Ordinanza n. 113/99

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ORDINANZA N. 113

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente                  

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art 1, comma 170, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 15 aprile 1997 dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania sui ricorsi riuniti proposti da Bossio Bianca contro il Comune di Napoli, iscritta al n. 688 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale della Campania, nel corso del giudizio promosso da una dipendente del Comune di Napoli, in servizio presso l’Avvocatura municipale con la qualifica di avvocato dirigente, nei confronti del provvedimento con il quale il predetto Comune aveva respinto l’istanza di mantenimento in servizio per un biennio oltre il compimento del sessantacinquesimo anno di età, presentata ai sensi del disposto dell’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, con ordinanza del 15 aprile 1997 (R.O. n. 688 del 1997), ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 170, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui conferisce, con efficacia retroattiva, validità ai provvedimenti di diniego di mantenimento in servizio dei dipendenti di enti pubblici, adottati sotto la vigenza di una serie di decreti-legge, succedutisi e mai convertiti, il cui art. 1, comma 2, escludeva l’applicabilità del predetto art. 16 del decreto legislativo n. 503 del 1992, per gli enti locali che deliberassero lo stato di dissesto e per tutta la durata del dissesto stesso;

che il Collegio rimettente, dopo avere esposto le vicende relative alla previsione di esclusione degli enti in stato di dissesto dalla sfera di applicabilità del citato art. 16 (contenente l’attribuzione della facoltà per i dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti), contenuta per la prima volta nell’art. 1, comma 2, del d.l. 15 giugno 1994, n. 376, non convertito in legge, e quindi reiterata con la catena di successivi decreti-legge a partire dal d.l. 8 agosto 1994, n. 492 fino al d.l. 5 agosto 1996, n. 409, ha sottolineato che la esclusione non é stata riprodotta nell’ultimo decreto-legge 4 ottobre 1996, n. 516, neanch’esso convertito in legge;

che, sempre secondo l’ordinanza di rimessione, l’art. 1, comma 170, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, disponendo che "restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi i procedimenti instaurati, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base" di tutti i predetti decreti-legge compreso l’ultimo decreto, ha di fatto individuato un arco temporale, ricompreso tra il 17 giugno 1994 ed il 4 ottobre 1996, durante il quale i dipendenti degli enti locali dissestati non hanno potuto godere dei benefici previsti dallo stesso art. 16, in tal modo violando i principi costituzionali di parità di trattamento e di ragionevolezza;

che il Tribunale amministrativo regionale ritiene che una legge retroattiva, quale quella disciplinata dall’art. 77 della Costituzione, non potrebbe escludere per un determinato arco di tempo l’attribuzione di benefici generalmente concessi, ove non possano enuclearsi ulteriori motivi che giustifichino la disparità di trattamento, tenuto presente che, nel caso di specie, la "mancata reiterazione in via permanente della norma limitativa introdotta con il d.l. n. 376 del 1994" non sarebbe collegata alla cessazione dello stato di dissesto;

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione, tesi successivamente sviluppata con memoria.

Considerato che deve escludersi la violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il duplice profilo della disparità di trattamento e della irragionevolezza, alla luce dei principi ricavabili dalle sentenze della Corte relative al trattenimento in servizio oltre i limiti di età (sentenza n. 162 del 1997) e ai trattamenti differenziati a seconda della tipologia del rapporto di impiego e dei tempi diversi anche rispetto alla stessa categoria (sentenza n. 422 del 1994; ordinanza n. 380 del 1994; sentenze n. 475 del 1993; n. 237 del 1994 e n. 395 del 1990);

che, in particolare, l’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992 - da interpretarsi in immediata connessione con il correlato principio, contenuto nell’art. 3, lettera b) della legge di delega 23 ottobre 1992, n. 421, avente oggetto e criteri direttivi non estesi a tutti i dipendenti pubblici, ma limitati al settore dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici - é disposizione di carattere eccezionale, con finalità di contenimento della spesa pubblica in ordine ai trattamenti di previdenza e di quiescenza (sentenza n. 162 del 1997);

che, del resto, non esiste un principio fondamentale della legislazione statale in base al quale vi sarebbe un diritto incondizionato del dipendente pubblico al mantenimento in servizio per un biennio (sentenza n. 162 del 1997);

che pertanto non é viziata, nè sotto il profilo della disparità di trattamento, nè sotto quello della assoluta irragionevolezza, la previsione (i cui effetti sono stati sanati) di restringere drasticamente le possibilità di prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti di età per il personale degli enti locali in condizioni di dissesto, sia in relazione alle contingenti esigenze di contenimento della spesa degli enti locali che abbiano deliberato lo stato di dissesto in considerazione della assoluta insufficienza di mezzi finanziari, sia per gli effetti indiretti, anche di prevenzione, nell’ambito degli organi burocratici dell’ente dissestato;

che non deve essere esclusa la legittimità, sotto gli anzidetti profili, di un trattamento differenziato applicato ad una determinata categoria di soggetti in tempi diversi, soprattutto quando si tratta di legge che regola i rapporti giuridici sorti sulla base di decreti-legge che non erano stati convertiti e avevano determinato una cessazione dal servizio allo scadere del limite di età prefigurato per la stessa categoria, con esclusione - a parte ogni problema interpretativo sulla generale estensione della previsione dell’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992 - dell’applicabilità di norma di carattere eccezionale;

che non é assolutamente irragionevole la sanatoria anzidetta - rientrante nella piena discrezionalità del legislatore tutte le volte che l’assetto temporaneo da sanare non sia di per sè in contrasto con la Costituzione -, in quanto appartiene alla scelta della legge ex art. 77, ultimo comma, della Costituzione, la previsione di conservare gli effetti già prodottisi di singoli decreti-legge non convertiti: nella specie gli effetti dei divieti di prosecuzione di rapporti di lavoro oltre i limiti di età, adottati nei periodi di vigenza dei singoli decreti-legge decaduti, escludendo così il ripristino o la reviviscenza di rapporti, rispetto ai quali non vi era stata prestazione di servizio, e conseguentemente evitando un aggravio economico per un arco temporale tutt’altro che limitato;

che la norma di sanatoria può ulteriormente essere giustificata - secondo la tesi dell’Avvocatura dello Stato - dalla finalità di contenere gli esuberi di personale che si sarebbero determinati in caso di riassunzioni, con successivo ricorso alla mobilità, con aggravio ulteriore di contributi a carico degli enti (dissestati) e depauperamento di forze di lavoro più giovani, mentre il fluire del tempo (dal giugno 1994 all’ottobre 1996) con superamento del periodo più critico dal punto di vista economico e del personale degli enti locali, costituiva di per sè elemento diversificatore;

che, alla stregua delle anzidette argomentazioni, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata sotto ogni profilo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, della norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 170, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Campania con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 2 aprile 1999.