicamente la sospensione dei provvedimenti di esecuzione - il sistema normativo in vigore realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra cittadini in relazione alle loro condizioni economiche, in base alle quali essi siano o meno in grado di adempiere all’obbligo in unica soluzione: disparità che si tradurrebbe in una diversa possibilità di far valere le proprie ragioni in giudizio, e dunque in un trattamento ingiustificatamente diverso dei cittadini in sede di tutela giurisdizionale;

che, sempre secondo il remittente, tale disparità di trattamento apparirebbe del tutto irragionevole, anche tenendo conto che, in una fattispecie analoga, l’art. 3, comma 9, del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito dalla legge 1° giugno 1991, n. 166, pur prevedendo pagamenti rateali meno dilazionati, e quindi meno favorevoli ai cittadini non abbienti, aveva previsto la sospensione dei "provvedimenti di merito e di esecuzione in corso in qualsiasi fase e grado, fino al totale pagamento delle somme determinate alle relative scadenze";

che anche in tale giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque manifestamente infondata, sulla base di argomentazioni che ricalcano quelle svolte negli atti di intervento presentati nei giudizi promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 406 e 407 del 1998.

Considerato che tutte le ordinanze sollevano questioni identiche o analoghe, dovendosi anche il giudizio instaurato con la ordinanza del Pretore di Brescia iscritta al n. 507 del registro ordinanze del 1998 intendere come sostanzialmente riferito esclusivamente all’art. 1, commi da 226 a 231, della legge n. 662 del 1996, poichè il decreto legge n. 538 del 1996 non é stato convertito in legge, e l’ordinanza non contiene elementi che possano far ritenere rilevanti nella specie gli effetti prodottisi sulla base di tale decreto legge, e fatti salvi dall’art. 1, comma 233, della legge n. 662 del 1996, non impugnato: onde i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica pronunzia;

che entrambi i giudici remittenti lamentano in sostanza che la legge, nel prevedere la regolarizzazione contributiva, anche attraverso un pagamento in molte rate, con effetto estintivo dei reati, non abbia previsto altresì la sospensione del procedimento penale nel periodo intercorrente fra l’accoglimento della domanda di regolarizzazione e la scadenza dell’ultima rata di pagamento: mentre il Pretore di Brescia ritiene che il giudice procedente non possa che rinviare il giudizio, con l’effetto di far eventualmente maturare il termine di prescrizione prima del completamento del pagamento rateale - nel che si realizzerebbero una indebita equiparazione fra debitori adempienti e inadempienti, ed una violazione del principio di solidarietà sociale -, il Pretore di Milano, più correttamente, ritiene che l’imputato possa essere giudicato e condannato, nonostante l’accoglimento della domanda di regolarizzazione, fino al completamento del pagamento rateale, in ciò ravvisando il fondamento di un’ingiustificata disuguaglianza di trattamento fra imputati in grado di adempiere in unica soluzione e imputati costretti dalle loro condizioni economiche a ricorrere al pagamento rateale;

che la equiparazione lamentata dal Pretore di Brescia fra debitori adempienti e debitori inadempienti, i quali potrebbero ottenere la estinzione del reato per prescrizione, e la connessa lamentata violazione del principio di solidarietà sociale, in realtà non sussistono, poichè, in assenza di una causa di sospensione del procedimento, tutti i debitori restano soggetti al giudizio e alla condanna fino a che non abbiano completato il pagamento dell’intera somma dovuta per conseguire la regolarizzazione e la connessa estinzione del reato, senza che il giudice debba rinviare il giudizio fino alla scadenza dell’ultima rata: onde le relative questioni devono ritenersi manifestamente infondate;

che, invece, sussiste la situazione denunciata dal Pretore di Milano, per cui il debitore che si avvalga della regolarizzazione con pagamento rateale resta esposto al giudizio e alla condanna fino a quando non abbia completato i pagamenti;

che tale situazione, ancorchè dia luogo ad una certa disarmonia fra normativa amministrativa - tendente, anche mediante la concessione di una lunga rateazione, ad agevolare la regolarizzazione delle posizioni contributive - e normativa penale connessa - la quale condiziona l’estinzione del reato al completamento del pagamento, senza prevedere la sospensione del procedimento durante il periodo nel quale si estende la rateazione -, non può però essere qualificata come frutto di una scelta manifestamente irragionevole e come tale costituzionalmente illegittima;

che, infatti, il debitore che fa ricorso alla regolarizzazione mediante pagamento rateale é autore di un reato, commesso con l’omissione contributiva che successivamente chiede di regolarizzare, e non può vantare una pretesa costituzionalmente protetta a vedere estinto il reato nè a veder sospeso il procedimento penale in attesa del completamento del pagamento rateale, mentre può sempre conseguire l’effetto estintivo del reato provvedendo al pagamento dell’intera somma dovuta a titolo di regolarizzazione;

che la disparità che si viene così a creare fra debitori abbienti e meno abbienti é insita nel meccanismo normativo - proprio dei condoni in materia tributaria o contributiva - che legittimamente condiziona l’estinzione del reato omissivo al pagamento di somme commisurate a quelle il cui omesso versamento ha costituito la condotta penalmente punita, e più in generale in tutti i meccanismi normativi che subordinano la estinzione di reati commessi al pagamento di somme, senza che ciò costituisca, di per sè, violazione della Costituzione (cfr. sentenze n. 207 del 1974, n. 192 del 1992);

che in particolare, nella specie, il prodursi dell’effetto estintivo del reato al momento del perfezionamento del pagamento é la conseguenza, tutt’altro che irragionevole, della natura del reato omissivo e dei caratteri della causa estintiva del reato, legata al versamento delle somme dovute a titolo di regolarizzazione; mentre il mancato coordinamento fra rateizzazione delle somme dovute e tempi del procedimento penale può incidere bensì sull’efficacia del meccanismo di incentivo alla regolarizzazione instaurato dal legislatore, ma non dà luogo di per sè alla violazione di diritti costituzionalmente garantiti nè, per le ragioni ora dette, ad irragionevoli disparità di trattamento;

che pertanto anche la questione sollevata dal Pretore di Milano deve ritenersi manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

a) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 226 a 231, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Brescia con le ordinanze (R.O. nn. 406, 407 e 657 del 1998) indicate in epigrafe;

b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi da 1 a 6, del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 538 (Disposizioni urgenti in materia di sanzioni per violazione di obblighi contributivi e di regolarizzazione di posizioni previdenziali), non convertito in legge, come "recepito" dall’art. 1, commi da 226 a 231, della predetta legge 23 dicembre 1996, n. 662, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Brescia con l’ordinanza (R.O. n. 507 del 1998) indicata in epigrafe;

c) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 230, della predetta legge 23 dicembre 1996, n. 662, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Milano con l’ordinanza (R.O. n. 889 del 1998) indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 aprile 1999.