Ordinanza n. 1067/99

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ORDINANZA N. 106

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, promossi con due ordinanze emesse il 6 febbraio 1997 dalla Corte d'appello di Torino, iscritte ai nn. 250 e 555 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20 e 37, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che la Corte d'appello di Torino, nel corso di un procedimento di ricusazione, con ordinanza in data 6 febbraio 1997 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice del dibattimento, che abbia pronunciato sentenza di applicazione della pena nei confronti di un concorrente nel reato, a giudicare altri concorrenti nel medesimo reato;

che con altra ordinanza in pari data di identico contenuto la stessa Corte d'appello di Torino, nel corso di altro procedimento di ricusazione, ha sollevato la medesima questione;

che il remittente riferisce di dover decidere in ordine a dichiarazioni di ricusazione motivate sull'assunto di una situazione di incompatibilità dei componenti il collegio che avevano concorso a pronunciare sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di altri concorrenti nel reato;

che il giudice a quo richiama la sentenza n. 371 del 1996 di questa Corte, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata;

che, ad avviso del remittente, l'applicazione della pena su richiesta nei confronti di alcuni concorrenti "pare implicare – almeno nella fattispecie di cui ci si occupa – anche una valutazione incidentale del merito dell'accusa mossa al coimputato dello stesso reato e non "patteggiante"";

che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 cod. proc. pen., nei termini prospettati, non appare al remittente manifestamente infondata, essendo anche rilevante ai fini della decisione sulle ricusazioni.

Considerato che le due ordinanze hanno ad oggetto la medesima disposizione, censurata sotto identici profili, sicchè i relativi giudizi possono essere decisi congiuntamente;

che il giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice del dibattimento, che abbia pronunciato sentenza di applicazione della pena nei confronti di un concorrente nel reato, a giudicare altri concorrenti nel medesimo reato;

che in entrambe le ordinanze é richiamata la sentenza n. 371 del 1996 di questa Corte, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato art. 34, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata;

che, alla luce della sentenza n. 371 del 1996, é anche chiaro che l'incompatibilità del giudice non può essere estesa a tutte le ipotesi in cui si proceda separatamente nei confronti di diversi soggetti, concorrenti o meno nel reato, ma é circoscritta ai casi in cui, con la sentenza che definisce il processo a carico di un imputato, vengano compiute, sia pure incidentalmente, valutazioni in ordine alla responsabilità penale di una persona formalmente estranea al processo;

che, pertanto, la dedotta questione, nei termini in cui viene prospettata, é stata già risolta dalla citata sentenza n. 371 del 1996, nel cui dispositivo risultano con nettezza i limiti entro i quali opera la causa di incompatibilità;

che non può spettare a questa Corte confermare o smentire quanto affermato nelle ordinanze di remissione, che cioé nelle fattispecie delle quali si occupa la Corte d'appello le pronunciate sentenze di applicazione della pena su richiesta contengono una valutazione incidentale del merito dell'accusa mossa al concorrente nel reato e non patteggiante;

che, una volta chiarito l'ambito di operatività del principio del giusto processo, e una volta riconosciuto che questo impedisce che uno stesso giudice valuti più volte, in sentenza, in successivi processi la responsabilità penale di una persona in relazione al medesimo reato, accertare se in una precedente sentenza che si assuma pregiudicante sia stata effettivamente compiuta, in ordine alla responsabilità penale del concorrente rimasto estraneo al processo, una valutazione suscettibile di determinare l'incompatibilità del giudice al successivo giudizio, non é compito di questa Corte, ma del giudice a cui spetta decidere se la concreta fattispecie sia sussumibile sotto l'art. 34 del codice di procedura penale, quale esso risulta a seguito della parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale che lo ha investito;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 30 marzo 1999.